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L'intervento

Taranto e Cornigliano, alleanza delle comunità contro l’industria imposta

Il Comitato No Forno Elettrico Genova si schiera al fianco delle madri tarantine nella battaglia per il diritto alla salute. L’appello: «Non nuove servitù industriali, ma una vera riconversione fondata sulla giustizia ambientale»

L'ex Ilva

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TARANTO - Si rafforza l’asse tra Taranto e Cornigliano nella difesa del diritto alla salute e nella lotta contro modelli industriali imposti dall’alto. Il Comitato No Forno Elettrico Genova, attraverso un documento firmato dall’attivista e docente Daniela Malini, ha espresso piena solidarietà alle madri tarantine, sostenendo la loro denuncia pubblica contro il peso sanitario e sociale della siderurgia a caldo.

L’iniziativa si inserisce nel solco di un intenso carteggio avviato con il sociologo del lavoro Raffaele Bagnardi, che aveva sottolineato i legami storici e le analogie tra le due città. Taranto, designata dalle Nazioni Unite come unica “zona di sacrificio” in Europa, vive da decenni l’impatto dell’industria siderurgica. Cornigliano, dopo anni di mobilitazioni, aveva ottenuto la chiusura dell’altoforno, sancita da un accordo di programma e confermata da una sentenza del TAR.

Oggi, però, nel quartiere genovese torna a far discutere il progetto di un forno elettrico ad arco da 2,5 milioni di tonnellate annue, considerato da molti un ritorno mascherato alle lavorazioni a caldo. Per il Comitato genovese, l’area è già segnata da pesanti criticità ambientali: impianti per il trattamento dei fanghi industriali, il petrolchimico di Multedo, traffico portuale intenso e un’incidenza elevata di patologie connesse all’inquinamento.

Sono stati ricordati anche i dati emersi da numerose autopsie e la recente sentenza della Cassazione che ha riconosciuto i reati ambientali come reati climatici, perseguibili anche nei confronti di soggetti privati.

Il confronto con Bagnardi ha portato il sociologo a riconoscere la valenza politica e culturale della mobilitazione, definendo Taranto e Cornigliano non casi isolati ma laboratori critici per il futuro del Paese. Al centro del dibattito, la necessità di passare da un modello industriale calato dall’alto a un paradigma fondato sulla partecipazione delle comunità, sul sapere locale e sulla riconversione autentica delle economie.

Per il Comitato, la transizione ecologica non può diventare un pretesto per nuove forme di colonialismo industriale. La mobilitazione proseguirà affinché le scelte sul futuro vengano costruite dal basso, in un percorso condiviso che anteponga la giustizia ambientale e sociale a ogni logica di profitto.

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