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La crisi del Siderurgico
26 Gennaio 2024 - 06:10
Una manifestazione di protesta per l'ex Ilva - foto di repertorio
Le «garanzie proposte a salvaguardia dell’indotto da parte del Governo», illustrate nel corso del recente vertice con i rappresentanti sindacali, non sono «soddisfacenti»: la galassia dell’indotto ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, boccia la linea dell’esecutivo. E la tensione non si abbassa, sul delicatissimo fronte dell’appalto siderurgico che teme per la sua stessa esistenza. Anzi, la crisi si acuisce.
L’associazione Aigi, a cui aderisce l’80% delle imprese che ruotano attorno allo stabilimento di Acciaierie d’Italia, ha tenuto un’assemblea dei propri associati alla quale hanno partecipato anche rappresentanti di Casartigiani, Confapi e Fenimprese «per analizzare quanto emerso dall’incontro e decidere le eventuali azioni da intraprendere», come spiegato dalla stessa associazione. Cosa è emerso? «La serie di misure da inserire in un apposito decreto a salvaguardia dei crediti dell’indotto e garantire la liquidità futura delle aziende dell’appalto ex Ilva risultano deboli: alcune, come il Fondo di Garanzia, sono già in vigore. Misure che, per la maggior parte dei casi, risulterebbero inapplicabili. A seguito della dichiarazione di amministrazione straordinaria del 2015 le aziende dell’indotto non sono bancabili».
L'ex Ilva - immagine di repertorio
Il giudizio, insomma, è netto - e negativo. «Quello che agli occhi dell’opinione pubblica può essere apparso come il tentativo del Governo di trovare una soluzione alla grave situazione che stanno vivendo le imprese dell’indotto siderurgico si sta rivelando, man mano che passano le ore, un percorso sempre più tortuoso: da una parte il socio pubblico che garantisce impegno a salvaguardia dei crediti dell’indotto annunciando azioni quasi del tutto inapplicabili, dall’altra il socio privato che non solo a tutt’oggi non ha ristorato le aziende dei crediti vantati ma ha confutato l’esposizione debitoria denunciata da Aigi» si legge in una nota dell’Associazione Indotto AdI e General Industries. La stessa associazione di categoria ribadisce «che le cifre esposte si riferiscono anche all’anno 2022 e che, essendo entrato in vigore nel 2019 l’obbligo della fatturazione elettronica, le stesse possono essere sottoposte a verifica presso il cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate. Nel frattempo, l’ammontare dei crediti AdI vantato dalle aziende dell’indotto che sfiora i 135 milioni di euro, è stato inviato al Ministro delle Imprese Adolfo Urso insieme ad una serie di proposte atte ad evitare il ricorso all’amministrazione straordinaria». Al momento e in attesa di sviluppi, «restano in vigore tutte le misure annunciate e adottate dalla giornata di lunedì scorso con il presidio dinanzi alle portinerie dello stabilimento siderurgico».
Intanto, Acciaierie d’Italia con una propria nota stampa ha reso noto che nella mattinata di ieri, giovedì 25 gennaio, «si è verificato il danneggiamento doloso delle autovetture di alcuni dipendenti della ditta Pellegrini, incaricata dei servizi di ristorazione e pulizie nello Stabilimento di Taranto. Pellegrini - riferisce la nota di AdI - ha riscontrato che sono stati tagliati alcuni pneumatici di automobili appartenenti a suoi dipendenti, che per svolgere le loro mansioni erano entrati nello Stabilimento contro la volontà delle ditte dell’indotto. Nelle sue comunicazioni, la Pellegrini ha sottolineato che ciò potrebbe determinare un drastico calo della disponibilità del suo personale ad affrontare i rischi che il perdurare della situazione sta producendo, con la conseguenza di non riuscire a erogare il servizio di fornitura pasti». Ancora, Acciaierie d’Italia ha informato «che si farà carico delle riparazioni alle autovetture danneggiate» e comunicato «di avere informato le Forze dell’Ordine, chiedendo che siano poste in essere con urgenza tutte le opportune misure di prevenzione e protezione a tutela della sicurezza».
Il clima attorno alla fabbrica, insomma, si fa sempre più pesante.
«Mentre noi discutiamo, le aziende dell’appalto e i lavoratori stanno vivendo un dramma inimmaginabile e insopportabile. La situazione negli stabilimenti è grave. In particolare, a Taranto il disegno di chiudere gli impianti si sta portando a compimento: l’unico altoforno in marcia ridotta è il numero 4, mentre l’altoforno 1 è fermo da agosto nonostante doveva fermarsi solo per un mese e il 2 è stato fermato Non possiamo permettere tutto questo, se spengono anche l’ultimo forno in marcia dobbiamo dire addio alla siderurgia in Italia e all’ex Ilva una volta per tutte. Ma noi non ci rassegniamo e chiediamo ai commissari di Ilva in AS, proprietaria degli impianti, di intervenire tempestivamente per bloccare questo scempio» ha dichiarato il segretario generale Uilm, Rocco Palombella.
Fim, Fiom, Uilm e Usb intanto hanno organizzato per lunedì 29 gennaio «una manifestazione con concentramento davanti alla portineria imprese che proseguirà in corteo attorno al perimetro dello stabilimento, con l’obiettivo, nell’iter di conversione del decreto di trovare le opportune garanzie a tutela dei lavoratori e dei crediti delle imprese, al fine di garantire la salvaguardia ambientale, occupazionale e industriale», come si legge in una nota congiunta delle quattro sigle sindacali. «La vertenza ex Ilva è ad un punto di svolta decisivo nell’ambito dei confronti, conquistati dalle lotte dei lavoratori, in sede governativa. Tuttavia, c’è il rischio molto concreto di chiusura dello stabilimento per una volontà ben precisa dell’Amministratore Delegato, espressione di fatto di Arcelor Mittal» scrivono Fim, Fiom e Uilm. «In queste ore apprendiamo che l’unico altoforno attualmente in marcia già ridotta si sta avviando ad un ulteriore abbassamento della carica e si stanno adoperando anche alla fermata delle batterie 7- 8 determinando di fatto la chiusura definitiva della fabbrica. È del tutto evidente che avremmo potuto evitare questa situazione di criticità in cui si trova la vertenza ex Ilva e come sindacato abbiamo, in più occasioni, scioperato per chiedere l’estromissione di Arcelor Mittal che aveva già ampiamente dimostrato di non voler investire sia per il rilancio della produzione che per il processo della transizione ecologica. La gestione della multinazionale ha, infatti, prodotto soltanto cassa integrazione ed un impoverimento del tessuto produttivo della provincia ionica portando al lastrico molte aziende dell’appalto con conseguenti procedure di licenziamento collettivo per i lavoratori».
Le organizzazioni sindacali sottolineano ancora come, «anche in occasione dell’ultimo incontro con il Ministero del Lavoro e del Mimit, hanno ribadito l’importanza e la strategicità dei lavoratori del mondo dell’appalto che in questi anni hanno garantito non solo la salvaguardia e la produzione degli impianti dello stabilimento siderurgico, ma soprattutto hanno consentito la realizzazione del piano ambientale e l’intervento costante sugli impianti per evitare problemi di emissioni inquinanti. I vari governi che si sono succeduti hanno più volte ripreso, nei vari decreti d’urgenza, la strategicità della siderurgia per il nostro Paese e crediamo sia utile ricordare anche all’attuale governo che senza l’appalto sarebbe impossibile pensare non solo alla continuità produttiva ma anche ad un processo di transizione ecologica.
Adesso bisogna garantire la sopravvivenza dello stabilimento e non consentire all’attuale Amministratore Delegato di Arcelor Mittal di accrescere una situazione già di per se grave che consentirebbe alla multinazionale di compiere un delitto perfetto, eliminando in maniera definitiva un competitor importante come Taranto e facendo scoppiare sul territorio un vero e proprio disastro ambientale e sociale che diventerebbe irreversibile».
Proprio Aigi "condivide" le ragioni della manifestazione, e ricorda come "ad oggi sono 2640 i lavoratori dell'indotto in cassa integrazione, una misura che le aziende non hanno potuto evitare a causa dei mancati pagamenti da parte di AdI che rischiano di mandare sul lastrico le imprese dell'appalto".
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