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L'intervista
20 Aprile 2024 - 11:50
Lo sguardo calmo, serafico. In quegli occhi si legge la profonda sensibilità di quest’uomo, questo artista, che ha scritto alcune delle pagine più belle della storia della musica italiana. Sul palco, poi, sprigiona un’energia da ragazzino. Mogol ha ancora tanta voglia di divertirsi e regalare emozioni. Invita il pubblico a cantare le canzoni create con Lucio Battisti e oggi riproposte con il bravo Gianmarco Carroccia, che evoca voce e aspetto del mito di Poggio Bustone.
Il concerto al Teatro Nuovo di Martina Franca è un juke box che vorresti non finisse mai di suonare. Tra un brano e l’altro Mogol racconta come sono nati alcuni capolavori: “E penso a te”, ad esempio, scritta in auto, in una Seicento, nel breve tragitto tra Milano e Como. E poi ancora riflessioni di una dolcezza smisurata: «Il vero amore è soccorrere l’altro. A ottant’anni ho scoperto che l’autostima è fare del bene e quando fai del bene ritrovi una grande serenità, non hai neppure paura della morte».
Riusciamo a raggiungerlo nel camerino, pochi minuti prima del concerto.
Maestro, qual è la forza di queste canzoni che resistono al tempo e attraversano le generazioni? Parliamo di successi che in alcuni casi hanno anche più di 50 anni...
Sì, è vero. Io credo che ci sia una selezione da parte della gente. Penso che il vero critico importante sia proprio la gente. Evidentemente certe canzoni hanno dei requisiti che piacciono a più generazioni, non c’è un segreto particolare.
Come nasce l’ispirazione per queste canzoni che poi restano nella storia?
Guardi, quando scrivo una canzone sento cosa sta dicendo la musica. Cerco di capire quale sia il punto importante, cosa esprime. Sono abituato a decifrare la musica. Scrivo le parole partendo da quel punto e poi ricostruisco tutto per arrivare a quello che la musica dice, che è la cosa più importante. Costruisco le canzoni cercando di dire quello che la musica secondo me sta dicendo. È fondamentale questo, perché se la musica e le parole dicono la stessa cosa, allora arriva l’emozione.
Ecco, le emozioni. Il connubio con Lucio Battisti ha rappresentato una magia che poi non si è più ripetuta.
Beh, la stessa cosa è successa con Gianni Bella: “L’emozione non ha voce” forse è stata la canzone che ha avuto più successo. Almeno i dati Siae parlano chiaro. E poi le canzoni che ho scritto con Mango. Mango è stato uno dei più grandi in assoluto al mondo. Se lei ascolta con calma le sue canzoni si accorgerà e si convincerà che era uno dei migliori del mondo.
Però è rimasto fermo nella sua Basilicata..
Lagonegro è un paese di poche persone. Lui aveva questa casetta e non è uscito di lì. Come fa la gente del mondo a conoscerti? Ma il suo potenziale era spaventoso.
Adesso abbiamo la figlia
Io l’ho vista a 6 anni che suonava una canzone che aveva fatto lei al pianoforte.
Cosa pensa della musica leggera italiana attuale? Non trova che ci sia omologazione nei suoni e manchi forse un po’ di poesia nei testi?
Dico la verità: io sono autore e non voglio fare il critico per una questione di correttezza. Credo che le canzoni che sopravvivono al tempo sono quelle che colpiscono emotivamente le varie generazioni. Quando questo accade è una sorta di diploma della canzone. Se non succede vuol dire che c’è qualche cosa che la rende difficile da capire o meno comprensibile. Comunque è il giudizio della gente quello che porta certe canzoni a diventare eterne o meno.
Quanto è stato doloroso il distacco umano e artistico da Lucuio Battisti?
È stato doloroso, sì. Da Battisti mi sono separato prima che morisse perché avevo rivendicato l’equità nelle edizioni. Lui mi disse sì alla sera; poi la mattina ci aveva ripensato forse convinto da qualcuno... ma io gli ho detto di no. Io concedo equità e voglio equità non solo per me ma per tutti. Non la pretendo solo per me, ma anche per gli altri.
C’è tra le tante canzoni una in particolare che le è rimasta nel cuore?
Non ce n’è una, ce ne sono almeno una ventina e se poi ci penso... magari anche di più.
Nelle foto di Vito Manzari (sia quella di sopra che quella del video) alcuni momenti dello spettacolo che si è tenuto giovedì 18 aprile al Teatro Nuovo di Martina Franca
Poi la conversazione si scioglie in un tono più informale. Non c’è più bisogno di fare domande. Mogol apre i suoi pensieri sulla poesia, ad esempio. «I miei poeti preferiti? Shakespeare, Dante, Leopardi. La poesia è molto semplice, non bisogna cercare effetti speciali, basta interpretare la vita». E per dimostrare quanta profonda semplicità possa esserci nei versi, ne ricorda una scritta da lui tempo fa: “L’offerta silenziosa dell’albero: ‘Se mi fai compagnia ti regalo la mia ombra’”.
Quasi un aforisma, come quello che piacque a papa Francesco: «Gli inviai una lettera e scrissi che due fratellini disegnano la stessa mamma in modi diversi. Allo stesso modo, Dio è uno solo ma ha tanti nomi, ognuno lo chiama a suo modo. In Oriente è Allah, da noi è Dio. Ma è lo stesso. Papa Francesco mi rispose con una lettera scritta di suo pugno: lui è una persona molto semplice e intelligente».
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