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L'acciaieria

1976-1980 la dicotomia: successo e sconfitte

Così nacque la fabbrica a Taranto

Una veduta del siderurgico (foto d'archivio)

Una veduta del siderurgico (foto d'archivio)

Il “raddoppio” è ultimato ma ….

I lavori per il “raddoppio” erano finiti. In stabilimento c’era un’atmosfera strana, vivace, euforica e insieme consapevole e preoccupata. Vivevamo nello stabilimento più grande d’Europa, atto a produrre lamiere, coils e tubi per l’industria nazionale ed europea che sembrava stessero galoppando e noi puntavamo a portare la capacità produttiva a 10,5 milioni di tonnellate quando si intravvedevano sommovimenti sindacali, sociali ed economici.

In quel clima euforico incappai in una brutta figura. In una riunione di capi, l’ing. Spallanzani ci invitò ad esprimere quello che pensavamo di quel momento. Arrivato il mio turno, dissi che ero meravigliato del fatto che non ci fosse ostentazione della nostra appartenenza all’Italsider (spillette, distintivi, cravatte) come invece mi era capitato di notare, per esempio, in IBM. Aggiunsi che forse non c’era consapevolezza di quanto fosse grande ed importante il Siderurgico e proposi di organizzare per i nostri visite nelle altre aree, come i tubifici e i treni nastri. Spallanzani mi fulminò: “Bravo ingegnere e poi ci pensa lei a far andare i nostri sul piano dei coperchi delle cokerie?” Lucido, un po’ cinico ma aveva ragione lui. Quella battuta mi tornò in mente oltre una ventina di anni dopo, vedendo e ascoltando il dr. Patrizio Mazza, ematologo ben conosciuto dai tarantini: eravamo in audizione al Ministero dell’Ambiente e Mazza proiettava e commentava fotogrammi proprio del piano dei coperchi delle cokerie, c’erano ombre che si muovevano tra fumi e fuochi.

Il fatto è che proprio quando il “raddoppio” finiva, scoppiava la crisi internazionale dell’acciaio. Il consumo di acciaio nel mondo e ancor più nella Comunità europea. La siderurgia pubblica italiana mostrava eccesso di capacità produttiva, peggioramento delle relazioni industriali, crollo della produttività degli stabilimenti e alto costo del lavoro con un sensibile deterioramento finanziario proprio per l’investimento di 1.326 miliardi di lire del “raddoppio”. Nel 1971 la produzione di acciaio era stata di 3,875 milioni di tonn/anno; nel 1976 arrivò a 7,762 milioni di tonn/anno con 21.009 addetti diretti e 10.000 unità di personale di terzi per esercizio e manutenzione. Alla fine dei lavori del “raddoppio” partì la “Vertenza Taranto” che fu pompata oltre misura e portò all’assunzione di 10.000 unità che avevano partecipato al “raddoppio”.

Rapporto con i Sindacati - Prime avvisaglie sanitarie – Contrazione del mercato

I tre sindacati nazionali FIOM/CGIL, FIM/CISL e UILM/UIL avevano fondato nel 1972 la FLM - Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici. I tre sindacati tarantini avevano messo casa insieme, in piazza Bettolo, in un edificio a tre piani, con in cima la grande insegna FLM, visibile ancora oggi.

I sindacati tarantini, che mantennero una forte unità di azione anche dopo lo scioglimento della FLM nazionale nel 1984, avevano organizzato subito la prima piattaforma rivendicativa di quella che sarà la lunga “Vertenza Taranto”, riaffermando nel corso dei decenni la propria presenza in Italsider e nell’area industriale e contribuendo a modificare i rapporti sociali, politici, economico-produttivi della città e in gran parte della provincia. Alla fine del “raddoppio”, per la “Vertenza Taranto” si raggiunse l’accordo sul problema dell’eco-compatibilità e dell’ammodernamento impiantistico e, in particolare, sull’organizzazione del lavoro e sugli investimenti “ecologici”.

Il costo del lavoro all’Italsider si collocava ad un livello nettamente superiore alla media nazionale. In effetti la forza-lavoro era ben organizzata, con il potere contrattuale di un sindacato forte di una percentuale di adesioni del 75%. La caduta di produttività era dovuta alla diminuzione di attività produttiva inquadrata, a sua volta, nella crisi strutturale dell’azienda.

Nel 1976 venne varata la legge Merli sugli scarichi industriali. Rimarrà inapplicata fino alla metà degli anni Ottanta, per i ritardi del Governo nell’emanare i decreti esecutivi.

Nel 1978 con la legge 833 sulla sanità venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e le Unità Sanitarie Locali (USL), apparati tecnico-burocratici a cui vengono assegnati anche compiti di prevenzione e tutela dell’ambiente.

Nel 1979 dall’Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), presente nel Siderurgico sin dall’insediamento, “cominciarono ad essere resi noti i primi dati relativi all’incidenza delle malattie professionali derivanti dall’esposizione a gas, fumi e polveri altamente nocivi. A settembre vennero installate 5 stazioni fisse di rilevamento, posizionate in punti strategici. Venne prodotto il “primo rapporto sullo stato dell’ambiente nell’area jonica.”

A livello mondiale, lo shock petrolifero del 1979 e la contrazione del mercato siderurgico contribuirono a determinare il crollo dei consumi mondiali d’acciaio. La CEE cercò di intervenire razionalizzando la produzione dei diversi Paesi aderenti e favorendo la mobilità della manodopera. I piani Davignon della Comunità Europea concedevano prestiti solo a progetti d’investimento con riduzioni compensative; furono introdotte quote obbligatorie di produzione e politiche efficientiste. Nel Siderurgico solo i tubi ebbero un certo sviluppo, mentre coils e semiprodotti registrarono crescenti passivi, nonostante il successo industriale del raddoppiato centro siderurgico di Taranto.

Nel 1980 la crisi del settore siderurgico accelerò con un calo costante della domanda mondiale. A Taranto cominciarono a delinearsi i rischi ambientali derivanti dal Siderurgico.

Il 3 marzo 1980 il Presidente Sandro Pertini visitò il Siderurgico, “si fermò a lungo tra i lavoratori che lo festeggiarono e mangiò alla mensa dello Stabilimento (gli venne offerto un piatto di verdura con purè di fave che Pertini gradì molto)”. 

Il 31 maggio 1980 la Comunità europea dichiarò lo stato di crisi manifesta per il settore, definì trimestralmente le quote di produzione e impose un programma di chiusure (Taranto esclusa).

Il management del Siderurgico reagisce

Intanto nell’opinione pubblica era montata una certa riserva sulla validità delle Partecipazioni Statali e segnatamente della siderurgia pubblica “accusata di essere orientata alla ricerca del consenso politico-sociale come fine ultimo, protetto dal sostegno finanziario statale, in uno scenario di aspra competizione internazionale e di flessione del mercato. I manager pubblici aderivano asetticamente alle direttive politiche imposte sia a livello nazionale che locale in quanto garantiti dai fondi necessari al proprio sostegno.” Essi impedivano così “la risoluzione in modo razionale dei problemi di eccesso di capacità produttiva che li attanagliano”.

I “manager pubblici” del Siderurgico operavano al meglio nelle Partecipazioni Statali, certi della loro profittabilità, difficile ma non impossibile.

Ad esempio, nel 1976 a Taranto si tenne la Subfor, vetrina di potenzialità, produttività e tecnologie dell’imprenditoria del Meridione. Fu “inventata” dal dr. Sergio Noce, allora direttore amministrativo del Siderurgico, e realizzata dalla Camera di Commercio di Taranto. Purtroppo fu una fiammata senza seguito.

In quel periodo nel Siderurgico era stato avviato il TIMS – Taranto Integrated Maintenance Systems con la Nippon Steel Corporation (NSC), nelle cui fasi, dall’autunno del 1974 fino alla primavera del 1980, ebbi una certa parte.

Di quel tempo ho un bellissimo ricordo ma poche “carte in casa”. Il “malloppone” di quel periodo (forse un centinaio di volumi e fascicoli) si trova in custodia temporanea nella sezione tarantina del Politecnico di Bari, professori Pierpaolo Pontrandolfo e Barbara Scozzi, che ringrazio ancora una volta per l’onore fattomi. Tra un po’ di tempo, che mi auguro il più lontano possibile, quel “malloppone” confluirà nell’Archivio di Stato di Taranto insieme ad altri miei documenti, in qualità di “archivio privato di importante interesse storico”, come da Decreto del Ministero della Cultura.

Qui, per raccontare di quel TIMS, aiuterò la memoria con quanto ne scrissi nel “Manuale di manutenzione degli impianti industriali e servizi” edizione FrancoAngeli 1998.

La meteora del Tims

I costi per la completa e razionale utilizzazione degli impianti sono una fetta molto importante del bilancio aziendale. La complessità degli impianti richiede grande quantità di manutentori con elevati livelli di qualificazione e professionalità. Negli anni ’70 nelle grandi aziende siderurgiche il costo di manutenzione è il 10% del costo totale di trasformazione e le risorse di manutenzione, terzi inclusi, sono circa il 25% del totale.

A Taranto il grosso dei lavori del “raddoppio era ultimato e necessitava adeguare la manutenzione che comunque avrebbe inciso sui nostri conti economici.

Nel mondo, sulla manutenzione, all’impostazione anglosassone era subentrata la giapponese “manutenzione produttiva totale”, derivata dai concetti della “Qualità totale”, del “Just in time” e della “Fabbrica snella” che, tra noi manutentori sider-tarantini, erano sconosciuti. Per incamminarci su quella strada, l’Italsider sottoscrisse un contratto con la Nippon Steel Corporation (NSC).

Nel 1974 partì il TIMS – Taranto Integrated Maintenance System, in cui la componente italiana era guidata dall’ing. Antonio Chiaverini, reduce dal bel successo di Afo/5 e dal dr. Filippo Catapano di ORG, coadiuvati da tecnici di manutenzione delle varie aree di stabilimento tra cui io stesso in rappresentanza di APR/Man (Agglomerato e Preparazione minerali).

Il TIMS si sarebbe svolto in 4 fasi: 1^ Master Plan – Piano regolatore; 2^ Detail Design – Progettazione dettagliata; 3^ Switching over – Commutazione vecchio/nuovo; 4^ Implementation – Messa in esercizio a regime.

All’avvio del progetto si riconobbe che la gestione efficace della manutenzione, soprattutto in aziende grandissime come la nostra, necessitava di un sistema integrato che tratti sia gli aspetti propri della manutenzione, sia quelli correlati con le altre funzioni, sviluppando nello stesso tempo le attività tecniche, operative e gestionali. A Taranto quel sistema non c’era e la manutenzione andava male, per questo era stato deciso di realizzare il TIMS con il via alla 1^ fase - Master Plan.

Ci fu precisato che nella sua accezione rigorosa Master Plan significa solo piano regolatore del progetto, mentre è prevalente la consuetudine di intendere il significato di “Master Plan” esteso a tutto il progetto, fino alla messa in esercizio.

Io partecipai alla 1^ fase - Piano regolatore (1974 – 1977) e alla 2^ fase - Progettazione di dettaglio (1978 – 1980), arrivando ad essere il coordinatore dei Capi di manutenzione assegnati al TIMS, nonché estensore materiale della maggior parte dei documenti. Qui ne faccio solo qualche flash.

Preparazione del Master Plan. Fu effettuata la rilevazione e l’analisi sia degli eventi più significativi delle attività di manutenzione, a livello di stabilimento e di singola area, sia delle relazioni tra il sistema di manutenzione e gli altri sistemi (ad es. programmazione della produzione). Tutto questo fu realizzato attraverso il “questionario” (per conoscere storia e stato dello stabilimento) e le “rilevazioni in campo” (esperienze dirette con affiancamento casualizzato a tecnici di stabilimento). A consuntivo emerse il documento “Problemi emersi e relativi provvedimenti”, raggruppati in funzione dei vari sottosistemi (Controllo costi, controllo tecnico, ecc.). A fronte di ciascun problema è abbozzata la soluzione e la sua influenza (benefici attesi, risorse necessarie, vincoli da rimuovere e priorità di situazione). Ultimata l’analisi, prima di procedere alla stesura delle soluzioni effettive, si ottenne la conferma definitiva della Direzione aziendale su cosa vuole ottenere, per quali motivi e con quali vincoli. Furono fissati i prerequisiti (condizioni esterne alla manutenzione) e i sottosistemi (comuni e specifici di area) e si chiuse la 1^ fase Master Plan.

Alcuni mesi dopo partì la 2^ fase – Progettazione di dettaglio.

Sulla base degli indirizzi dei sottosistemi varati nel Master Plan si definirono con le carte di responsabilità, gli organigrammi, le mansioni, le procedure, i metodi, i documenti, i collegamenti con le altre funzioni, i moduli, i dati. Si individuarono esigenze addestrative e di ricollocazione di personale e si formularono i relativi programmi di realizzazione.

Mancava pochissimo alla fine ufficiale della 2^ fase del TIMS, quando ebbi un durissimo scontro con l’ing. Chiaverini che, contro il parere dei Capi di manutenzione di cui ero portavoce e dei colleghi giapponesi, aveva assecondato ed approvato alcune richieste della Direzione acquisti. Detti le dimissioni immediate dall’incarico nel TIMS, a pochi giorni dalla celebrazione della 2^ fase del TIMS, con arrivo in stabilimento dei vertici Italsider da Genova e NSC da Tokio. Intervenne la mediazione del dr. Catapano ed io congelai le dimissioni a fronte dell’impegno della Direzione di Stabilimento di assecondare il mio rifiuto ad occupare qualsiasi posto in manutenzione. Dopo la cerimonia di chiusura mi dissero che sarei stato nominato Capo dell’Ufficio Tecnico di Stabilimento. E per me cominciò.

Biagio De MarzoFedermanager Taranto

(7. continua)

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