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rubrica poetica

Controverso

Le poesie scelte sono di Lucia Caruso, Marco Perin e Simona Falletti

controVerso

La rubrica settimanale "controVerso" è dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è deciso di raccogliere in questa pagina le più belle poesie che di volta in volta vorrete inviare. 

Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato sul quotidiano Buonasera in edizione cartacea, digitale e online nella apposita sezione, dovrà:

  1. Seguire le pagine dei profili social di Buonasera24: su Facebook e Instagram;
  2. Inviare una mail a controverso2019@gmail.com con il proprio nome, cognome, luogo di residenza e dichiarando nel testo della mail la paternità dell'opera. La poesia non dovrà superare i 20 versi.

Ogni settimana tre poesie, tra quelle più significative, saranno scelte, recensite e pubblicate nella rubrica "controVerso" sull'edizione digitale del giovedì e visibili online dalle ore 8:00.

Altre, invece, verranno selezionate e pubblicate esclusivamente online come "Poesia del Giorno" sul sito web di Buonasera24.it e sui canali social. 

Le tre poesie pubblicate giovedì 26 giugno 2025 sono:

  • A mia madre di Lucia Caruso di Perugia;
  • Mormora di Marco Perin di Nettuno (RM);
  • Nascostamente di Simona Falletti di Conegliano (TV).
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A MIA MADRE

Lei mi abita
come si abita una primavera
nei tramonti affamati di mare,
come si abita una preghiera
tra le labbra socchiuse di un peccatore
Lei mi abita
come si abita il tempo
nel dettaglio esasperato dei secondi,
come si abita il vento
che soffiando disperde semi fecondi
Lei mi abita
come si abita una parola
assopita tra le righe del diario di scuola,
come si abita una poesia
letta ad occhi chiusi tra le lenzuola.

di LUCIA CARUSO di Perugia

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Recensione



La voce che attraversa questa poesia ha un’andatura raccolta, ma decisa, e affonda con naturalezza nella sfera affettiva più intima. La madre non viene descritta in modo diretto: è piuttosto una presenza diffusa, che si manifesta in ciò che resta, nei gesti, nei sensi, nei dettagli che il tempo non cancella. Non c’è bisogno di raccontarla: basta sentirla. Lucia Caruso costruisce la sua composizione attorno a un verbo carico di senso – “abitare” – che torna in ogni strofa con cadenza insistente, a dare struttura e ritmo. È una scelta che regge tutto il testo, trasformando il linguaggio in gesto affettuoso e preciso. Le immagini si susseguono: la primavera, il vento, la parola scritta o taciuta. Ogni elemento diventa un modo per dire la presenza costante della madre, anche nella sua apparente assenza. La figura materna si confonde con le cose semplici e durature: un verso letto a occhi chiusi, una pagina di diario, un tempo che passa senza svanire. Non c’è dichiarazione, ma una forma di legame profondo e silenzioso. Non si canta la madre, la si custodisce. Il testo evita ogni deriva sentimentale, restando su un registro misurato, sottile. Alla fine, la madre non è oggetto del ricordo, ma compagna ancora presente, in filigrana, tra le righe e nelle pause.

   

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MORMORA

Mormora il silenzio la città pietosa,
tace il confine tra vano e sovrumano,
mentre l’aurora, che si rispecchia a iosa,

domina il platano, domina anche il leccio,
esseri eterni, come un passante anziano
posto al passaggio leggero del libeccio.

"Anticamente eri già disposto a perdere
caduche foglie, ma ormai tu sei tediato".
"Fratello mio, tu sei nato sempre verde,
come il silenzio di un borgo abbandonato".

di MARCO PERIN di Nettuno (RM)

Recensione


Il testo si colloca su un piano linguistico raffinato, che richiama un tono classico senza risultare artificioso. "Mormora" si sviluppa come una meditazione, in cui la natura assume un ruolo attivo, capace di custodire memoria e suggerire pensiero. Marco Perin tesse un confronto silenzioso tra esseri e tempi diversi. Le piante — il platano e il leccio — non sono soltanto comparse nel paesaggio, ma presenze dense, capaci di trasmettere qualcosa che va oltre l’apparenza: una forma antica di coscienza. L’aurora, che “si rispecchia a iosa”, non impone ma rivela, illumina senza aggredire, come un’intuizione che si fa strada da sé. Il fulcro emotivo della poesia si trova nello scambio che prende forma nei versi centrali: da un lato la stanchezza di chi ha perso foglie e slancio, dall’altro una voce che resiste, nonostante tutto. In questa tensione tra logoramento e tenacia si annida il nucleo della riflessione: ci sono anime predisposte alla resa, altre che custodiscono una forza silente e duratura. Il passante e il borgo abbandonato non sono soltanto immagini suggestive: incarnano l’idea di una fragilità che si fa visibile, in contrasto con una vitalità più discreta ma persistente. E proprio quel “mormora il silenzio” che apre la poesia diventa la sua cifra: un invito a cogliere la voce nascosta nelle cose, in ciò che non si impone ma resta.

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NASCOSTAMENTE

Null’altro vedo che il tuo volto lieto
chino sui miei occhi socchiusi.
Sei così vicino che quasi un bacio mi sfiora.
E io nascostamente
ebbra per la tua vicinanza
impercettibile tendo le membra.
Tra le ciglia reclinate ti guardo
e rido per la felicità che la tua esistenza mi procura.
Non sono disposta a tornare là
al di là di te
preferisco restare qui nascostamente
a sospirar quel bacio che quasi mi sfiora.

di SIMONA FALLETTI di Conegliano (TV)

Recensione

La poesia si muove tutta sul filo sottile del desiderio trattenuto, sospeso tra ciò che sfiora e ciò che manca di un soffio. È un testo intimo che racconta senza spiegare, affidandosi al linguaggio dei sensi, al non detto. Non c’è scena ampia, non ci sono gesti vistosi: tutto si concentra in uno spazio piccolissimo tra un respiro e un bacio che non accade. Simona Falletti costruisce il testo come un sussurro: ogni parola ha il peso di ciò che si trattiene, ogni verso si piega verso l’interno, come a custodire un’emozione troppo intensa per essere dichiarata apertamente. Il punto di vista è quello di chi osserva da vicino lasciandosi sfiorare dalla vicinanza dell’altro senza volerla spezzare con un gesto. Il verbo che più segna l’atmosfera è “nascostamente”, che ritorna e diventa chiave: l’amore che racconta non ha bisogno di platee, non cerca di imporsi. Non c’è attesa di altro, non c’è proiezione futura: c’è il desiderio di restare lì, nel momento in cui tutto è sentito e niente è ancora accaduto. Questa poesia non grida, ma lascia un’impronta netta. È fatta di materia lieve, ma lascia intuire la profondità di un’emozione piena, tenuta al riparo. In quella piega dell’anima dove ci si lascia semplicemente sfiorare, senza chiedere di più.

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