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L'ex Ilva

Siderurgico, l'ora più buia

I giorni decisivi per lo stabilimento Acciaierie d'Italia di Taranto

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La storia non può che ripartire da qui, dalle parole del sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano. «Inutile sottolineare quanto sia particolarmente drammatico il momento in cui cade questo incontro, certamente uno dei più drammatici se non il più drammatico in assoluto da quando abbiamo iniziato a vederci. Non ricordo momenti facili, questo percorso è sempre stato particolarmente complicato» e «i nostri parametri fin dall’inizio in questa valutazione sono stati quelli concordati, cioè garantire il futuro dell’acciaio, garantire il più possibile l’occupazione, garantire il mantenimento dell’indotto e prima di tutto questo la sicurezza delle condizioni di lavoro».

Basta questo per capire quanto cruciale sia il momento vissuto dall’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia. «Le variabili sono tantissime e una parte dipende dalle scelte del governo: io confido sul fatto che se ciascuno fa la sua parte fino in fondo la situazione non è ancora definitivamente compromessa ma questo deve avvenire da parte di tutti» ha aggiunto Mantovano vedendo mercoledì mattina i sindacati per un incontro che è stato riaggiornato - dopo due ore - prima  a lunedì 26 maggio, poi a martedì, 27 maggio, quindi al 9 giugno.

Mentre a Roma si discuteva, sempre lo scorso mercoledì mattina a Taranto sono tornati i blocchi stradali delle “tute blu” sulla statale Appia: uno scenario che riporta alla mente l’estate del 2012, con il primo sequestro dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico nell’ambito dell’inchiesta che sarà ribattezzata Ambiente Svenduto. Nel 2025, «salute, ambiente e occupazione», «non si ricattano i lavoratori», «il rilancio di un’azienda non è mandare a casa i lavoratori», «produzione, rispetto per la città e i lavoratori» e «non ci sono lavoratori di serie A e serie B» è quanto scandiscono gli operai, uomini divisi tra rabbia e paura. Fim Fiom e Uilm hanno organizzato in concomitanza dell’incontro romano uno sciopero di quattro ore in tutti gli stabilimenti del gruppo Acciaierie d’Italia. «Il governo ora più che mai deve accettare l’idea che da solo non risolve la situazione e che l’unico  modo è il  confronto trasparente e collaborativo in sede di tavolo permanente di Palazzo Chigi con le organizzazioni sindacali con il coinvolgimento di tutte le istituzioni, nazionali e locali, gli enti preposti e le Autorità competenti dello Stato interessate che possono e debbono contribuire ad individuare le soluzioni che evitino un disastro sociale ed industriale che coinvolgerebbe 20.000 famiglie» hanno scritto le tre sigle in una nota congiunta nella quale «ribadiscono ancora una volta che solo tutelando l’occupazione e garantendo il lavoro può essere garantita la ripartenza, la decarbonizzazione, la salute e sicurezza e l’ambiente. Con la cassa integrazione senza una prospettiva si abbandonano i lavoratori ed i territori ad un futuro di povertà e regresso».

Quella che va chiudendosi è stata una settimana all’insegna anche della contrapposizione tra politica e magistratura, dopo l’ormai famoso incendio scoppiato il 7 maggio nell’area dell’Altoforno numero 1. «La decisione della procura di Taranto mette a rischio il processo riconversione ambientale del sito di Taranto. Sia per la sostenibilità economica dello stabilimento, sia per il negoziato in corso con le aziende che hanno partecipato alla procedura di gara che si ritrovano condizioni diverse rispetto a quelle contrattate, sia soprattutto per i rilevanti impatti occupazionali diretti e indiretti», ha ribadito il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Riferendosi al tavolo svolto a Palazzo Chigi, Franco Rizzo e Sasha Colautti dell’esecutivo nazionale del sindacato Usb hanno parlato di «un confronto basato su dichiarazioni di intenti, non supportati da concreti passi in avanti. La certezza che rileviamo è il mancato avvio del piano di ripartenza, sul quale ha influito in maniera significativa l’incidente del 7 maggio all’Altoforno 1. Urso ha indicato come passaggi obbligati per poter portare avanti la trattativa con Baku Steel l’ottenimento di una nuova Autorizzazione Integrata Ambientale e l’approdo del progetto della nave rigassificatrice a Taranto. In questo quadro fatto di eventi imprevisti e continui rallentamenti, l’unica certezza è la ricaduta occupazionale: il ministro Calderone ha infatti annunciato un imminente nuovo tavolo presso il Ministero del Lavoro per aumentare i numeri della cassa integrazione, già oggi altissimi. Abbiamo inoltre appreso che qualsiasi prospettiva di cessione dei complessi industriali sarà vincolata al raggiungimento di livelli produttivi più alti, con tempi lunghi e molte risorse: lo stesso Urso ha dichiarato che ci vorranno almeno sei mesi per riportare la produzione a 4 milioni di tonnellate annue».

«La nostra organizzazione sindacale ha aperto il proprio intervento, denunciando una gestione che, nella fase più critica, continua a muoversi senza un progetto pubblico chiaro e condiviso» hanno detto ancora Rizzo e Colautti. «La gara per l’ingresso di un nuovo acquirente, in queste condizioni, è tutta sbilanciata a favore dell’investitore privato, che si trova in una posizione di forza mentre il tempo stringe e la crisi produttiva e occupazionale si aggrava ogni giorno. Lo Stato deve avere il coraggio di intervenire direttamente: non solo per garantire la continuità degli impianti e la manutenzione tecnica – senza cui ogni discorso è pura teoria – ma anche per riattivare un piano serio di decarbonizzazione, e soprattutto per tutelare l’occupazione e i diritti di chi lavora».

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