Taranto è una città che da decenni paga un prezzo altissimo a causa della sua (diciamo) vocazione siderurgica. L'impatto ambientale e sociale sono qui un danno reale accertato; e ora diventano una minaccia persistente. Il vecchio modello economico industriale "totalizzante", con gli altoforni e i processi produttivi altamente inquinanti, ha lasciato un'eredità molto gravosa. Le incidenze sulla salute pubblica sono devastanti, con tassi di patologie significativamente superiori alla media nazionale.
Ciò ha generato nella comunità tarantina un profondo senso di ingiustizia e abbandono. Vaste aree sono compromesse e ancora aggredite dall'inquinamento. La denuncia è un imperativo etico e civile ed è la voce di chi ha subito e continua a subire le conseguenze di scelte poco condivise e talvolta spiegate in modo fuorviante. La città sopporta da sempre il dilemma tra il diritto alla salute e il bisogno del lavoro. Migliaia di famiglie dipendono direttamente o indirettamente dall'acciaieria, e questo legame si scontra ogni giorno con la fatale consapevolezza dei rischi. La tensione continua colpisce profondamente la società; i movimenti civici si battono adesso per una vera ambientalizzazione, mentre i sindacati devono orientarsi e districarsi tra la difesa dell'occupazione e la richiesta di condizioni di lavoro sicure e dignitose.
Le Amministrazioni della provincia, in tale contesto, si sono fatte portavoci delle istanze popolari, assumendo un ruolo di ferma opposizione alle decisioni governative, come dimostra la netta contrarietà alla nuova AIA e al rigassificatore. Il risarcimento non può più consistere in una sia pur congrua compensazione materiale, ma deve trasformarsi nella radicale inversione di rotta che garantisca alle comunità una reale prospettiva di reindustrializzazione compatibile.
Cornigliano, nel Nord Italia, presenta un quadro differente. Pur essendo un sito siderurgico di lunga data, gli effetti ambientali e sociali, sebbene presenti, non hanno raggiunto i livelli umanitari e di gravità riscontrati a Taranto. Sicché la questione si concentra maggiormente sull'introduzione di nuove tecnologie e sull'innesto dell'impianto industriale nel tessuto urbano. Il forno elettrico previsto a Cornigliano è una soluzione significativamente meno inquinante rispetto alla permanenza protratta degli altoforni a Taranto. Tuttavia, la sua implementazione solleva legittime preoccupazioni tra i residenti per la vicinanza alle abitazioni e per gli impatti residui.
L'attenzione si sposta quindi sulla interazione tra attività industriale e qualità della vita di prossimità, richiedendo interventi di mitigazione tecnica e riqualificazione urbana. In quel contesto, sono più importanti la prevenzione e il controllo, affinché non si ripetano certi errori del passato. Dal punto di vista socioeconomico, la dipendenza dalla siderurgia, pur significativa, non è così marcata come a Taranto. Genova ha un sistema reddituale più diversificato, il che attenua il conflitto tra esigenze di salute e opportunità lavorative. La politica istituzionale ligure, ben sensibile alle istanze dei cittadini, tende allora a un approccio più pragmatico e negoziale con il Governo centrale, cercando di cogliere questa nuova opportunità di rilancio industriale e chiedendo piani di investimento significativi.
Le profonde divergenze tra Taranto e Cornigliano riflettono dunque due modi distinti di affrontare la crisi industriale e ambientale. A Taranto, al Sud, la vertenza è dominata da un peso storico significativo, dalle emergenze sanitarie e occupazionali in corso e dal disagio delle Amministrazioni locali che si sentono assediate e costrette a una strenua difesa dei propri territori e della popolazione. L'obiettivo primario è la giustizia ambientale ottenibile esclusivamente attraverso la vera trasformazione del modello produttivo, anche se comporta costi economici elevati nel breve termine.
A Cornigliano, la vertenza si configura invece più come una sfida strategica, con l'opportunità di inserire nuove tecnologie e rafforzare la filiera siderurgica in un'ottica di assoluta modernizzazione.
Non di meno, queste due realtà, pur così distanti per geografia e per congiunture attuali, sono operativamente connesse. La crisi di Taranto ha infatti dirette ripercussioni al Nord per gli utilizzatori di semilavorati, come dimostrano gli effetti sull'impianto di Novi Ligure. Perciò, è fondamentale riconoscere le specificità e le priorità di ciascun territorio, evitando soluzioni approssimative o arbitrarie, ed è necessario costruire un percorso nazionale che sia davvero praticabile per tutti.
Comunque, al momento, resta l'attesa su due appuntamenti imminenti – il Consiglio Comunale a Taranto e il Tavolo dell'Accordo di Programma al MIMIT – che, nell'arco di pochi giorni a luglio, saranno determinanti e dirimenti per la città e, di riflesso, per l'intera industria siderurgica italiana e forse addirittura europea.
Raffeale Bagnardi
Sociologo del Lavoro
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