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Il processo
24 Settembre 2024 - 12:55
Il processo Ambiente Svenduto
Nessun generico condizionamento ambientale, ma la specifica posizione di due magistrati (la posizione di un terzo viene considerata irrilevante) che si erano costituiti parte civile ha indotto la Corte d’Assise d’Appello ad annullare la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto e a rimettere gli atti al Tribunale di Potenza. La Corte d’Appello, nella sentenza del 13 settembre, ha quindi accolto le istanze della difesa che per ben due volte, nel corso del lunghissimo processo, sia in udienza preliminare che dinanzi al giudice di primo grado, aveva sollevato la questione di incompetenza territoriale, con riferimento all’articolo 11 del codice di procedura penale. Eccezioni respinte con quattro diverse ordinanze. Questo emerge dalle motivazioni depositate in cancelleria il 23 settembre.
In particolare, come detto, sono state le posizioni di alcuni magistrati a determinare questo epilogo. Due dei magistrati costituitisi parte civile avevano svolto le funzioni di giudice di pace, un terzo aveva svolto le funzioni di componente esperto della sezione agraria del Tribunale di Taranto. Tutti in esercizio al momento dei fatti contestati, sebbene successivamente uno di loro avesse revocato la costituzione di parte civile. Ad uno degli altri due magistrati, invece, con la sentenza di primo grado era stato riconosciuto finanche il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ed anche la liquidazione di una somma a titolo provvisionale.
Secondo la Corte d’Appello, che argomenta con ampi riferimenti giurisprudenziali, non rileva il fatto che i tre magistrati abbiano ritirato (uno di loro, come visto) la costituzione di parte civile o che non svolgano più le loro funzioni, ma rileva la circostanza che al momento del fatto (quindi al momento in cui i reati sarebbero stati commessi) fossero formalmente inquadrati nell’ordinamento giudiziario. La loro costituzione di parte civile è certamente legittima, ma la loro posizione di magistrati ha innescato la questione di incompetenza territoriale secondo l’articolo 11 del codice di procedura penale.
Una questione sollevata dagli avvocati del nutrito collegio difensivo delle diverse parti in causa: gli avvocati Pasquale Annicchiarico, Luca Perrone, Daniele Convertino, Carmine Urso, Enzo Vozza, Gian Domenico Caiazza, Pasquale Lisco, Leonardo Lanucara, Michele Rossetti, Carlo e Claudio Petrone, Carlo Raffo, Laura Palomba.
Considerata infondata, invece, l’argomentazione della difesa secondo la quale il processo sarebbe viziato dal fatto che i magistrati di Taranto potrebbero essere, in astratto, parte lesa per il solo fatto di essere abitanti o proprietari di immobili nell’area circostante lo stabilimento siderurgico.
L’incompetenza territoriale – sottolinea in conclusione la Corte d’Appello, presieduta dal giudice Antonio Del Coco – avrebbe dovuto essere rilevata sin dalla fase dell’udienza preliminare.
Così, invece, non è stato e quindi dopo otto anni (il processo ha avuto avvio nel maggio del 2016 dopo una “falsa partenza” del 2015 per vizi formali), bisognerà ripartire da zero, questa volta a Potenza. In primo grado erano state inflitte 26 condanne per complessivi 270 anni di carcere, oltre ai risarcimenti alle parti civili.
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