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rubrica poetica
08 Maggio 2025 - 06:00
La rubrica settimanale "controVerso" è dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è deciso di raccogliere in questa pagina le più belle poesie che di volta in volta vorrete inviare.
Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato sul quotidiano Buonasera in edizione cartacea, digitale e online nella apposita sezione, dovrà:
Ogni settimana tre poesie, tra quelle più significative, saranno scelte, recensite e pubblicate nella rubrica "controVerso" sull'edizione digitale del giovedì e visibili online dalle ore 8:00.
Altre, invece, verranno selezionate e pubblicate esclusivamente online come "Poesia del Giorno" sul sito web di Buonasera24.it e sui canali social.
Le tre poesie pubblicate giovedì 8 maggio 2025 sono:
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Non mi basta più sognarti,
non mi basta più viver in attesa
di vederti,
non mi basta più sentire il peso
di questa assenza disperata,
che spazia ai confini delle meste ore notturne.
Solo vorrei correre con te su distese di verde
smeraldo,
aprire i nostri occhi all’altrui incanto,
finalmente unito a te, la mia parte migliore,
per darti ciò che io chiamerò Amore.
di SANDRO RUFFINI di Chieti
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Recensione
In questa poesia si percepisce, fin dalle prime battute, una tensione emotiva intensa, che si nutre del desiderio inappagato e della presenza assente dell’amato. L’autore affida ai versi un bisogno crescente e struggente: quello di andare oltre il sogno, oltre l’attesa, oltre la solitudine. Il dolore diventa movimento, spinta, volontà di raggiungere l’altro non solo nel pensiero ma nella realtà condivisa. La seconda parte del testo di Sandro Ruffini si apre a un'immagine luminosa e pacificante: correre insieme su distese di verde smeraldo, uno scenario che contrasta con la cupezza iniziale e che suggerisce un orizzonte possibile, forse immaginato, ma intensamente desiderato. Il verde diventa simbolo di rinascita, di vita che si rinnova nel legame finalmente compiuto. È qui che la visione interiore si fa corpo, gesto, vicinanza reale: l’io lirico non si accontenta più di figurarsi l’altro, ma anela a un incontro totale, fisico e spirituale. La scrittura si mantiene limpida, priva di orpelli, ma carica di sentimento autentico. Ogni parola è scelta con cura, come se scaturisse da un’urgenza interiore che non può più essere trattenuta. La poesia diventa così un varco attraverso cui scorre la verità dell’animo. L’ultimo verso sigilla il componimento con un’affermazione semplice e definitiva: "ciò che io chiamerò Amore". Qui il sentimento trova un nome, una forma, un’identità piena. La poesia, allora, è il passaggio dal sogno al bisogno, dall’assenza al dono, dal vuoto al significato profondo del legame umano.
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L'ombra del massacro
fa scaturire gocce di pece
che si parano agli occhi
di stregoni della discordia
che ignavi della carne truce
spalmano le cicatrici
con urla mute di anime contorte.
Il simulacro di Dei obsoleti
raggiunge le odi inutili
di mercanti della iniquità
e cosparge di false ceneri
il capo di bugiardi farisei.
La lingua biforcuta vince
la strada del sospetto
e non quieta ormai violata
l'umanità smarrita.
di ALBERTO FIORINO di San Giorgio Ionico (TA)
Recensione
Questa poesia è un grido cupo e solenne che attraversa le ombre della storia e della coscienza collettiva. Con una voce tagliente e densa di significati, il poeta denuncia la violenza insensata, la falsità dei poteri corrotti, l’ipocrisia che si traveste da verità. Le immagini sono forti, spesso crude, e rimandano a una dimensione quasi sacrale della condanna, dove ogni parola assume il peso di un’accusa e ogni verso diventa un anatema contro l’ingiustizia. La scrittura di Alberto Fiorino, volutamente aspra e ritmica, rievoca un rituale di espiazione che non concede pace né assoluzioni. Gli “stregoni della discordia”, i “bugiardi farisei”, i “mercanti della iniquità” sono figure emblematiche che incarnano la degenerazione del potere e della fede, ridotti a simulacri vuoti e ingannevoli. Le “urla mute di anime contorte” evocano un dolore che non riesce più a trovare voce né ascolto. Centrale è anche l’immagine del linguaggio che tradisce: “la lingua biforcuta” diventa simbolo del sospetto e della menzogna, strumenti attraverso cui si perpetua il disorientamento di un’umanità “ormai violata”. Il tono oracolare e apocalittico del testo trova la sua forza espressiva nella densità lessicale e nella struttura compatta, quasi epigrafica. È poesia civile, senza compromessi, che chiama in causa la responsabilità di ognuno di fronte al decadimento morale.
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Le Tue parole hanno le labbra chiuse
Che mai un sussurro mi giunge Lieto
Pur nell'accesa devozione
Che accende le Emozioni più intime…
Altro non posso dire che il pensiero mi ferisce.
Mi allontano strascicando i passi
Sull'acciottolato.
E penso…
Penso che ho sempre trovato le Persone giuste…
…ma le trovo sempre nel momento sbagliato…
di BENNY MOSCHINI di Bogliaco di Gargnano (BS)
Recensione
Questa poesia si muove nel silenzio, tra le parole che non arrivano e quelle che restano intrappolate dentro. È un testo intimo e malinconico, che racconta la distanza, l'incomunicabilità, ma anche la lucida consapevolezza di un destino sentimentale segnato da un disallineamento costante: quello tra i tempi dell’anima e quelli della realtà. Il tono è confidenziale, quasi un monologo interiore che si apre con un'immagine potente: parole con “le labbra chiuse”, che già nel primo verso raccontano l’impossibilità del contatto. L’amore, pur vissuto con trasporto e “accesa devozione”, non riesce a trovare un canale d'espressione, e l’emozione si trasforma in ferita, lasciando spazio solo al pensiero e alla solitudine. È un silenzio che pesa più delle parole, perché carico di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Il passo che si trascina sull’acciottolato restituisce visivamente lo stato d’animo dell’io lirico: affaticato, disilluso, ma ancora capace di riflessione. In quel gesto rallentato e quasi simbolico, si condensa il senso dell’attesa delusa, della speranza che si spegne lentamente senza fare rumore. Eppure, tra le righe di Benny Moschini, non manca una sottile traccia di tenerezza, come se il ricordo conservasse comunque un valore. Nella riflessione finale, semplice e cruda, emerge la verità più universale del testo: l’amarezza di chi riconosce d’aver incontrato l’amore, ma mai nel momento giusto. Una rassegnazione dolceamara che chiude la poesia con struggente autenticità, lasciando il lettore in uno spazio di sospensione emotiva, a interrogarsi sulle coincidenze mancate della propria vita.
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