Notizie
Cerca
Il Siderurgico
30 Maggio 2024 - 06:15
L'ex Ilva
«Domani a Catania incontrerò la commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, e certamente in quella sede mi confronterò con lei sul prestito ponte presentato agli uffici della Commissione per poter rilanciare l’ex Ilva, un sito produttivo che ha bisogno di una significativa manutenzione degli impianti e un ripristino dei livelli produttivi. Sono fiducioso che questo dossier si concluda positivamente». Le parole del ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, fanno presagire che domani, venerdì 31 maggio, potrebbe essere un giorno importante per il Siderurgico tarantino. Dal rendez vous in Sicilia con Vestager il ministro si attende un sostanziale via libera al prestito da 320 milioni essenziale per non staccare la spina alla fabbrica tarantina ed agli altri stabilimenti di Acciaierie d’Italia (in amministrazione straordinaria) che da questa dipendono.
Intanto, è prevista una nuova scadenza - 31 maggio 2030 - nel contratto di affitto per gli impianti del Siderurgico di Taranto tra Ilva in amministrazione straordinaria e Acciaierie d’Italia - anche questa in amministrazione straordinaria Per il commissario Giancarlo Quaranta l’ex Ilva potrà ora “continuare a gestire gli impianti dal punto di vista industriale” e “l’azienda avrà una sua storia grazie a questa firma”. “La gestione operativa degli stabilimenti verrà svolta dai commissari di Acciaierie d’Italia” ha sottolineato lo stesso Quaranta. Marredì mattina a Palazzo Carpegna i Commissari di Acciaierie d’Italia in Amministrazione Straordinaria sono intervenuti in audizione presso la Nona Commissione (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato in relazione alle sezioni del “decreto Agricoltura” riguardanti il siderurgico.
“L’’impegno di Adi in As punta a ristabilire produzione, affidabilità e qualità dell’impianto Ex Ilva di Taranto come obiettivo cruciale per garantire l’operatività anche degli altri impianti legati al ciclo produttivo. A questo proposito le risorse derivanti dal patrimonio destinato di 150 milioni di euro saranno indirizzate alla realizzazione del Piano di Ripartenza elaborato dall’azienda con il fine di consentire, da un lato, la ripresa produttiva dello stabilimento e, dall’altro, garantire l’esecuzione dell’attività di manutenzione volte a ristabilire sicurezza e continuità nei livelli produttivi dell’impianto oltre ad assicurare l’occupazione dei diretti dell’Acciaieria”. “Abbiamo definito un piano industriale che opera nella direzione di poter dimostrare che quanto preventivato come valore del prestito ponte di 320 milioni potrà essere restituito dall’azienda” ha proseguito Quaranta. “In qualità di Commissari, il nostro ruolo è quello di ristabilire le condizioni per creare valore all’impianto. Abbiamo trovato un’azienda che su tre altoforni ne aveva solo uno operativo. Immaginiamo di recuperare un secondo altoforno per poterlo porre in marcia al termine della stagione estiva”. Alle audizioni non ha partecipato Aigi, associazione che raggruppa diverse imprese dell’indotto, «in quanto, dopo aver più volte incontrato i rappresentanti del Governo ed averli informati circa le problematiche irrisolte dell’indotto e nonostante tutti i tavoli ai quali Aigi ha presenziato supportando anche le scelte e condividendole, ad oggi le aziende dell’indotto sono abbandonate e sono alle prese con un fallimento preannunciato. Sotto gli occhi della seconda amministrazione straordinaria si sta manifestando l’inesorabile processo che provocherà la morte dell’indotto». E’ quanto si legge in una nota della stessa associazione. Fornito anche un dato preoccupante: «Le aziende di Aigi, saranno costrette a chiudere i battenti per almeno il 60% dei casi e a ridimensionarsi in maniera drastica per il rimanente 40%». L’associazione rivendica di avere «supportato il Governo e le istituzioni» e «ripreso le attività il 24 marzo scorso, per il bene dello stabilimento, riprendendo le attività di manutenzione, forniture e trasporti. Nelle molteplici interlocuzioni avute con ogni istituzione coinvolta nella soluzione della crisi è sempre emerso che l’attenzione rivolta all’indotto avrebbe prodotto risoluzioni in tempi ragionevoli. È comunque opportuno ribadire che la lenta ripresa non potrà mai ristabilire la perdita di più di 150 milioni del 2015 e più di 120 milioni dell’anno 2023. Non c’è più tempo né forza economica per affrontare il futuro». Il nodo resta quello del recupero dei crediti pregressi, senza il quale «non esisterà futuro industriale per le aziende dell’indotto. Ciò che sta avvenendo oggi attraverso l’impegno dei commissari è importante ed indispensabile ma non ci può essere un futuro se non ci sarà il ristoro dei crediti dell’indotto. Abbiamo bisogno di dare risposte ai nostri dipendenti, collaboratori e fornitori. Non è consentito a noi per primi promettere né oggi e ne è possibile immaginare di dover attendere oltre».
Chi ha preso parte all’audizione è stata l’associazione ambientalista Peacelink, secondo la quale «dal primo novembre 2018 al 31 dicembre 2022, la gestione dell’ex Ilva ha accumulato passività globali per ben 4 miliardi e 700 milioni di euro, come confermato da fonti governative». Per l’associazione, rappresentata dal presidente Alessandro Marescotti, «il decreto legge 63/2024 ignora questa drammatica realtà, prevedendo ulteriori 150 milioni di euro a favore di chi gestisce l’Ilva, come se si trattasse di un pozzo senza fondo. PeaceLink denuncia con forza questa scelta priva di ragionevolezza e propone un’alternativa: destinare quei fondi a tutela della salute dei cittadini del quartiere Tamburi, che da anni subiscono le conseguenze dell’inquinamento atmosferico causato dall’Ilva. Con quei soldi, i cittadini di Tamburi potrebbero finalmente avere accesso a sorveglianza sanitaria adeguata e cure gratuite con corsia preferenziale».
Da parte loro, i sindacati non abbassano la guardia. «Servono risorse maggiori e immediate per agire sugli impianti e per mettere in sicurezza i lavoratori e l’ambiente e serve far ripartire la discussione su piano industriale e decarbonizzazione. Non siamo d’accordo che in caso si manifesti un affittuario che voglia comprare, possano venir meno, in caso di urgenza della vendita, i principi previsti per le amministrazioni straordinarie riguardanti l’integrità dei complessi aziendali né tantomeno le garanzie sui livelli occupazionali, garanzie che possono essere mantenute se c’è capitale pubblico nelle aziende di interesse strategico. Come Fiom riteniamo inutile se non pericoloso l’articolo 15, comma 2 del Disegno di legge sulle aziende di interesse strategico e riteniamo che in questa fase mini i rapporti sindacali e industriali che si stanno ricostruendo dopo la disastrosa gestione precedente. Comunque, l’accordo del 2018 che legava la crescita degli occupati a quella dei volumi per noi rimane un cardine e non si mette in discussione» dice Loris Scarpa, coordinatore nazionale Siderurgia per la Fiom-Cgil.
Il segretario generale aggiunto della Fim Cisl Taranto Brindisi, Biagio Prisciano, davanti alla commissione ha evidenziato come «sono ormai troppi anni che, accanto ai lavoratori, viviamo la condizione di precarietà, dettata dall’assenza di una politica industriale, capace di promuovere un’attenta e puntuale cultura dell’acciaio ecosostenibile, in grado di coniugare una volta per tutte il diritto alla Salute, all’Ambiente, al Lavoro, sfide che altri paesi hanno affrontato attraverso giuste politiche sociali e industriali, mirate al benessere in primis dei lavoratori, ma anche di tutta la filiera a valle delle aziende coinvolte nel processo innovativo e tecnologico, per una vera e propria transizione green. Solo negli ultimi dodici anni, ossia dal 2012, da quando la magistratura si è sostituita allo Stato per far rispettare la legge, vuoto lasciato dalla politica, abbiamo assistito ad una serie di azioni finanziarie a suon di milioni di euro (complessivamente oltre due miliardi); somme che ad aggi non hanno portato all’auspicato cambio di passo, anzi siamo ancora agli antipodi di fronte ad un gigante che rischia di fermarsi definitivamente e di provocare oltre al danno occupazionale, un vero e proprio disastro in termini ambientali e sanitari. Per cui, in questo momento, sulla scorta delle purtroppo esperienze negative del passato, è fondamentale conoscere nel concreto in che modo, attraverso un puntuale cronoprogramma, saranno spese le ulteriori risorse economiche, inserite – tra gli interventi - nel decreto di legge n. 63/2024, per assicurare la continuità operativa degli impianti ex Ilva, attuale Acciaierie d’Italia in Amministrazione Straordinaria, impresa ritenuta d’interesse strategico nazionale e per assicurare inoltre la tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza dei lavoratori, addetti ai predetti stabilimenti». Secondo Prisciano «il piano di ripartenza e di manutenzioni illustrato recentemente nell’incontro del 7 di maggio, presso Confindustria Roma, seppur in maniera non approfondita, dalla gestione commissariale ci ha dato la possibilità di avere un primo approccio più pragmatico rispetto ad una gestione attuale della fabbrica, condizionata dal basso tonnellaggio di produzione, dalla necessità di approvvigionamenti, dalla ricambistica ed appunto da un programma dedito di manutenzioni di natura ordinaria, ma soprattutto straordinaria che necessitano i vari stabilimenti del gruppo. Infatti su 330 milioni complessivi, a Taranto vengono destinati 280 milioni per interventi urgenti di carattere manutentivo e di fabbisogno e questo dato rappresenta il disastro lasciato dalla precedente gestione. Considerato il momento positivo della domanda di acciaio, l’invito che ribadiamo è quello di utilizzare ogni risorsa economica per consentire la ripartenza in piena sicurezza di impianti molto importanti nell’economia complessiva del Gruppo, fermi da tempo: i Tubifici, produzione lamiere ed ovviamente l’area a freddo dello stabilimento, martoriata oramai da troppi anni con impianti totalmente fermi».
Dalla Uilm Taranto, il segretario generale Davide Sperti ha evidenziato come «al di là della fotografia attuale, non si fa mai una discussione d’assieme, non si fa mai una discussione di prospettiva perché non esiste un piano industriale. Se non c’è un nuovo piano industriale, per noi vale ancora quello presentato nel 2018. È stato condiviso con noi un racconto a Palazzo Chigi a fine aprile, con delle linee guida che servono per avere l’ok da Bruxelles per il prestito ponte da 320 milioni, ma anche quel racconto noi l’abbiamo rispedito al mittente: se è confermata quella traccia, per quanto ci riguarda, rischiamo di arrivare al 2030 senza impianti. In base all’attuale quadro normativo europeo, il 2030 è l’anno in cui finisce la gratuità di quote di emissione di anidride carbonica. C’è stato detto a Palazzo Chigi della volontà d’intervenire parzialmente sull’altoforno 1 e 2, distrutti negli anni passati, molto usurati: sono a fine vita e non arriverebbero al 2030. Lo stesso Afo4 che è in marcia arriverebbe a fine ciclo utile al 2030: quindi ci troveremo da un lato senza altoforni alimentati a carbone, dall’altro non avremo nessuna certezza sulla realizzazione e l’avvio dei forni elettrici. Al di là dei racconti, non abbiamo univocità di norme a livello europeo, poiché noi dobbiamo discutere con l’antitrust. Germania e Francia hanno investito miliardi di euro nella decarbonizzazione dei processi siderurgici. Nel frattempo, sappiamo anche che l’Europa, per contribuire alla realizzazione di questi impianti, vorrebbe da noi dal 2027 un potere calorifico per alimentare questi impianti al 40% fornito da idrogeno e il resto da gas. Noi non abbiamo né gas e né tantomeno idrogeno verde al momento. Sappiamo inoltre che c’è stato l’alt del Tar di Lecce anche a Dri d’Italia per il bando di gara pubblico per la realizzazione dell’impianto di preridotto, che è tutto da rifare perché Danieli ha vinto ricorso. Nel frattempo passa il tempo e noi rischiamo di arrivare a quel termine semplicemente senza impianti, replicando esperienze nefaste sul territorio nazionale, per esempio, come Piombino».
In un documento, Usb mette in risalto che “la presenza di 150 milioni nel decreto sono un fatto positivo, se legati alla fase emergenziale all’interno della fabbrica, ma non si può sottacere che sono risorse sottratte alle bonifiche. Due anni fa ci opponemmo alla paventata ipotesi di destinare l’intera somma in capo a Ilva in As all’allora gestore Arcelormittal, e riuscimmo così a sventare vero e proprio furto. Nel dialogo di allora con la politica, apprendemmo che tutte le risorse rimanenti all’interno dell’Amministrazione Straordinaria, tranne 180 mln, erano vincolate a progetti di bonifica. Immaginiamo a questo punto che qualcosa, in termini di operazioni mirate a bonificare il territorio, salti. Questo è un fatto certamente negativo soprattutto se si contestualizza, in quanto parliamo di un territorio che ha sofferto e soffre ancora oggi dei mali dovuti all’inquinamento. Inoltre, quelle somme sono legate all’AS di Ilva, in cui ci sono 1800 lavoratori. Sembra quasi che l’intenzione sia quella di troncare la vita lavorativa di molti di quei dipendenti che, in base all’accordo del 2018, dovevano rientrare in fabbrica tra il 2023 e il 2025 come anche i diretti, di fronte a questo quadro, hanno pochissime certezze. Alla luce di tutto ciò, va bene spostare i soldi per l’ emergenza, ma quelle risorse vanno comunque garantire con riferimento agli obiettivi originari; si comprende la fase di emergenza, ma va ripristinato quanto deciso precedentemente».
I più letti
Testata: Buonasera
ISSN: 2531-4661 (Sito web)
Registrazione: n.7/2012 Tribunale di Taranto
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Piazza Giovanni XXIII 13 | 74123 | Taranto
Telefono: (+39)0996960416
Email: redazione.taranto@buonasera24.it
Pubblicità : pubblicita@buonasera24.it
Editore: SPARTA Società Cooperativa
Via Parini 51 | 74023 | Grottaglie (TA)
Iva: 03024870739
Presidente CdA Sparta: CLAUDIO SIGNORILE
Direttore responsabile: FRANCESCO ROSSI
Presidente Comitato Editoriale: DIEGO RANA