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La storia
04 Maggio 2024 - 06:15
Giovanni Paolo II
Ci sarà e, come ha voluto sottolineare la Sala Stampa Vaticana, lo farà “in presenza”. In occasione della riunione del G7 che si terrà in Puglia, per la prima volta un Papa siederà al tavolo dei Grandi della Terra, per discutere di un tema dirimente della contemporaneità, cioè quello dell’intelligenza artificiale. Non è invece certo la prima volta che Francesco viene qui, in Puglia, nel tacco d’Italia.
Jorge Mario Bergoglio lo ha fatto nel 2017 per recarsi a San Giovanni Rotondo, davanti alla tomba di San Pio, e l’anno successivo alla Basilica di San Nicola per partecipare ad un incontro con i Patriarchi del Medio Oriente. Un evento, questo, che è già nella Storia della Chiesa e che richiamò a Bari migliaia di fedeli. Sempre nel 2018 l’omaggio a don Tonino Bello: il Santo Padre si è recato alla tomba di una delle figure più amate del cattolicesimo, ad Alessano, ed a Molfetta, dove don Tonino è stato vescovo. Ancora, Papa Francesco è stato in Puglia nel febbraio 2020. Qualche giorno prima del traumatico lockdown per la pandemia Covid, il pontefice ed il presidente della Repubblica Sergio Mattarella presero parte all’incontro “Mediterraneo frontiera di pace”, sempre nel capoluogo regionale. La riunione del G7 è in programma a Borgo Egnazia dal 13 al 15 giugno.
Se più volte si è parlato della possibilità di una visita a Taranto dell’attuale vescovo di Roma - ancora mai realizzata - restano scolpite nella memoria collettiva dei tarantini le occasioni in cui un Papa è arrivato sino ai Due Mari.
Il 28 e 29 ottobre 1989 fu Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, ad essere accolto quasi come una rock star. Qualche giorno dopo, il 9 novembre, sarebbe caduto il Muro di Berlino: questo dà l’idea di che anni, che mesi, e che giorni erano quelli. L’Ilva, l’Arsenale, la Cittadella della Carità, l’incontro con i giovani allo stadio Iacovone: ecco alcune delle tappe che ancora si ricordano, dei giorni del pontefice polacco a Taranto.
E fanno venire i brividi le parole di Wojtyla ai fedeli che lo ascoltavano in Piazza della Vittoria, sabato 28 ottobre: «Nel secolo scorso, dopo l’unificazione politica d’Italia, la vostra città ha conosciuto un crescente ampliamento urbanistico ed un primo impulso industriale, in senso moderno, con l’arsenale ed i cantieri navali; divenuta capoluogo di provincia, ha registrato, dopo l’amara esperienza della seconda guerra mondiale, una vera accelerazione nella crescita. La nuova industrializzazione, con insediamenti grandi, medi e piccoli, ha cambiato non poco il volto dell’intera zona ionica, sia dal punto di vista economico-sociale che da quello demografico e culturale.Quando sembrava legittimo guardare con tranquillità al futuro, è intervenuta purtroppo la crisi mondiale dell’acciaio, con il drastico ridimensionamento dell’occupazione, ancora in corso, e con preoccupanti prospettive per la vita delle famiglie, della città e dell’intera regione».
Era il 1989. Sembra oggi.
«Cari fratelli e sorelle, mi rendo ben conto delle gravi difficoltà che tutto questo comporta; ma, lasciatemi dire, le incertezze ed i problemi dell’oggi non devono far cadere la speranza. Cercate e trovate motivi di fiducia nella vostra forza di volontà; cercateli soprattutto nella ricca tradizione cristiana, in quella fede che, vissuta in pienezza, diventa forza capace di smuovere le montagne. Di fronte alla crisi persistente, economica e morale, bisogna rifiutare le tentazioni della passività e dell’individualismo, dell’impazienza superficiale e della spettacolarità effimera, come pure ogni via illecita di speculazione privata e di gruppo, specie se a danno dei più poveri, i nuovi poveri! Bisogna rifiutare le vie della violenza diretta, ma anche di quella indiretta, che si chiama corruzione o ricatto, uso distorto del denaro e dell’informazione, manipolazione di beni comunitari e, soprattutto, rifiuto pratico della dignità di ogni uomo, anziano o nascituro, libero o carcerato. Ogni passo su questa strada rende più difficile la convivenza in una città che ha avuto sempre in onore il pane guadagnato col proprio sudore e con la propria creatività».
Parole come di una profezia. «In epoca moderna» ricordò Wojtyla «dopo il concilio tridentino, Taranto ha avuto il merito di erigere uno dei primi seminari diocesani e di dare due glorie alla Chiesa e due intercessori alla vostra società, san Francesco De Geronimo e il beato Egidio. Sulla cattedra di san Cataldo sono saliti Vescovi zelanti e prudenti nel promuovere la vita religiosa, profondamente mariana, di questo popolo. L’arcidiocesi tarantina è stata sempre fiorente per chiese, clero, vocazioni religiose, associazioni e iniziative di pastorale sociale. Qui si è tenuto, all’inizio di questo secolo, uno dei primi congressi nazionali dei cattolici impegnati in campo sociale. In questa città, negli ultimi anni, avete innalzato la nuova cattedrale, dedicata alla gran Madre di Dio. Questo monumento di arte e di fede vi ricordi il desiderio e il dovere di inserirvi da credenti nel cuore dello sviluppo, non solo urbanistico, della nuova Taranto e di offrire una “vela”, un luogo di sicura fraternità e speranza, a tutti coloro che faticano sul “mare” della vita. Proprio di lì, infatti, ormai alle soglie del Duemila, prende il largo un nuovo progetto di città, aperta a tutte le istanze di crescita e di liberazione di questo popolo antico e sempre nuovo. La “vela” è anche segno di una Chiesa che va incontro alla città e, valorizzando il legame storico-spirituale tra san Cataldo e la concattedrale, tra la città vecchia e i nuovi quartieri, si impegna a costruire un ponte ideale verso il futuro, capace di assicurare prospettive di serena e costruttiva convivenza per tutti. La fede cristiana, rinnovata e consapevolmente vissuta, sia per voi ispiratrice, oggi come ieri, di impulsi nuovi, di risposte creative di fronte all’emergenza economica, alle disarmonie dello sviluppo e alle legittime attese di promozione in campo sia meridionale, che nazionale. Questo impegno, che si riassume nell’amore di Dio e del prossimo, come Cristo ha insegnato, è certo formidabile, ma è carico di futuro. Lo consegno a tutti e, in particolare, ai responsabili, specie se cristiani, della vita sociale e politica, culturale ed economica di Taranto e dei suoi vivaci comuni. È un impegno per l’uomo concreto, a partire dal più debole. Un impegno per la dignità dell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Un impegno per i giovani, che si affacciano oggi alla vita col fervore delle loro fresche energie».
Nella stessa occasione, il pastore che divenne Santo Subito ricordò come «ventun anni fa, Paolo VI voleva celebrare la Messa della notte di Natale tra gli operai del centro siderurgico, in questa terra, “chiamata - egli diceva - al risveglio e allo sviluppo economico, sociale, spirituale”. Sulle orme del mio predecessore, il Papa della “Popolorum Progressio”, la mia visita odierna è cominciata dall’area industriale, per sottolineare l’attenzione costante con cui la Chiesa segue questo delicato settore che, da sempre, condiziona nel bene e nel male la crescita, anzi l’immagine stessa della vostra comunità. Riconosciamo insieme, questa sera, la portata profetica delle parole di Paolo VI, allorché concludeva dicendo che, laddove è maggiore il pericolo della disumanizzazione - ed ogni ambiente di lavoro è esposto a tale pericolo - ivi è più urgente “il soffio del Vangelo, come ossigeno di vita degna dell’uomo”».
Paolo VI celebrò nell’allora Italsider la Messa di Natale del 1968 - un altro anno che rappresenta un tornante della Storia. «Siamo qua venuti per voi, Lavoratori! Per voi Lavoratori di questo nuovo e colossale centro siderurgico; ed anche per gli altri delle officine e dei cantieri di questa Città e di questa Regione; e diciamo pure per tutti i Lavoratori dell’immenso e formidabile settore dell’Industria moderna e non dimentichiamo neppure i Lavoratori dei campi, i Pescatori, gli Addetti ai cantieri navali, i Marinai, e quelli d’ogni altro campo dell’attività umana: voi ora tutti li rappresentate al Nostro sguardo».
Solo chi ha ascoltato lì, nel colossale centro siderurgico, queste frasi di Giovanni Montini, sa cosa ha sentito dentro di sè. Il Papa del dialogo con il mondo contemporaneo, per usare una espressione di Avvenire, a quegli uomini riuniti sotto gli altiforni di Taranto volle parlare «con il cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. Voi pensate e lavorate in una maniera tanto diversa da quella in cui pensa ed opera la Chiesa! Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. Una volta non era così. Anni fa Noi parlammo di questo fenomeno a Torino. Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere. Non è questo il momento di spiegarvi perché. Ma per ora vi basti il fatto che Noi, proprio come Papa della Chiesa cattolica, come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui Natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi la spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere. Ripeteremo ancora una volta da questo centro siderurgico, che consideriamo ora espressione tipica del lavoro moderno, portato alle sue più alte manifestazioni industriali, d’ingegno, di scienza, di tecnica, di dimensioni economiche, di finalità sociali, che il messaggio cristiano non gli è estraneo, non gli è rifiutato; anzi diremo che quanto più l’opera umana qui si afferma nelle sue dimensioni di progresso scientifico, di potenza, di forza, di organizzazione, di utilità, di meraviglia - di modernità insomma - tanto più merita e reclama che Gesù, l’operaio profeta, il maestro e l’amico dell’umanità, il Salvatore del mondo, il Verbo di Dio, che si incarna nella nostra umana natura, l’Uomo del dolore e dell’amore, il Messia misterioso e arbitro della storia, annunci qui, e di qui al mondo, il suo messaggio di rinnovazione e di speranza. Le conquiste dell’Umanità sono conferma della grandezza e dell’ineffabile disegno di Dio».
Nulla c’è da aggiungere, oltre cinquant’anni dopo.
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