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Elezioni

L'irresistibile inconsistenza del centrodestra

L'alleanza con i reduci di Melucci, i condizionamenti esterni, la rinuncia alla propria identità: ecco cosa sta accadendo

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Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia: i tre principali partiti del centrodestra

Ha ancora senso parlare di centrodestra a Taranto? Le ultime notizie sulla quasi certa alleanza con gli ex sostenitori di Melucci, quasi tutti la volta scorsa eletti col centrosinistra, lasciano pensare che, anche in questa occasione, lo schieramento di centrodestra non abbia forza e qualità per esprimere e tutelare una propria identità. Sembra una fragile prateria aperta alle scorribande di famelici predatori. Più che a Taranto le decisioni sembrano appese alle volontà dettate da Lecce o da Roma, magari passando da Massafra.  Altro che Taranto ai tarantini!

A Taranto, in verità, il centrodestra non è più esistito dopo la stagione di Rossana Di Bello. Calato il sipario in quel drammatico febbraio del 2006, quando il primo sindaco donna si dimise dall’incarico, il centrodestra si è letteralmente dissolto. Una dissoluzione che si è completata con la tragica scomparsa dell’onorevole Pietro Franzoso, l’unico con la statura politica adeguata per tentare una ricostruzione. Che in verità non c’è mai stata.

Passi per gli anni immediatamente successivi al dissesto, quando c’era da pagare lo stigma di aver portato la città al fallimento - anche se analisi revisioniste oggi temperino quel disastro - il centrodestra non ha mai saputo approfittare di quel che è accaduto a Palazzo di Città negli anni a seguire. Dieci anni di Ippazio Stefàno - che se da un lato ha dovuto combattere con le restrizioni imposte proprio dal dissesto, dall’altro si è caratterizzato per il totale vuoto di visione e proposta per la città - non sono serviti al centrodestra a riprendere in mano il pallino del gioco. Prima la sciagurata sconfitta al ballottaggio di Stefania Baldassari contro Rinaldo Melucci, poi la sconcertante scelta di candidare a sindaco addirittura l’ex segretario del Partito Democratico: una umiliante ammissione dell’incapacità di proporre proprie figure di alto profilo e allo stesso tempo la constatazione di non aver saputo costruire negli anni una classe dirigente strutturata sul territorio e, di conseguenza, una strategia di largo respiro. Tanto da lasciare le redini dei più grandi partiti a personalità che tarantine non sono e forse per questo in difficoltà a comprendere sentimenti e dinamiche della città capoluogo e forse anche poco interessate a restituirle centralità politica. Così il centrodestra si è lasciato cogliere impreparato sia in occasione della prima caduta di Melucci, sia oggi con la seconda caduta del sindaco proposto e riproposto dal Pd. Oggi, peraltro, in una situazione ancora più imbarazzante rispetto alle elezioni del 2022, se è vero, come ormai appare chiaro, che a rappresentare il centrodestra nella sfida contro Piero Bitetti - principale competitor - sarà Francesco Tacente, nome di maggiore spicco tra quanti avevano aderito al contenitore “Io c’entro”, nel quale si erano raccolti per scelta opportunistica tutti i sostenitori di Melucci.

Tacente, persona stimabilissima, si porta tuttavia dietro proprio quel carico politico di “profughi” che hanno trovato strada sbarrata nel centrosinistra e che ora, saliti prontamente sul suo carro, sono in cerca di un rifugio dove trovare riparo. Rifugio che il centrodestra sembra disposto ad offrirgli, senza alcuna preoccupazione per quei consiglieri uscenti che in questi anni sono stati arroccati tra i banchi dell’opposizione e che ora rischiano di essere scavalcati nella loro stessa coalizione da chi era dall’altra parte della barricata.

Il paradosso: quel centrodestra che avrebbe dovuto incarnare la radicale discontinuità con i sette anni di amministrazione Melucci, sta invece per disegnarne l’ideale linea di continuità, caricandosi gran parte di quei personaggi, in alcuni casi privi di qualsivoglia profilo politico-culturale, che in questi anni all’insegna della più arrembante caccia alla postazione hanno contribuito a fare del consiglio comunale un misero teatrino nel quale sono andate in scena le più becere esibizioni di spregiudicato trasformismo.

Con una operazione di strabiliante harakiri politico, il centrodestra in poche settimane è riuscito nella formidabile impresa di consegnare al Pd, cioè il partito artefice delle amministrazioni Melucci, la patente di avamposto dell’opposizione e di alfiere di quella discontinuità che invece avrebbe dovuto essere il cavallo di battaglia di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Si dice: il cinico calcolo elettorale porta all’alleanza con i civici perché questi portano voti determinanti per la vittoria, anche al prezzo di subirne il nome del candidato sindaco. Manca tuttavia, in questo ragionamento, l’altra parte del calcolo: quanti voti si perdono per ogni voto portato dagli ex melucciani; quanti elettori di centrodestra, cioè, preferiranno restare a casa o addirittura votare per candidati di altri schieramenti pur di non turarsi il naso e portare acqua al mulino di chi in questi anni è stato complice del governo marcato Melucci. Governo che nell’opinione pubblica viene ormai identificato con la gravissima condizione di degrado economico-sociale e culturale nella quale è sprofondata la città. Con l’alleanza con i cosiddetti “civici” il centrodestra ha scelto di caricarsi sulle spalle il peso del fallimento politico dell’amministrazione uscente. Eppure l’esperienza di Melucci insegna che anche la più larga vittoria può trasformarsi nel peggiore degli incubi se hai una maggioranza che non sulla politica si regge ma sui variegati appetiti e sulla voracità di ciascuno.

Quindi: inettitudine politica o irresistibili condizionamenti esterni in una sorta di risiko che comprende anche l’Autorità Portuale? La verità potrebbe contenere entrambe le cose. Difficile che comprenda anche l'interesse per Taranto.

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