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La crisi del Siderurgico

Acciaierie d'Italia, «ecco chi potrebbe sostituire ArcelorMittal»

I retroscena dell'incontro a Roma: le divisioni nel governo ed il possibile nuovo partner industriale

«Sarà garantita la continuità aziendale». Arriva qualche minuto prima delle quattro del pomeriggio la versione di Palazzo Chigi dopo una mattinata, quella di ieri, ad alta tensione in merito al dossier ex Ilva. Che non chiuderà, dice quindi il governo in una nota in apertura sul sito internet ufficiale dell’esecutivo. Sul come proseguirà l’attività produttiva - la “continuità aziendale” garantita - del gigante d’acciaio, è un’altra storia. «Si è svolto a Palazzo Chigi il tavolo di confronto tra il Governo e le confederazioni sindacali sull’ex Ilva di Taranto. Il Governo ha confermato l’intenzione di continuare a fare la propria parte e ha assicurato che sarà garantita la continuità aziendale. Ha inoltre convocato le organizzazioni sindacali per un nuovo incontro da tenersi entro la fine dell’anno. Alla riunione hanno preso parte i ministri degli Affari Ue e Pnrr, Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone, dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (in videocollegamento), e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Per le associazioni sindacali hanno partecipato i rappresentanti di Fiom-Cgil, Michele De Palma, Fim-Cisl, Roberto Benaglia, Uilm-Uil, Rocco Palombella, Usb, Sasha Colautti e Ugl metalmeccanici, Giovanni Antonio Spera». Questa la nota ufficiale dell’esecutivo.

Decisamente diverso il tono della nota che l’ha preceduta, quella firmata dall’Usb. Per Franco Rizzo e Sasha Colautti, «L’esordio del sottosegretario Mantovano è emblematico della situazione: il Governo si deresponsabilizza dicendo che questa è una situazione che hanno ereditato, e che possono solo attendere l’esito del confronto con Arcelor Mittal, e capire in che modo questa è intenzionata a intervenire dentro questa crisi. Dopo una discussione durata tre ore, la proposta del Governo è solo quella di un rinvio della discussione al 29 dicembre, a questo tavolo non c’è alcuna indicazione di cosa si vuole fare. Dopo un anno e mezzo di discussione, questo incontro ha lasciato la nostra organizzazione  di stucco.  Al tavolo abbiamo ribadito con forza la necessità di un intervento immediato, rivolto ad assumere il controllo dell’azienda. Il tempo ormai è finito e abbiamo fatto presente come sia necessario che il Governo assuma come elemento di certezza il fatto che con Arcelor Mittal non c’è speranza alcuna di rilancio degli stabilimenti e di come questo attendismo rischi di compromettere del tutto la possibilità di far sopravvivere gli impianti. Abbiamo fatto presente della grave situazione in cui versano i lavoratori, abbiamo citato l’occupazione a Taranto della Concattedrale da parte dei lavoratori dell’appalto, per spiegare come oggi questi subiscano ricatti continui e la loro salute ed i loro stipendi siano utilizzati dalla multinazionale come uno scudo umano finalizzato ad assorbire ulteriori risorse pubbliche».

E' Il Sole 24Ore, giornale di Confindustria, a rilanciare i nomi del gruppo indiano Tata e degli ucraini di Metinvest

Operai dell'ex Ilva - Foto di repertorio

Per Rizzo e Colautti «sembra che il Governo abbia ancora come prima ipotesi la riconferma della multinazionale, preso dal terrore di essere travolto dai contenziosi.Come Usb davanti a questa debacle della politica non possiamo che continuare la mobilitazione, che dovrà assumere ulteriore intensità e convinzione».

Proprio in merito alla posizione dell’esecutivo, un retroscena lo fornisce Giovanni Pons su La Repubblica, che scrive di un braccio di ferro tra i ministri Fitto e Urso: «Gli ultimi incontri a livello governativo hanno visto manifestarsi un durissimo scontro tra il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto e quello del Mimit Adolfo Urso. Le due linee di invervento proposte sono sostanzialmente diverse: Fitto intende andare avanti con il gruppo franco indiano ArcelorMittal, che attualmente controlla il 62% del capitale di Acciaierie d’Italia Holding, secondo un piano industriale già approvato dal cda e dai soci e preparato dall’ad Lucia Morselli, che prevede l’impiego di 2,2 miliardi di soldi derivanti da fondi europei per far fronte al piano di decarbonizzazione degli impianti una volta acquisiti dalla amministrazione straordinaria (...) Sul fronte opposto si muove Urso che da mesi sollecita il governo affinché lo Stato salga in maggioranza nella compagine sociale dell’ex Ilva, convertendo in azioni il prestito da 680 milioni che all’inizio dell’anno è stato versato dal Mef per andare a pagare la bolletta energetica di Eni e Snam, salita alle stelle per la guerra in Ucraina. Con la conversione del prestito in azioni il socio Invitalia salirebbe al 60% diluendo ArcelorMittal al 40% e a quel punto il socio pubblico potrebbe sollecitare un cambio di governance chiedendo di sostituire l’ad Morselli con un altro manager del settore, che sarebbe stato individuato in Mauro Longobardo, ex numero uno di ArcelorMittal in Ucraina». C’è però un ostacolo non da poco, scrive Repubblica: «Con lo Stato al 60% la società rischierebbe di finire nel mirino di Bruxelles per verificare se l’intervento rappresenti un aiuto di Stato e inoltre le successive immissioni di risorse finanziarie nell’azienda rischierebbero di gravare interamente sul bilancio pubblico italiano in quanto il socio privato potrebbe scegliere di diluirsi ulteriormente. Non a caso il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è molto preoccupato di questa eventualità, anche se altri 320 milioni sono già stati stanziati».

Raffaele Fitto

Il Sole 24Ore ricorda «la ricerca – affannata e silenziosa – di un nuovo partner straniero con cui sostituire Arcelor Mittal, in grado di garantire la difficile scommessa della conservazione del ciclo integrale e della decarbonizzazione e capace di mettersi contro il secondo gruppo siderurgico al mondo» e cita gli ucraini di Metinvest e Tata, «la maggiore conglomerata indiana».

Quello di ieri tra governo è sindacati «è stato un incontro difficile, a tratti drammatico» ha spiegato Roberto Benaglia, leader nazionale della Fim, aggiungendo come, a parere dei metalmeccanici della Cisl, vada evitato che la continuità produttiva venga garantita «dall’amministrazione straordinaria». Per un’ora FimFiom e Uilm hanno occupato Palazzo Chigi. Vicino ai sindacati si è detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, per il quale la fabbrica «si sta spegnendo senza risposte da parte del Governo alla domanda di salute dei cittadini e di lavoro degli operai e delle imprese. Lasciare fallire la fabbrica un’altra volta sottraendo di nuovo centinaia di milioni di euro alle imprese dell’indotto, per realizzare la finalità di ArcelorMittal di eliminare per sempre il suo principale concorrente, è una scelta folle che non risolve neanche la questione della pericolosità per la salute pubblica».

A Roma si è vissuto un momento di accesissimo confronto tra alcuni rappresentanti sindacali, il deputato pugliese del Pd Ubaldo Pagano e l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando, invitato a non prendersi la scena perché quando ricopriva la carica di responsabile del Lavoro - a detta dei manifestanti - non avrebbe fatto ciò che chiede oggi al governo in carica. «Bene hanno fatto i sindacati ed i lavoratori a respingere i deputati del Partito Democratico accorsi ipocritamente in loro soccorso. Si trattava di un’operazione di puro sciacallaggio politico finalizzata a raccogliere facile consenso ed a scaricare su altri le proprie responsabilità. Per loro sfortuna i lavoratori non dimenticano ciò che il Pd ha combinato a Taranto e le migliaia di operai messi in cassa integrazione senza alcuno accordo sindacale» il commento dei deputati di Fratelli d’Italia Dario Iaia e Giovanni Maiorano, la senatrice Maria Nocco ed il consigliere regionale Renato Perrini.

«Per il Pd se non si aumenta la partecipazione pubblica non si potrà proteggere il futuro di Taranto, speriamo e ci auguriamo che il governo vada in questa direzione». Lo ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein, a margine di una conferenza stampa sulla manovra.

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