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La crisi del Siderurgico
12 Gennaio 2024 - 06:20
Giovanni Arvedi, imprenditore siderurgico di Cremona
«Il ministro Adolfo Urso ha detto che il ricorso all’amministrazione straordinaria per Acciaierie d'Italia, anche se a tempo, è una delle ipotesi presenti sul tavolo. Non è l’unica, ma, purtroppo, non può essere esclusa». Così il presidente di Confindustria Taranto, Salvatore Toma, che ha incontrato in via riservata il ministro. Appare difficile che, per sbrogliare la complicatissima matassa dell’ex Ilva, si possa evitare la strettoia di un commissariamento.
Lo stabilimento siderurgico di Taranto
«È un’opzione», ha detto il ministro delle Imprese all’agenzia Reuters, quando gli è stato chiesto se il governo stesse considerando la nomina di commissari speciali per la gestione del sito. Una procedura che però - si ragiona a Palazzo Chigi - non potrà che essere temporanea, con una prospettiva di dodici mesi al massimo. Poi, sempre nelle intenzioni dell’esecutivo, il siderurgico che oggi porta le insegne di Acciaierie d’Italia dovrà avere la guida di un soggetto privato, affidabile, che conosca l’acciaio e voglia scommettere su una ripartenza della più grande fabbrica d’Europa. Un nome gira da tempo, ed è tornato di prepotente attualità: quello di Giovanni Arvedi, imprenditore di Cremona che ha già preso il controllo di Ast, Acciai Speciali Terni, storico stabilimento umbro.
Una ipotetica “Ilva Arvedi”, secondo quanto trapela, sarebbe a trazione elettrica, capace di produrre sei milioni di tonnellate con tre nuovi forni, ma con un numero ridotto (cinquemila?) di dipendenti: un discorso che, ovviamente, è allo stato embrionale, mentre sullo sfondo resta il possibile macigno della battaglia legale con ArcelorMittal.
Le parole pronunciate ieri da Urso - che a breve potrebbe essere a Taranto - nell'aula del Senato sono parse la pietra tombale su una possibile riapertura del confronto con il gigante francoindiano: «Arcelor Mittal si è dichiarata disponibile ad accettare di scendere in minoranza ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota, scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato ma nel contempo reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti realizzati quando diedero vita alla società Acciaierie d’Italia di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione. Cosa che non è accettabile, nè percorribile sia nella sostanza che alla luce dei vincoli europei sugli aiuti di Stato». Un contenzioso sembra alle porte, a meno che non si arrivi ad una "separazione consensuale"".
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