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Le indagini

Mafia e politica: le verità di Scalera. L'interrogatorio

Gli sviluppi dopo il blitz

Il comando della Guardia di Finanza,  a Taranto

Il comando della Guardia di Finanza, a Taranto

«Io non ho mai promesso niente, non ho fatto campagna elettorale e non c’entro niente». Così il dirigente dell’Amiu-Kyma Ambiente, Rocco Lucio Scalera, ha tentato di rigettare le accuse di scambio politico mafioso per le quali è finito in carcere nel blitz che ha portato all’arresto di 29 persone, tra cui il sindaco di Statte, Francesco Andrioli.

Un’inchiesta nella quale gli indagati sono addirittura sessanta. Un’inchiesta che sembra avere un confine molto stretto con quella sul concorso “sospetto” e nella quale lo stesso Scalera è coinvolto. Nell’interrogatorio di garanzia del 18 gennaio scorso, davanti al gip Angelo Zizzari e al pubblico ministero Milto De Nozza, sono emersi elementi che dovrebbero servire a comprendere meglio il contesto nel quale la vicenda si è sviluppata. Al centro dell’interrogatorio al quale Scalera è stato sottoposto, assistito dagli avvocati Roberto Eustachio Sisto e Fausto Soggia, c’è stato soprattutto l’incontro a tre fra lo stesso Scalera, Andrioli e il presidente dell’Amiu, Giampiero Mancarelli. Un incontro avvenuto nella stanza del presidente della società municipalizzata e che ha avuto come tema la campagna elettorale del 2021 per l’elezione del sindaco di Statte. Elezioni che vedranno la schiacciante riconferma di Andrioli.

Perché questo incontro? Scalera ha affermato di essere stato pressato da Mancarelli per dare una mano ad Andrioli. Un supporto elettorale, insomma. Un aspetto, quello delle presunte pressioni “elettorali” che sarebbero state esercitate da Mancarelli (il presidente - va precisato - non è indagato), che Scalera ha sottolineato più volte nel rispondere alle domande del giudice e del pubblico ministero. Scalera - questa è la sua linea difensiva - avrebbe annuito alla richiesta di dare una mano ad Andrioli in campagna elettorale solo per togliersi «da dosso» le presunte pressioni del presidente dell’azienda: «Non volevo avere rotture di scatole in azienda e quindi volevo far finta di dare una mano». Una presa in giro, insomma, alla quale - sempre secondo la versione del capo del personale dell’Amiu - non sarebbe seguito alcun impegno reale a sostegno di Andrioli, tanto è vero che, sempre secondo Scalera, Mancarelli avrebbe poi manifestato tutto il suo disappunto per il mancato impegno elettorale.

Scalera ha spiegato anche per quale ragione Mancarelli, in quel periodo segretario provinciale del Pd, «ci teneva tantissimo» a sostenere Andrioli: per avere un ritorno in vista della sua successiva candidatura alla Camera dei Deputati alle elezioni politiche del 2022. È nel corso di quell’incontro a tre che salta fuori il nome di Giulio Modeo, figlio del noto boss Antonio detto “Il messicano”, figura storica della mala tarantina, ucciso in un agguato a Bisceglie nell’estate del 1990 per mano di Salvatore Annacondia. Giulio Modeo era stato presentato a Scalera dal sindacalista Angelo Laneve, anche lui finito agli arresti. Laneve avrebbe chiesto a Scalera di trovare una collocazione a Modeo perché in difficoltà lavorative. Secondo l’accusa è intorno a queste relazioni che si sarebbe sviluppato l’intreccio e il voto di scambio, ma il dirigente ha in ogni caso negato di essersi rivolto a Modeo per la campagna elettorale di Andrioli. Peraltro, Scalera ha inoltre precisato di essere politicamente schierato col centrodestra e quindi di non avere alcun interesse a favorire il centrosinistra. Ma dalle dichiarazioni di Scalera sono emersi altri dettagli che fanno pensare ad ulteriori sviluppi: l’esistenza di circa trecento bigliettini di nominativi che gli venivano segnalati per i concorsi nell’azienda per l’igiene urbana. Segnalazioni provenienti anche da ambiti al di là della politica. E qui si apre un altro fronte che promette ulteriori novità.

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