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Gas, Patria e Famiglia: perchè Baku Steel vuole Acciaierie d'Italia e scommette su Taranto

L'ambizioso gruppo caucasico e gli obiettivi dell'Azerbaijan del presidente Ilham Aliyev

L'ambizioso gruppo caucasico e le mire dell'Azerbaijan del presidente Ilham Aliyev

Le ambizioni di Baku Steel e le mire dell'Azerbaijan del presidente Ilham Aliyev

Gli ultimi premi sono stati conferiti solo pochi giorni fa. Uno dopo l’altro, in sequenza. Prima dal ministro dell’Ecologia e delle risorse naturali, Mukhtar Babayev, poi dal ministro dell’Economia Mikayil Jabbarov. Il governo dell’Azerbaijan con questi riconoscimenti dimostra di essere davvero fiero di Baku Steel Company, “la più grande azienda metallurgica della regione del Caucaso”, che punta a “trasformare l’industria metallurgica azera in uno dei settori di punta dell’economia non petrolifera del Paese”. BSC, del resto, è “uno dei maggiori contribuenti ed esportatori del settore non petrolifero” e l’azienda “presta particolare attenzione alla riuscita attuazione dei programmi internazionali di sviluppo sostenibile di cui l’Azerbaijian è partner, nonché alle priorità nazionali del Paese”. Tutto scritto con orgoglio sul sito della company che da piccola realtà siderurgica regionale si prepara alla sbarco in Occidente. Lo farà dalla porta principale: da Taranto. In che modo ormai è noto: con l'acquisizione degli impianti oggi marchiati Acciaierie d'Italia.

Avrebbe di che sorridere, il sempre austero Heydar Aliyev: il “Grande Leader”, signore della politica azera negli anni a cavallo tra la fine del comunismo e l’apertura al capitalismo più o meno di Stato, è stato il vero demiurgo della fabbrica d’acciaio inaugurata il 23 giugno 2001 e battezzata solennemente con il nome della capitale della nazione. Baku appunto. Poco originale ma assai patriottico. L’Azerbaijan era una delle repubbliche sovietiche dell’Urss ma l’allora segretario del locale Partito Comunista Aliyev è rimasto saldo al potere anche dopo la separazione da Mosca, agli albori dei tumultuosi Anni Novanta. Solo la morte, nel 2003, è riuscito a privarlo del titolo di presidente della Repubblica; ma, morto un Aliyev, se ne fa un altro. E sulla poltrona che fu di papà Heydar da oltre vent’anni ormai siede il figlio, Ilham Aliyev.

Nel suo quasi certo approdo a Taranto (che rimane per certi versi sorprendente) BSC - un’azienda privata, che ha sposato la regole del libero mercato -  sarà affiancata dalla holding statale Azerbaijan Investment, controllata dal ministero dell’Economia. Ed il governo azero risponde proprio a Ilham Aliyev, sessantatreenne, presidentissimo quanto e più del genitore. Rafforzato, l’ambizioso Ilham, anche dalla recente vittoria militare nel Nagorno Karabakh contro la rivale Armenia. Un conflitto durato pochi giorni, solo perchè gli armeni non hanno potuto far altro che cedere su tutta la linea al fortissimo esercito di Aliyev. Il quale da parte sua durante la guerra non disdegnava di farsi immortalare in mimetica: stile military chic.

Lo scorso anno Aliyev junior è stato rieletto per un quinto mandato con più del 90 per cento dei voti: ha praticamente realizzato il sogno proibito di Donald Trump, nei confronti del quale non nasconde una certa ammirazione. In una elezione in cui l’affluenza è arrivata al 67 per cento gli elettori potevano scegliere tra sette candidati. Ma nessuno degli altri sei costituiva una reale alternativa, “in quanto avevano sostenuto Aliyev nel passato recente”, secondo quanto affermato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’Osce, mentre i partiti di opposizione hanno boicottato le presidenziali del 2024 definendole una “farsa”.

Comunque, se oggi i dipendenti di BSC sono circa duemila - una frazione dello stabilimento tarantino di Acciaierie d’Italia - e l’export è diretto soprattutto verso Medio Oriente e Africa e continente americano, Baku Steel Company può dire di essere “strettamente coinvolta nei lavori di costruzione nel Paese sotto la guida del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Attualmente, i prodotti della nostra azienda vengono utilizzati attivamente nei lavori di ricostruzione e restauro del Karabakh, dopo la sua liberazione dall’occupazione (sul sito dell’azienda è scritto così, ndr). Siamo orgogliosi di contribuire alla rinascita del Karabakh”.

A settembre scorso, ad incontrare Ilham Aliyev è stato il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto. «Siamo determinati ad estendere ulteriormente la cooperazione in tutti i settori di interesse» ha detto nell’occasione Crosetto, in visita a Baku (la città, non l’azienda...) aggiungendo che «l’Azerbaijan riveste un ruolo cruciale per la stabilità dell’area euroasiatica. Una preziosa occasione per approfondire opportunità di collaborazione, nel settore della Difesa, con particolare riferimento all’industria ed a quello energetico». Ad Aliyev il ministro “ha avuto modo di confermare la volontà del Governo Italiano di rafforzare le già solide relazioni bilaterali, basate su un partenariato strategico”, come scritto in una nota, mentre con il suo omologo azero, il Colonel General Zakir Hasanov, Crosetto ha trattato “tematiche di interesse comune quali la cooperazione in ambito difesa e formazione e il rafforzamento delle relazioni tra le Forze Armate dei due Paesi”.

La visita di Crosetto in Azerbaijan del settembre 2024

Se Baku Steel sembra avere già in mano lo stabilimento più grande d’Europa, i rivali di Jindal International, gruppo indiano che tramite la controllata Vulcan Green Steel punta sugli impianti tarantini, hanno voluto far sapere di essere “consapevoli della propria forza industriale e di come le proprie competenze ed esperienza nella gestione di impianti complessi come Ilva sarebbero fondamentali per garantire un futuro a Taranto e all’acciaio in Italia; così come è un fatto oggettivo la mancanza di esperienza di Baku Steel nella gestione di impianti complessi come Ilva, che richiede un background importante che Jindal ha dimostrato” di avere. Secondo le stesse fonti, citate dall’agenzia Ansa nei giorni scorsi, “sarebbe fondamentale avere nella scelta una visione a lungo termine e guardare agli investimenti che Jindal ha dichiarato per garantire la stabilità dell’Ilva e assicurarne la crescita per il bene dell’intera filiera siderurgica italiana”.

L’ufficializzazione della scelta su chi prenderà le redini della fabbrica una volta che sarà uscita dall’amministrazione straordinaria spetta ai commissari straordinari di AdI, che intendono prendersi qualche giorno per ulteriori valutazioni. Ad ogni buon conto fonti diverse riportate da Il Messaggero, Il Fatto Quotidiano ed Il Giornale hanno sottolineato come Baku SC sia nettamente avanti rispetto a Jindal-Vulcan in quella che è diventata una corsa a due. Per una ragione semplicissima: il gas. MF - Milano Finanza ha scritto che l’Azerbaijan è “un Paese con cui l’Italia fa grossi affari, soprattutto in ambito energetico (si pensi al gasdotto Tap). Ed è proprio l’energia l’asso nella manica del gruppo: secondo alcune indiscrezioni, se la cordata azera dovesse aggiudicarsi la gara, potrebbe investire anche in un rigassificatore da posizionare al largo del golfo tarantino. La palla è in mano ai commissari straordinari, Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli, che dovranno valutare attentamente le proposte e formulare il parere da trasmettere al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, le tempistiche sono abbastanza stringenti”. Questione di giorni.

A commentare la situazione dell’Ilva e di Taranto è stato Ferruccio De Bortoli nei suoi Frammenti sul Corriere della Sera. «Sono rimasti due gruppi stranieri a contendersi la grande acciaieria ex Ilva, ex Riva, ex ArcelorMittal di Taranto: gli indiani di Jindal e gli azeri di Baku Steel. Dopo l’ultimo rilancio, questi ultimi sono i favoriti. Gli industriali italiani del settore non sono stati in grado di avanzare un’offerta complessiva, ma solo di candidarsi a rilevare qualche pezzo di quello che un tempo fu il più grande gruppo siderurgico pubblico. Eppure stiamo parlando dell’acciaio di base, ancora indispensabile a molte delle filiere del made in Italy, dai componenti dell’auto alle scatolette dei pelati».

Continua De Bortoli: «Enrico Deaglio, nel suo magnifico libro “C’era una volta in Italia, gli anni Sessanta”, edito da Feltrinelli, ricorda che sessant’anni fa veniva inaugurata la grande acciaieria dell’Ilva, divenuta Italsider e di proprietà dell’Iri, cioè dello Stato. Era l’aprile del 1965 ed era stato appena tagliato il nastro del traforo del Monte Bianco. Due simboli dell’Italia proiettata nel futuro. Entusiasti i commenti di quel tempo, da Dino Buzzati a Pier Paolo Pasolini. Una Puglia povera scommetteva sull’industrializzazione. L’allora sindaco di Taranto, il democristiano Angelo Manfredi, disse che pur di avere quei posti di lavoro avrebbe accettato di costruire l’acciaieria nel centro della città. I problemi ambientali emersero subito. Drammatici. E denunciati per tempo. Antonio Cederna, nel 1971, scriveva sul Corriere: “Una città disastrata, una Manhattan del sottosviluppo e dell’abuso edilizio, tale appare Taranto allo sbalordito visitatore”. Sono passati decenni. Ora i commissari si apprestano a vendere la grande acciaieria, ancora indispensabile all’Italia se vuole restare una potenza industriale. Gli azeri, se acquisteranno, avranno dato tutte le garanzie richieste, vogliamo sperarlo. Un curioso e amaro contrappasso per tutti quelli che non volevano, e non solo in Puglia, il gasdotto Tap, che porta in Italia il gas proprio dall’Azerbaigian. E agli azeri si chiede oggi di fare quello che in tanti anni non siamo stati capaci di fare noi, italiani, nel pubblico e nel privato. Auguri». Inutile aggiungere altro.

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