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15 Maggio 2024 - 07:05
Un miliardo. Un altro. Soldi - tanti - per la “bonifica e riqualificazione” di Bagnoli. Nel 2024. La somma stanziata dal governo nel recente decreto Coesione fa tornare d’attualità la vicenda infinita dell’area ex Italsider che tante volte è stata paragonata a Taranto. A tracciare un parallelo sono stati, all’inizio di quest’anno, anche i vertici del Circolo Ilva campano, associazione fondata dagli ex “caschi gialli” che hanno espresso «piena solidarietà e appoggio ai lavoratori di Taranto in lotta per la salvaguardia del posto di lavoro e per la riqualificazione industriale e ambientale».
«Dopo lo smantellamento dell’Ilva di Bagnoli - scrivevano a gennaio -, ultimato all’inizio di questo secolo, sono trascorsi 25 anni e ancora si attende la rigenerazione sociale, economica e ambientale che è stata promessa. Siamo al fianco dei lavoratori e dei cittadini di Taranto per l’adozione di tutte le misure necessarie per la compatibilità ambientale e l’ammodernamento di un impianto produttivo che ha una funzione strategica per l’industria nazionale ed europea, considerando anche i cambiamenti che si stanno verificando nella economia globale. Nella nostra esperienza, e non solo, alla chiusura di importanti centri di produzione industriale, non ha corrisposto una magnifica e progressiva sorte per i territori e le popolazioni che li abitano nella transizione ecologica dell’economia. Proprio l’eredità della fabbrica, la cultura del lavoro e della solidarietà sociale, è il bene più prezioso da salvaguardare. Resta fondamentale, pertanto, l’auto-organizzazione delle Comunità residenti, la loro Coesione sociale, quale principale risorsa per la rigenerazione produttiva dei territori e per la costruzione di un futuro più giusto e più sostenibile».
Sempre a gennaio di quest’anno era stato Michele Riondino, attore tarantino recentemente premiato con il David di Donatello per “Palazzina Laf”, a citare Bagnoli partecipando all’assemblea pubblica indetta da una trentina di associazioni in Piazza Immacolata. «Le bonifiche sono il lavoro di domani. Siamo specialisti nella produzione di acciaio? Bene, allora possiamo diventare gli specialisti delle bonifiche. Bagnoli ci insegna che puntare sulle bonifiche fa aumentare il prezzo di acquisto degli immobili. Oggi a Bagnoli una casa costa di più, al rione Tamburi una casa di 80 metri quadri costa quindicimila euro».
Lo stabilimento di Bagnoli occupava un’area di due milioni e mezzo di metri quadrati: tanti, tantissimi, ma appena un sesto della superficie che occupa lo stabilimento Ilva di Taranto, giusto per avere una proporzione tra i due stabilimenti. «Quello che è accaduto a Bagnoli dimostra che a impianti fermi non corrisponde la bonifica del sito inquinato. Avere la forza lavoro in campo è invece la migliore garanzia affinché le bonifiche vengano eseguite per davvero. Questa è l’unica condizione perché le bonifiche diventino realtà. La presenza dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali costituisce una capacità di pressione sulle istituzioni per il rispetto dei cronoprogrammi di intervento». Lo diceva proprio a Buonasera Taranto, già nel 2018, Giovanni Sgambati, segretario generale della Uil Campania. A Bagnoli fu molto più semplice gestire il bacino dei dipendenti dell’Italsider e delle ditte dell’indotto: «Non ci fu il dramma occupazionale perché gran parte dei lavoratori trovò sbocco nel pensionamento anticipato. Per altri 8-900 ci fu invece la ricollocazione in aziende pubbliche dell’area di Napoli. La beffa è invece arrivata per i lavoratori della Bagnolifutura: dopo il fallimento della società, non sono stati tutti ricollocati». Di splendido a Bagnoli è rimasta solo la magnifica passeggiata che si tuffa nel Golfo, ricavata dal vecchio pontile un tempo utilizzato per il carico/scarico di carbone.
Bagnoli - la bonifica infinita
Il magazine WeMag nel 2012 ricordava «l’odissea che si trascina da un paio di decenni, tra piani di recupero ambientale, ciclopici interventi di bonifica, riconversioni rimaste in sospeso e un piano urbanistico per quell’area diventato esecutivo solo nel 2006, quindici anni dopo la chiusura dell’Italsider. Nel frattempo la svolta di Bagnoli ha inghiottito un fiume in piena di denaro pubblico: 243 miliardi di lire stanziati dal Cipe nel ’94 per la dismissione, 107 milioni di euro dal Ministero dell’Ambiente nel 2006 per completare il piano di risanamento ambientale. Di mezzo un aggiornamento del piano Cipe per altri 207,5 miliardi di lire. Cifre oggi impensabili». «Ma cosa era Bagnoli negli anni d’oro dell’industrializzazione? Nel 1973 nella piana che si affaccia sul golfo ci lavoravano poco meno di novemila persone tra Italsider (7.600 dipendenti), Cementir, Eternit, Federconsorzi. A queste aziende andavano aggiunte importanti ditte dell’indotto, come Icrot e Sidermontaggi. Poi la crisi siderurgica, il declino industriale e la progressiva diminuzione della forza lavoro. Nel 1990, all’alba della dismissione, l’Italsider, diventata Ilva ma sempre di proprietà dell’Iri, contava 2.754 dipendenti. Di questi, ben 2.185 avevano un’età compresa tra i 42 e i 48 anni. Gli altri 569 erano cinquantenni o ultracinquantenni. Lo stabilimento, ristrutturato qualche anno prima, aveva una capacità produttiva di circa un milione e trecentomila tonnellate di acciaio. Grazie al piano di reindustrializzazione varato dall’Iri a seguito della chiusura degli impianti, gran parte dei lavoratori riuscì a godere di prepensionamenti, benefici della legge sull’amianto, esodo agevolato con incentivi che in qualche caso raggiunsero anche la ragguardevole cifra di 100 milioni di lire. A Bagnoli, grazie a questo consistente flusso di denaro pubblico oggi difficilmente disponibile e all’età già avanzata dei lavoratori, non ci fu quindi alcun trauma occupazionale a seguito della dismissione. Il piano dell’Iri prevedeva però la ricollocazione di 650 lavoratori di Bagnoli in altre aziende Iri e attraverso tredici nuove iniziative imprenditoriali e investimenti per 900 miliardi di lire che avrebbero dovuto assicurare la creazione di 2.729 posti di lavoro. La punta di diamante della reindustrializzazione avrebbe dovuto essere una linea di produzione di banda stagnata (conosciuta come latta): è rimasta sulla carta, come quasi tutto il piano di reindustrializzazione. Anche i posti di lavoro nelle bonifiche sono rimasti un miraggio. La Bagnoli Spa - lo strumento operativo dell’Iri che ha preceduto la Bagnolifutura – nel ’96 aveva assorbito 579 unità che via via si sono assottigliate per effetto di un singolare paradosso: man mano che si procedeva nelle bonifiche, i lavoratori conseguivano i benefici previsti per l’esposizione all’amianto e andavano via. Nel 2002 la Bagnolifutura contava appena 7 superstiti della Bagnoli Spa. A questi si sono aggiunti 53 nuovi assunti».
Ad evidenziare che «si parla di Taranto e a tutti viene in mente Bagnoli» è stato tra gli altri in un articolo del 2019 su Il Riformista Marco Demarco. «Si torna a parlare di Bagnoli, avendo Taranto davanti, semplicemente perché è come quando sei su un cavalcavia e pensi al ponte Morandi. O quando senti rumori in cantina e ti torna in mente Parasite, il film di Bong Jooh-ho. Bagnoli fa paura. Come un brutto presentimento. Come un incubo interminabile. Doveva essere per Napoli ciò che l’Expo è stata per Milano. Rischia invece di diventare per Taranto, e non solo, il buco nero dove ogni prospettiva si perde: l’ultima ristrutturazione industriale, sul finire del Novecento, è costata più di mille miliardi di lire e non è servita a nulla; mentre la grande ipotesi di rigenerazione urbana, avviata subito dopo la dismissione dell’acciaieria, non ha ancora preso forma. Ecco perché, con la crisi di Taranto aperta, Bagnoli è diventata anche scomoda. Come fai a sostenere l’alternativa verde al siderurgico se a Bagnoli è finita come è finita? Come fai a parlare di politica decidente se a Bagnoli la politica non è riuscita a decidere nulla, ma proprio nulla, sia con i poteri ordinari sia con quelli straordinari, sia attraverso il Comune e la Regione sia ricorrendo al centralismo dei commissari? Come fai a dire che le Italie non sono due se l’Expo decolla e Bagnoli si impantana? E come fai a dire che il problema del Sud sono i soldi negati o sottratti, quando non si riescono a spendere 300 milioni di euro, che tutti dicono essere disponibili, per le bonifiche?».
Bagnoli - la bonifica infinita
Più di recente, è stato Stefano Cingolani su Il Foglio del 12 febbraio 2024 a parlare delle “città della ruggine” italiane, ripercorrendo le storie di Termini Imerese, Mirafiori, Bagnoli - lanciando uno sguardo su quello che potrebbe essere il futuro di Taranto. «Termini Imerese abbindolata da false promesse; la terra desolata di Bagnoli svuotata dalla “Dismissione” (titolo del romanzo di Ermanno Rea); Taranto minacciata della stessa sorte; fino all’agonia di Mirafiori. In questa Italia che colleziona archeologia industriale sono ormai molte le città ossidate dal tempo, centri pulsanti di opere, di fatica, ma anche di modernità dove un tumultuoso passato lascia il campo a un silente futuro. Tanti denari pubblici e privati gettati in un pozzo di san Patrizio. Tante storie di salvataggi costosi e impossibili accompagnano in un tessuto purulento la caduta della grande industria e la mancata resurrezione per mano dello stato. L’Ilva non farà la stessa fine, promettono a Roma, ma il copione è sempre lo stesso: il commissario, la cassa integrazione, gli assegni che escono dalle casse esauste del Tesoro. Una estenuante coazione a ripetere (...) Quell’area sul mare dieci chilometri a nord di Napoli, un tempo nera di carbon coke, riscaldata da fuochi che richiamavano l’ingresso dell’Ade (il lago Averno dista pochi chilometri), è oggi un deserto di speranze. Fantasiosi progetti si sono rincorsi per tre decenni: un centro benessere che sfruttava il vulcanismo dell’area e riporta Bagnoli alle origini romane, quando si chiamava appunto Balneolis perché ospitava centri termali; un acquario, un’area concerti, una voliera per le farfalle, campi di calcio, tennis, basket. E piscine, massoterapia, parcheggi, un porto turistico, studi cinematografici e televisivi, case popolari, residenze vip, alberghi, archeologie industriali. Qualcuno ci ha scaricato sacchetti di spazzatura, quando Napoli non sapeva più dove metterli. Qualcun altro ipotizza trivellazioni per estrarre gas e calore dai vulcani flegrei. A Bagnoli la prima fabbrica, una vetreria, risale al 1853. Nel 1910 s’inaugura l’Ilva con 2.000 operai, che lavora con il ciclo integrato: via mare arrivano le materie prime, e via mare viene spedito l’acciaio. La Grande guerra stressa al massimo la produzione e la crisi postbellica fa chiudere l’impianto fino al 1924. Tre anni dopo nasce un vero polo industriale: acciaio, cemento, amianto. Le bombe anglo-americane prima, i tedeschi in ritirata poi, radono tutto al suolo. È l’industria di stato nel dopoguerra a rinverdire i vecchi allori. Finché le due crisi petrolifere degli anni 70 rendono troppo costosa l’industria pesante. Nel 1981, il visconte belga Etienne D’Avignon partorisce un piano che prevede un drastico taglio della capacità produttiva in Europa e in Italia (...) L’intera acciaieria verrà smontata e venduta a pezzi ai cinesi nel 1994. E comincia il balletto sulle ceneri di Bagnoli».
Tornando al finanziamento inserito nel decreto Coesione del 30 aprile scorso, secondo Palazzo Chigi l’obiettivo è quello di “restituire ai cittadini un territorio per troppo tempo abbandonato al degrado alle porte di Napoli e valorizzarne la posizione strategica, anche in una prospettiva di rilancio industriale dell’intero Mezzogiorno, a riprova del fatto che il governo può agire concretamente”. Dettaglio non trascurabile: l’ultima colata nello stabilimento siderurgico campano porta la data del 20 ottobre 1990. Poi Bagnoli si spense. Fu salvato lo stabilimento di Taranto, e per il siderurgico che si affacciava sul Golfo di Pozzuoli fu la fine. A nulla valse la strenua battaglia dei lavoratori napoletani, che pur di difendere il proprio stabilimento disseminarono di coils il tratto che dalla ferrovia conduce a Piazza Municipio. Tra Taranto e Bagnoli fu chiuso lo stabilimento con gli impianti più vecchi. Eppure, nonostante tutto, sembrava che per Bagnoli dovessero schiudersi nuovi orizzonti di gloria, tra riconversione produttiva, imponenti interventi di bonifica e costruzione di nuove opere che avrebbero dovuto disegnare la Napoli del futuro. La chiusura dell’Italsider ha invece significato per Bagnoli un’odissea che pare non avere fine. Miliardi di lire e centinaia di milioni di euro inghiottiti in un buco nero che ha trascinato al fallimento Bagnolifutura, la società che avrebbe dovuto gestire la rinascita.
Ora, ecco un altro miliardo e duecento milioni - anzi, 218 milioni. Saranno erogati in cinque tranche nel periodo 2024-2029. Intervistato da Il Mattino, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha parlato di «risultato importante perché ci consente di completare dal punto di vista della copertura finanziaria sia le bonifiche a terra che a mare. E ci consente di fare tutte le infrastrutture. E poi è la conclusione di un iter che è durato 30 anni un tempo lungo dove è stato sottratto alla città uno dei polmoni più importanti per lo sviluppo di Napoli e di tutta l’area occidentale. Ora siamo pronti per gli investimenti dei privati».
Un auspicio per i napoletani, oltre che un ammonimento per i tarantini che all’esperienza di Bagnoli hanno fatto più volte riferimento. «Quello di raccogliere investimenti è un compito che spetta a Invitalia che è proprietario dei suoli, il Comune tornerà proprietario delle infrastrutture solo quando tutti i lavori saranno ultimati. Oggi abbiamo un cronoprogramma che prevede tra quest’anno e il prossimo l’apertura di tutti i cantieri: il 2029 gli stessi cantieri saranno ultimati, anche quelli delle infrastrutture, e questo per gli investitori significa certezza dei tempi e dei siti su cui si sta lavorando e quindi potranno nel frattempo acquisire i suoli e avviare gli investimenti» ha aggiunto Manfredi, sottolineando come «sicuramente chiunque interverrà deve farlo nella cornice del Praru, cioè il Programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana, che è stato approvato dal Comune perché il disegno urbanistico è del Comune. Regole urbanistiche che sono già definite: a Bagnoli servono insediamenti ricettivi, alberghi, residenzialità, servizi avanzati tutto nell’ambito dei volumi previsti dal Piano. Realisticamente nel 2029 avremo la sicurezza della balneabilità e il completamento delle opere a mare e anche la sistemazione della parte idraulica e questo è un risultato straordinario: restituire la balneabilità a Bagnoli significa superare più di un secolo di industrializzazione per tutta l’area flegrea. Intorno al tema della colmata a Bagnoli, per troppi anni, credo ci si sia avvitati con un approccio ideologico forse figlio di un altro tempo che ha immobilizzato di fatto lo sviluppo dell’intera area. Oggi, ad ogni livello istituzionale, si discute di come coniugare il rispetto dell’ambiente con la necessità di rilanciare un sito così straordinario come Bagnoli. Noi questo faremo: accelerare la trasformazione dell’area riducendo al massimo l’impatto sul territorio. Io credo - ha aggiunto il sindaco - che i napoletani, dopo 30 anni di chiacchiere, vogliano vedere la svolta».
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Testata: Buonasera
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