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La battaglia legale

Netflix, Riondino va alla guerra

L'attore tarantino nel gruppo "Artisti 7607"

Michele Riondino

Michele Riondino

Portare in tribunale un gigante del web per avere “compensi adeguati”: una storia emblematica dei tempi moderni. Roba da farne un film. Anche perchè il gigante è il colosso dello streaming per eccellenza, e cioè Netflix, ed a far sentire la propria voce in modo così forte sono gli attori riuniti sotto la bandiera di Artisti 7607. A parlare a loro nome è stato, in una recente intervista a La Repubblica, il tarantino Michele Riondino, il cui debutto da regista, “Palazzina Laf”, è legato proprio alla sua città d’origine.

«Abbiamo dovuto percorrere questa strada» ha detto Riondino intervistato da Arianna Finos, riferendosi alla decisione di rivolgersi al tribunale di Roma. «Prima di arrivare a questa azione contro Netflix abbiamo portato l’argomento sui tavoli del governo, abbiamo chiesto ufficialmente, anche attraverso calcoli che insieme a degli specialisti abbiamo fatto utilizzando gli algoritmi. Alla fine, siamo riusciti a partorire una cifra che è infinitesimale, 0,4, che comunque non è mai andata bene a Netflix, che ci ha controproposto lo 0,03 quindi meno di un decimo. Qualunque proposta noi abbiamo fatto di contrattazione ci è sempre stata negata. Perché, evidentemente, Netflix ha già prestabilito una quota da dare agli artisti, senza necessariamente passare dai dati più sensibili e quelli della fruizione delle nostre opere. Questo fa sì che Netflix possa aprire trattative con soggetti che sono in competizione con la nostra collecting». «Noi» ha aggiunto Riondino «abbiamo cercato in tutti i modi di ragionare su una remunerazione diciamo equilibrata, rispetto al numero di passaggi, alla fruizione dei nostri prodotti. Ma è anche estremamente difficile avere i dati reali, e quindi a questo punto abbiamo ritenuto inevitabile passare dal giudice».

Riondino in "Palazzina Laf"

L’attore e regista tarantino è affiancato in questa battaglia da altri nomi importanti del mondo dello spettacolo, come l’amico Elio Germano e Neri Marcorè. «È facile l’equivoco attraverso il quale passa il messaggio che io, Elio Germano, Neri Marcorè chiediamo soldi: non è così. Ed è giusto spiegarlo in questa occasione: le percentuali che noi maturiamo attraverso i diritti connessi noi di 7607 le riutilizziamo per la categoria. Non siamo noi a chiedere di essere pagati di più, perché questo è lo stesso ragionamento che Netflix ha fatto ai tavoli, quando ci siamo incontrati. Ci hanno detto: ‘Andate dai produttori a chiede più soldi’. Ma noi non vogliamo più soldi, noi vogliamo quello che ci spetta di diritto, attraverso la fruizione delle nostre opere. È quanto previsto dalla legge, niente di più. Noi di 7607 vogliamo equiparare i compensi, agevolare una categoria, quella degli attori, che è precaria, intermittente, a tutti gli effetti. Noi distribuiamo i nostri compensi in maniera equa, proprio perché Elio, io e altri guadagniamo qualcosa di più, andiamo a distribuire le cifre in maniera equa a quelli che guadagnano di meno. Noi chiediamo giustizia, una giusta remunerazione per i diritti connessi. E noi, anche durante la pandemia, abbiamo utilizzato i soldi dell’articolo 7, che sono destinati alla tutela della categoria, ad esempio per fornire ai giovani autori una consulenza commerciale e legale. Abbiamo portato in Italia la tendenza a pagare i provini, perché prepararli è un lavoro vero che richiede tempo e applicazione».

Sul sito web di Artisti 7607 si legge che «la società cooperativa che tutela e gestisce i diritti connessi di migliaia di attori e doppiatori in Italia e nel mondo ha citato in giudizio Netflix presso il Tribunale civile di Roma per ottenere il compenso adeguato e proporzionato spettante per legge ai propri artisti mandanti», e questo «dopo oltre otto anni di sterili trattative per ottenere i dati necessari alla determinazione del compenso per gli artisti previsto dalla normativa europea e nazionale». «Artisti 7607 fa una scelta doverosa per difendere la dignità professionale non solo dei nostri artisti ma di tutta la categoria. Non vogliamo subire atteggiamenti ostruzionistici e accettare compensi irrisori da parte delle piattaforme streaming, per le stesse ragioni che hanno motivato il recente sciopero degli attori e sceneggiatori americani. Tutti reclamiamo trasparenza dei dati di sfruttamento delle opere audiovisive e adeguatezza dei compensi» le parole di Neri Marcorè mentre per Carmen Giardina «questi compensi di fatto costituiscono il salario differito di una professione per sua natura saltuaria e precaria. I diritti connessi al diritto d’autore non sono altro che un credito da lavoro. È molto grave e pericolosa questa spinta a svalutare le prestazioni artistiche degli interpreti». Sul sito viene citata una dichirazione di Elio Germano,  «parliamo di multinazionali i cui ricavi vengono esclusivamente dallo sfruttamento di opere audiovisive» e dello stesso ed una dello stesso Riondino: «La Direttiva Copyright ha chiarito che le remunerazioni degli artisti devono essere “adeguate e proporzionate” ai ricavi. Invece ci troviamo davanti a un sistema in cui le piattaforme, senza fornire tutte le informazioni previste dalla legge, chiudono accordi al ribasso e poi cercano di imporre le stesse cifre a tutto il mercato, così da tenere i livelli dei compensi degli artisti sempre molto bassi». «In questo modo Artisti 7607, per tutelare gli interessi degli artisti, è costretta a ritardare tempi di incasso e di distribuzione sia dell’equo compenso sia della copia privata, a scapito anche delle iniziative a sostegno della categoria. Da tempo fronteggiamo prassi di mercato al ribasso ma, tenendo posizioni ferme nell’interesse di tutti, siamo riusciti ad ottenere la giusta remunerazione. Molti artisti capiscono ciò che stiamo facendo e continuano a sceglierci» aggiunge Cinzia Mascoli mentre per Alberto Molinari «a tutela dell’intera categoria Artisti 7607 si oppone ad un sistema nel quale gli interpreti vengano sottopagati: accettare compensi che appaiono irrisori rispetto agli immensi guadagni generati da uno sfruttamento globale esponenziale delle opere audiovisive peserebbe come un grave precedente sul futuro di tutti gli artisti». Ci assumiamo questa responsabilità perché le scelte che vengono fatte oggi riguardano tutti e avranno ripercussioni sul presente e sul futuro di tanti artisti e di tante generazioni. Anche quelle che verranno dopo di noi, quindi a brevissimo» aggiunge Valerio Mastandrea mentre per Paolo Calabresi «gli artisti chiedono nuovamente che il Governo e le Autorità di settore prendano una posizione chiara nei confronti di questa prassi, così come è avvenuto per il settore dell’editoria».

Sin qui gli artisti. Questa la replica di Netflix: «Il compenso di artisti, interpreti ed esecutori è di fondamentale importanza per noi. Da molti anni abbiamo un accordo con Nuovo Imaie, la collecting italiana che rappresenta la maggioranza degli artisti. Abbiamo cercato a lungo di raggiungere un accordo e fornito le informazioni previste dalla legge. Artisti 7607 ha rifiutato la nostra offerta di pagamento e pur augurandoci che la accettino, aspettiamo la decisione del tribunale». Netflix ha aggiunto di «aver fornito tutte le informazioni previste dalla legge, come riconosciuto dall’AGCOM».

Diodato: "Io, Michele e la nostra terra"

Questo, mentre a firmare la canzone che fa da colonna sonora al debutto di Riondino alla regia è stato un altro tarantino, Diodato, che per “La mia terra” ha ottenuto anche la nomination ai David di Donatello 2024, premio già vinto nel 2020 con “Che vita meravigliosa” da “La dea fortuna” di Ferzan Ozpetek. Intervistato da Carolina Mautone su comingsoon.it il cantautore tarantino ha sottolineato il legame tra lui, Riondino e Taranto: «Con Michele lottiamo da sempre insieme per provare a raccontare ciò che i tarantini, e non solo, subiscono da tanti anni. Ma anche la bellezza che sopravvive alle scelte scellerate. È una battaglia interiore che mi porto dentro e che poi è molto simile a quella che tanti tarantini vivono da tanto tempo. È una canzone che racconta anche una sorta di viaggio nel tempo perché parte dal mito della fondazione di Taranto per arrivare fino a oggi. Dà anche un messaggio, che un futuro alternativo è possibile». «Noi artisti abbiamo una grande opportunità. Siamo una grande cassa di risonanza e possiamo permettere alla nostra musica di diventare un grande amplificatore di messaggi. Con Michele e Roy Paci organizziamo l’UnoMaggio Taranto in cui tanti artisti vengono a cantare e a sostenere una causa che non è solo la causa tarantina ma di tante realtà. E grazie a quel palco hanno voce. Non per forza devono cantare canzoni politicamente impegnate, ma con la loro presenza veicolano messaggi necessari. Da quando ho iniziato a fare musica in maniera più seria ho capito che potevo dare una mano alla mia terra, per aiutare le persone a sentirsi meno invisibili» ha aggiunto.

Oggi, 19 aprile, esce l’album “Ho acceso un fuoco”: «Sono le canzoni che in qualche modo si sono trasformate di più in questi anni ai concerti. Mi piace pensare al concerto come un corpo vivo che puoi controllare fino  a un certo punto. Ho riarrangiato i brani in maniera molto spontanea e improvvisata. Sono convinto che la canzoni si possano trasformare in base ai luoghi, in base alle diverse vibrazioni. L’ho chiamato “Ho acceso un fuoco” perché la musica è stata questo per me» ha proseguito l’artista nella lunga intervista a comingsoon.it, aggiungendo come «i messaggi che mi arrivano mi fanno pensare che certe canzoni siano diventate dei luoghi in cui incontrarsi. Ho capito a un certo punto che non potevo nascondere le mie fragilità e quindi mi sono pian piano messo a nudo. Così, da una parte diventavo più forte e dall’altra mi sentivo meno solo. Mi è venuto naturale negli anni approfondire quell’opportunità che ti dà la musica di conoscere te stesso e gli altri».

Da Wertmuller a Guanciale, è sempre Taranto-Napoli

E’ stato invece il Corriere del Mezzogiorno, nell’articolo a firma di Rosanna Scardi, a riprendere un caso nato sul web e relativo alla fortunata fiction Rai con protagonista Lino Guanciale, “Il commissario Ricciardi”. «Le riprese della terza stagione della fiction Rai Il commissario Ricciardi, produzione Clemart con protagonista Lino Guanciale, si sono concluse da pochi giorni. Taranto, tuttavia, non è l’ambientazione. La serie televisiva, tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni, si svolge nella Napoli degli anni ‘30, ma fin dalla prima stagione, nel 2019, a fare da set alla narrazione è la Città Vecchia di Taranto. Un escamotage che non è piaciuto ai tarantini» si legge nell’articolo in cui vengono citati alcuni commenti apparsi sulla pagina Facebook della Apulia Film Commission. Anche se c’è chi precisa come «La Napoli degli anni ‘30 non esiste più, è stata bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale. La Città Vecchia di Taranto, con i suoi vicoli e i suoi palazzi, si è invece conservata e rievoca quello che anche Napoli doveva essere all’epoca. Nei titoli di coda viene precisato che la fiction è stata girata anche a Taranto, con i dovuti ringraziamenti».

Lino Guanciale ne "Il commissario Ricciardi"

Lo stesso Guanciale ha voluto sottolineare il legame con la città in occasione della recente messa in scena de “L’uomo più crudele del mondo” al teatro Fusco: «Sono sempre felice di tornare - ha detto - Ogni volta trovo qualcosa di nuovo, “rimesso a posto”. Per ovvie ragioni, conosco meglio la Città Vecchia e l’atmosfera che si respira fra quei vicoli è unica ed indescrivibile. Taranto sta rinascendo: mi rallegro nel vedere che ad ogni mio ritorno ci sia qualcosa di nuovo. La vostra è una città che ha dato più di quanto abbia ricevuto ed è ora che il Paese restituisca qualcosa a questa città dalla struggente bellezza, pur nella sua condizione di pausa nel tempo». 

Di certo, il rapporto di Taranto con il grande - ed il piccolo - schermo è caratterizzato da luci ed ombre. Nel kolossal di Netflix “Six Underground”, diretto da Michael Bay, sono state girate in Città Vecchia delle scene in cui ad essere portato in scena è però un immaginario borgo del Medio Oriente devastato dalla guerra civile. “Mondocane”, con Alessandro Borghi, è ambientato invece in un futuro distopico in cui Taranto è stata isolata dal resto del mondo a causa dei danni ambientali provocati dall’acciaieria: la città è scenario di violentissime lotte tra gang rivali e bande criminali. Ne “Il grande spirito” di Sergio Rubini la Taranto contemporanea è, soprattutto, terra di piccola malavita ed enormi pestilenziali fabbriche. E se bellissima invece è l’ambientazione del già citato “Il commissario Ricciardi”, il fascino del capoluogo ionico viene attribuito a Napoli. Un film già visto per “Io speriamo che me la cavo” diretto da Lina Wertmuller. La stessa regista che in occasione delle riprese di Mannaggia alla miseria smontò letteralmente il set a Taranto per la storiaccia di un tentativo di estorsione, fuggendo a Brindisi.

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