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L'intervento

Il vuoto politico sui beni culturali

Mancanza di risorse? No, c'è scarsa sensibilità verso il patrimonio culturale territoriale

La necropoli di via Marche

La necropoli di via Marche

di Alessandra Basile

(esperta in beni culturali e progettazione di sistemi turistici)

L’inversione di una strategia di governance per i beni culturali è davvero possibile o le tracce del nostro passato sono destinate a sprofondate nell'oblio, abbandonate e rese impossibilitate ad essere fruite ed essere confinate in una zona di indifferenza?

Quanta memoria storica viene sacrificata nella realizzazione di progetti urbanistici, in cui si attua la cancellazione dei resti di nuda pietra che si sono stratificati nel tempo, affidando solo ai toponimi il ricordo di ciò che fu, quella storia non più visibile? Gli archeologi direbbero che si tratta di “rasature”, cioè unità stratigrafiche negative per la creazione di successive unità stratigrafiche positive, in altri termini siamo di fronte a interventi che oggi definiremmo forse di demolizione-ricostruzione.

Storia e uso pubblico della storia è un terreno discorsivo piuttosto scivoloso, che mescola insieme ricerca scientifica, memoria, identità individuale e collettiva, giudizi politici sul presente e sul futuro. La riscrittura di un territorio accompagna le fasi di sviluppo urbanistico e sociale, ricorrendo spesso all’annullamento delle presenze dei beni culturali per costruzioni di arterie stradali, palazzi, parcheggi e varie strutture funzionali. La necessità di fissare comportamenti chiari da adottare in un processo di espansione urbana, che bisogna pensare tenga sempre conto di una convivenza fra passato e presente e futuro, si è troppo spesso scontrata contro il vuoto politico in materia culturale, così da creare voragini difficili da colmare, in una città stanca di vedere rispolverata la cultura solo sui palchi dei comizi elettorali. Una filosofia urbana superficiale e una visione politica intricata di problemi e incompetenze hanno imprigionato Taranto per più di un lustro in disagi e ritardi che ancora oggi fanno sentire il loro peso. Appare necessario impegnarsi a mettere a fuoco l’idea di nuova qualità urbana, cominciando a muovere qualche passo in avanti per stabilire una relazione importante con due concetti di non facile comprensione: memoria e identità.

La necessità di conservare le tracce del nostro passato non deve destinarle ad essere scarto in abbandono, come i parchi rimasti tali sulla carta o come quelli realizzati e lasciati alla mercé dell’incuria e del vandalismo dilagante.

In ogni modo, l'idea che sia possibile conservare questi siti culturali limitandoci a monitorare il loro stato di conservazione (o meglio di degrado) produce, comunque, un arresto della fruizione e della comunicazione, una sorta di stagnazione che si configura come un inutile spreco. Nel frattempo, incatenati a questa neutralità deresponsabilizzante, la nostra memoria continua a perdersi irrimediabilmente. La politica dei beni culturali negli ultimi decenni sempre più concentrata su musei famosi e sulle norme che regolamentano il possesso patrimoniale degli oggetti mobili, spesso si nasconde dietro la giustificazione ricorrente delle scarse risorse economiche a disposizione. Ma si intuisce facilmente che l’ostacolo più alto sia, invece, la poca sensibilità e interesse nei confronti del patrimonio culturale territoriale, in una scena sociale carente e poco coinvolta a causa di  comunicazione e educazione civile e culturale deficitarie. In altri termini, sarebbe essenziale uno sguardo nuovo da fondare sul convincimento che occorra una diversa attenzione ai beni culturali, una discussione libera e allargata che, per una volta, parta dai siti prima che dai musei, dal basso anziché dall'alto, dalle necessità della tutela prima che da astratte utopie irrealizzabili e, di fatto, irrealizzate. Il bene culturale va comunicato, reso percepibile al di là dei recinti; se il patrimonio storico e archeologico della città in qualche modo è riuscito a resistere ed a farsi apprezzare è grazie all’impegno costante e continuo delle numerose associazioni, che si sono spese per cercare di colmare questa distanza tra la cultura accademica e cittadini o visitatori, tentando di offrire spunti propositivi nella speranza di invertire la rotta dell'ignavia e delle trascuratezza. La divulgazione è un vero e proprio atto generatore di cultura, orientato ad offrire a tutti strumenti per costruire consapevolmente quei famosi concetti di identità e memoria, affinché quella meraviglia suscitata nel turista possa albergare all'interno di ognuno dei nostri sguardi, che in questi luoghi siamo nati. Nell’ottica del turismo, la valorizzazione dei beni culturali, oggi, è un asset privilegiato per lo sviluppo sostenibile e l’innovazione del Sistema Paese. La fruizione collettiva di cultura si è evoluta parallelamente alla società dei servizi e delle esperienze, verso la moltiplicazione di momenti di fruizione e accesso a beni, prodotti e servizi in ambito culturale e creativo. In una logica di coerenza con le indicazioni promosse dalla Comunità europea e dall’Unesco, i modelli di sviluppo “culture oriented” hanno l’obiettivo di generare, attivare e incrementare il valore del bene culturale nella sua funzione patrimoniale, storica, civile, simbolica e sociale, finalizzando il tutto verso lo sviluppo di piattaforme e sistemi di connessioni, distribuiti a rete sul territorio. I beni culturali sono il risultato di relazioni sociali e accrescono il loro valore tanto più sono riconosciuti ed incorporati nella coscienza collettiva di una comunità, in altre parole “praticati” nel loro valore d’uso. L’opportunità di valorizzare questi siti è percepita come un obiettivo strategico per rilanciare l’immagine e la competitività internazionale del made in Italy e di conseguenza anche dei brand delle Regioni, che dalla gestione economica della “filiera dei beni culturali” traggono grande potere e vantaggio.

La musealizzazione diffusa, intesa in una scala più ampia e poco compressa da limiti territoriali, ha portato verso la visione culturale allargata di nuovi distretti culturali con circuiti integrati di management, con “card” e metodi di promozione collettiva, che permettono di essere sempre più competitivi e creare sodalizi, così da diversificare l’offerta del servizio e non escludere nessuna zona territoriale o settore turistico.

Taranto è stata protagonista di molteplici tavoli di confronto politico e amministrativo, economico e speculativo. Si è investito nella riqualificazione di alcuni siti, sebbene dopo poco gli stessi, fiore all’occhiello dell’amministratore di turno, hanno subíto lo svilimento di una inaccessibilità per diverse cause, non ultima la mancanza di risorse umane qualificate. Necessita, a questo punto, riaprire una profonda ferita, a mio parere questione fondamentale, da porre alla base di ogni qualsivoglia riflessione su identità, valore, storia e cultura: come possiamo parlare di beni culturali e prospettare scenari di sviluppo di turismo culturale se non abbiamo corsi di formazione universitaria specialistici del settore? Circa otto anni fa veniva chiuso il corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali per il Turismo, pagina amara e alquanto contraddittoria per una città che ha più volte dichiarato di puntare sul potenziale culturale e turistico quale leva strategica di innovazione economica.

 

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