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rubrica poetica

Controverso

Le poesie scelte sono di Nunzia Piccinni, Marco Bergamin e Patrizia Pallotta

Poesia del Giorno

La rubrica settimanale "controVerso" è dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è deciso di raccogliere in questa pagina le più belle poesie che di volta in volta vorrete inviare. 

Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato sul quotidiano Buonasera in edizione cartacea, digitale e online nella apposita sezione, dovrà:

  1. Seguire le pagine dei profili social di Buonasera24: su Facebook e Instagram;
  2. Inviare una mail a controverso2019@gmail.com con il proprio nome, cognome, luogo di residenza e dichiarando nel testo della mail la paternità dell'opera. La poesia non dovrà superare i 20 versi.

Ogni settimana tre poesie, tra quelle più significative, saranno scelte, recensite e pubblicate nella rubrica "controVerso" sull'edizione digitale del giovedì e visibili online dalle ore 8:00.

Altre, invece, verranno selezionate e pubblicate esclusivamente online come "Poesia del Giorno" sul sito web di Buonasera24.it e sui canali social. 

Le tre poesie pubblicate giovedì 12 giugno 2025 sono:

  • Sogni bruciati di Nunzia Piccinni di San Giorgio Ionico (TA);
  • Disgustosa libertà di poetare di Marco Bergamin di Grignano Polesine (RO);
  • Trovarsi di Patrizia Pallotta di Ciampino (RM).

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SOGNI BRUCIATI

Stanotte il fuoco ha bruciato
l’ultima speranza.
Nella stanza del perdono mi domando chi sono
e perché ho scelto di sbagliare.
Una parola non basta
e il silenzio è pasta
da mangiare senza fame.
C’è un debito da saldare,
se tu non torni sui tuoi passi.
L’amico mi consola
e l’antico rancore vola.
Piano scivola il dubbio su ruvidi abeti.
Un sogno mai avverato si fa ricordo vano
di una risposta che agogno come stola
per umidi segreti.

di NUNZIA PICCINNI di San Giorgio Ionico (TA)

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Recensione



C’è un’intimità dolente che attraversa ogni verso, come un filo di cenere che si deposita piano sull’anima. La poesia si muove tra l’ammissione di colpa e il desiderio di risposte, in una stanza interiore in cui il perdono non è mai certo e il silenzio diventa metafora di un vuoto profondo. Il lessico, incisivo, costruisce immagini potenti e concrete: la “pasta da mangiare senza fame” evoca un gesto quotidiano trasformato in rito della mancanza, mentre il “dubbio su ruvidi abeti” restituisce la sensazione fisica del pensiero che non trova appiglio. “Sogni bruciati” di Nunzia Piccinni è una poesia che affronta la perdita non solo come evento, ma come condizione persistente dell’animo. L’assenza, infatti, non è mai neutra: si fa responsabilità, domanda, giudizio. C’è un “debito da saldare” che non dipende più solo dal dolore, ma anche dalla volontà di chi potrebbe tornare e non lo fa. I sogni, bruciati nel titolo e nell’immagine iniziale del fuoco, non sono semplici desideri interrotti, ma frammenti di un'identità in crisi, quella stessa che si interroga nel verso centrale: “chi sono / e perché ho scelto di sbagliare”. Nella parte finale la poesia apre uno spiraglio di lucida accettazione. L’amico consola, l’antico rancore vola, e intanto il sogno mai avverato si trasforma in “ricordo vano” – eppure capace ancora di domandare, di cercare, di esistere nella forma di una “stola per umidi segreti”.  

   

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DISGUSTOSA LIBERTÀ DI POETARE

Questo scrivere è futilità,
vanità, vaneggiare, soffocare.
Io fisso quella vera libertà
disgustosa che vuole poetare.

In fondo, per chi è la verità?
Per tutti e per nessuno. È bruciare
ogni certezza, le trivialità
del vero e falso. È manifestare

il rantolo, lo screzio, l'inadatto,
l'assurdo degli assurdi, l'inesatto.
È l'avulsa, convulsa, disperata

forza umana ed inutile, misfatto
ripugnante, aberrante, è non-fatto.
È libertà che sempre m'è mancata.

di MARCO BERGAMIN di Grignano Polesine (RO)

Recensione


C’è un’insofferenza viscerale che attraversa i versi come se scrivere fosse al tempo stesso una necessità e una condanna. L’atto poetico viene qui smascherato nella sua ambiguità: non come elevazione o bellezza, ma come gesto “futile”, “vanitoso”, quasi tossico. Eppure, proprio nel riconoscimento di questa sua natura disturbante, si avverte il bisogno insopprimibile di continuare a farlo. Il poeta si muove nel paradosso, e lo abita fino in fondo. Nel cuore del componimento, “Disgustosa libertà di poetare” di Marco Bergamin, prende forma un’idea radicale di libertà, lontana da ogni forma di armonia o consolazione. Non è la libertà ideale, ma quella che turba, che si fa “bruciare”, che spazza via le opposizioni convenzionali tra vero e falso. La poesia non è al servizio della chiarezza o del senso: è invece lo spazio in cui l’“inesatto”, il “rantolo”, l’“inadatto” hanno diritto di esistere. La scrittura si avvolge su sé stessa in un crescendo di immagini spigolose, con un ritmo secco e incalzante che non cerca né musicalità né rassicurazione. Gli ultimi versi toccano il vertice dell’asprezza: la libertà diventa “misfatto”, “ripugnante”, “aberrante”. Non è un dono, ma una condizione che divide. È una ferita che non guarisce mai, e che si fa forma poetica.

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TROVARSI

Sei un foglio di carta
vergata con mille poesie,
o un'isola qualunque
sotto aride pietre.
Un lenzuolo sfatto
sordo ad ogni gioco
sotto un tifone dove il buio
è vero e cormorani salutano
la spiaggia d'acqua.
Sei l'ombra di un vicolo
che restituisce solo
muri scrostati e finestre
senza risposte.
Sei la ruga della mattina
e nello specchio ritorna
il volto dubbioso sulla
fine di questi versi.
Come un veliero alla deriva
approdi nel bagliore bianco
e nero. L'oceano è lontano,
ti arrendi e scegli...
Rimpianto.

di PATRIZIA PALLOTTA di Ciampino (RM)

Recensione

Il testo è attraversato da un senso di smarrimento, come se il soggetto si muovesse in un paesaggio frantumato, cercando un’identità che sfugge. Le immagini – un foglio, un’isola, un vicolo, uno specchio – evocano frammenti di un io disgregato, immerso in una realtà arida, muta, incapace di offrire risposte. La poesia si sviluppa per sovrapposizioni: ogni verso aggiunge un tassello a una percezione di solitudine quieta ma profonda. “Trovarsi” di Patrizia Pallotta affronta la crisi dell’identità come condizione duratura, più che come evento improvviso. Lo specchio diventa il punto di svolta: riflette un volto incerto, che dubita della propria traiettoria e dei versi stessi. Il finale non offre una via d’uscita ma, in modo toccante e disilluso, rivela una scelta interiore. Non l’azione, ma il sentimento che resta: il rimpianto. Senza drammatizzazioni, con una lingua sobria e visionaria, la poesia ci conduce verso una verità sottile: trovarsi, a volte, significa soltanto imparare a convivere con ciò che si è perduto.

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