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Comune - La crisi

Luigi Abbate, il parafulmine

Il doppio errore del consigliere per il quale, però, si aprono le strade della presidenza del consiglio comunale

Luigi Abbate

Luigi Abbate

Non firmando le dimissioni davanti al notaio, Luigi Abbate si è immolato. In un colpo solo è riuscito ad attirare su di sé attenzioni e invettive coprendo anche responsabilità e peccatucci altrui. 

Abbate ha giustificato la sua fuga dalle sue stesse promesse (la famigerata diciassettesima firma) argomentando – con una acrobatica arrampicata sugli specchi - di non aver voluto obbedire agli ordini di Michele Emiliano. Uno sgambetto, a suo modo di vedere, al presidente della Regione, che da tempo ha scaricato Rinaldo Melucci. Ma l’obiettivo delle firme al notaio non era quello di fare lo sgambetto ad Emiliano ma, appunto, quello di mandare a casa Melucci. Abbate, quindi, ha semplicemente sbagliato obiettivo.

Allo stesso tempo ha commesso un doppio enorme errore politico. Il primo: la sua metamorfosi da più chiassoso oppositore di Melucci a suo salvatore gli ha di fatto azzerato la credibilità politica. Basta leggere i commenti sui social per averne contezza. Ora gli sarà davvero più difficile esibirsi nelle sue scorribande telecamera al seguito.

Il secondo errore: ha finito per trasformarsi in un parafulmine. Con la sua “latitanza” lunedì sera non solo ha fatto saltare il banco, facendosi beffe anche di Massimo Battista, che ha messo a repentaglio la propria salute (a proposito, il nostro più sincero abbraccio in queste ore difficili) pur di non far mancare la sua firma; Abbate, infatti, con il suo clamoroso dietrofront, ha salvato tanti altri che, pur firmando, non erano così contenti di tornarsene a casa, tanto a destra quanto a sinistra. Di più: è riuscito a oscurare le “timidezze” che stavano affiorando nella Lega e in Fratelli d’Italia che per lunghe ore hanno temporeggiato fino a lasciar immaginare uno sconcertante ribaltone.

Abbate, come detto, scegliendo di conservare il suo posto in consiglio comunale e salvando quello di Melucci, si è immolato: ha attirato su di sé tutte le saette che gli sono piovute da destra, da sinistra, dai suoi stessi elettori. La sua non è stata la diciassettesima firma, ma il suo può essere il diciassettesimo voto per tenere in piedi Melucci dal quale, nel frattempo, ha preso le distanze anche il suo vice alla Provincia, Vito Parisi. Ma le mancate dimissioni di Abbate hanno messo a nudo anche l’estrema difficoltà di Melucci di trovare i numeri in consiglio comunale, tanto, appunto, da dover sperare nello stesso supporto di Abbate per il quale si prefigura addirittura il posto di presidente del consiglio comunale. Ormai Melucci si sta cuocendo politicamente in un minestrone che comprende ex Pd, ex destrorsi e “scapoli” che cambiano maglia e schieramento a seconda della bisogna. Il messaggio di pacificazione lanciato da Stellato è stato respinto al mittente dal centrosinistra. Melucci resta quindi politicamente isolato e con numeri piuttosto  fragili. La mossa delle dimissioni dopo il 24 febbraio per tentare di rinserrare le fila e poi ritirarle potrebbe non essere una ipotesi così remota.  

Ma Taranto, in questo momento così  difficile, può davvero restare appesa all’isolamento di Melucci, che sa molto di autarchia sovranista, e alle giravolte di Abbate?

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