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La protesta dell'indotto siderurgico
30 Gennaio 2024 - 06:15
Un momento della manifestazione
In migliaia («più di cinquemila», secondo i sindacati) hanno sfilato attorno al perimetro della fabbrica, si sono fermati sotto la Direzione, sono tornati a quella Portineria Imprese da dove il corteo era cominciato. Hanno gridato. Hanno chiesto a gran voce la cacciata di ArcelorMittal. Si sono presi la scena, ieri mattina lunedì 29 gennaio, i lavoratori delle imprese che ruotano attorno al Siderurgico che pare in agonia. Loro, che fuori dal perimetro della fabbrica lo sono in tutti i sensi, che indossano una tuta diversa dai “diretti”, i colleghi con le insegne di Acciaierie d’Italia. Loro che l’incubo del licenziamento e il terrore dello stipendio che non arriva lo sentono come un artiglio sulla pelle. Loro, che ti fanno pensare a Steinbeck, “Furore”, gli amarissimi “acini di rabbia”, in marcia insieme uomini e mezzi, quattro ore di corteo, undici chilometri.
Che cosa resta, della manifestazione che ha visto insieme Fim, Fiom, Uilm e Usb, sindacati che hanno ideato l’iniziativa, e le associazioni delle imprese, Aigi, Casartigiani e Confapi? «I lavoratori hanno manifestato la loro voglia di resistere davanti a chi vuole scientemente negar loro un futuro. Sono sempre scesi per strada per difendere il futuro ambientale, sociale ed industriale della nostra comunità» spiegano, in un comunicato unitario, Fim, Fiom, Uilm e Usb. «E’ indispensabile avviare una ricostruzione sociale che parta dalla certezza di un lavoro dignitoso che non sia in contrasto con il diritto alla salute e con quello sacrosanto di vivere in un ambiente salubre. I lavoratori tutti, che siano diretti o indiretti, non vogliono vivere di ammortizzatori sociali ma riconquistare la propria dignità garantita dal lavoro» è il proclama dei metalmeccanici.
Ma intanto, «prosegue ancora la perdita di tempo fatto di scambi epistolari tra Arcelor Mittal e il governo italiano, questa gestione continua a danneggiare in maniera irreversibile gli impianti dello stabilimento di Taranto, non ultimo la non ripartenza di Afo 2. Adesso lo stesso management vorrebbe scaricare la responsabilità sulle aziende e sui lavoratori degli appalti che, al contrario, pagano più di altri le conseguenze di una gestione disastrosa pur garantendo la sicurezza e le attività di pronto intervento in totale assenza di pagamenti e con fatture scadute che si aggirerebbero intorno ai 170 milioni di euro» continuano i sindacati. Per i quali, «se dovesse essere confermata la nuova Amministrazione straordinaria dovrà prevedere un percorso che metta in sicurezza i lavoratori diretti, i lavoratori degli appalti, i lavoratori di amministrazione straordinaria e le imprese. Durante il ciclo di audizioni, unitamente alle confederazioni, alla IX Commissione attività produttive del Senato, ribadiremo che è necessario, prima della conversione in legge del decreto legge n.4 del 18/01/2024, inserire provvedimenti ad hoc a tutela dei lavoratori e dei crediti delle imprese. Crediti che non è sufficiente riconoscere come prededucibili ma che vanno onorati. Questa situazione sta generando gravi ritardi nelle retribuzioni e ogni scadenza paga è ormai diventata un patema d’animo. Chiederemo altresì la garanzia sul rispetto dell’accordo sindacale del 06/09/2018 a tutela di tutti i lavoratori, compresi quelli rimasti in carica all’Amministrazione straordinaria con la relativa clausola di salvaguardia occupazionale». Le audizioni in Commissione Industria partiranno oggi.
Per Casartigiani, «la priorità» va ai «pagamenti dei crediti dell’autotrasporto. L’idea di futuro del Siderurgico è che dovrà continuare la produzione, ma decarbonizzando. Quest’ultima necessità è richiamata da Antonio Gozzi, presidente di FederAcciai, che proprio in queste ore ha sollecitato in una dichiarazione al Financial Times un intervento del Governo Nazionale. A sostegno di questa tesi le pronunce della Corte di Giustizia Europea e la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, che entrambe hanno sottolineato il primato della salute sulla produzione di acciaio». Per Gozzi, «l’Italia deve spendere soldi per facilitare la decarbonizzazione dell’impianto, proprio come ha fatto la Germania per Thyssen Krupp e la Francia per l’impianto nazionale di ArcelorMittal». Intanto, proprio mentre andava in scena la manifestazione all’esterno dello stabilimento, una piccola ditta subappaltatrice ha annunciato via email la necessità di ricorrere ai licenziamenti.
«Quella del Siderurgico è una vertenza che mina alle fondamenta la stabilità di tantissime famiglie purtroppo tuttora ancorate a questa realtà industriale in grave crisi. Da anni continuo a ripetere, e con me tanti ecologisti, attivisti, cittadini e associazioni, che lo stabilimento siderurgico appartiene ad una visione ormai superata della realtà sociale ed economica di Taranto. L’unica strada praticabile, affinché non si tiri ancora una corda di fatto spezzata, è quella di una chiusura dello stabilimento inquinante. Chiudere, bonificare, riconvertire area e capitale umano! Questa è la soluzione». Così l’eurodeputata Rosa D’Amato. «Da Taranto oggi arriva al Governo un messaggio di unità al quale non si può che rispondere in una maniera netta. Se questo non dovesse accadere, bisogna essere consapevoli che si va incontro al rischio di una bomba sociale» dicono Francesco Rizzo e Sasha Colautti dell'Esecutivo Confederale Usb.
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