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21 Dicembre 2023 - 06:00
Rinaldo Melucci
Basterebbe osservare i banchi del consiglio comunale per comprendere quanta confusione sia stata generata in questo anno e mezzo di “amministrazione Melucci”. Consiglieri solitamente seduti da una parte ora li ritrovi dall’altra; per altri ancora devi prestare attenzione perché i traslochi da un banco all’altro avvengono con una tale rapidità da richiedere uno sguardo veloce come quello dei più abili giocatori di flipper. La variabilissima disposizione dei consiglieri comunali nell’aula è la rappresentazione plastica dell’impazzimento politico (a dire il vero il termine “politico” si presta poco a qualificare certi spostamenti) che ha contagiato trasversalmente il consiglio. L’esito del voto sul bilancio è il suggello – questo, sì, politico – alla pirotecnica parabola di un sindaco eletto con oltre il 60% dei voti e che oggi si ritrova con appena 16 voti a favore per scavallare lo scoglio sul quale ha rischiato di infrangersi la sua esperienza politica e la sua amministrazione. È vero, Rinaldo Melucci ce l’ha fatta a restare in sella. Ma a quale prezzo? E per quanto potrà ancora sopravvivere in questa condizione di estrema fragilità? Due partiti della sua ormai ex maggioranza sono sfasciati: il Pd è spaccato in due; Con ha già mostrato il cartellino rosso a metà del suo gruppo e la stessa cosa a breve potrebbe capitare ai tre piddini che hanno votato il bilancio in spregio alle indicazioni della segreteria provinciale. Proprio il Pd ha enormi responsabilità da farsi perdonare. Il principale partito della (ex) coalizione ha espresso una cifra politica assai modesta in questo anno e mezzo, non ha mai esercitato una azione di leadership all’interno della maggioranza e questa è stata una delle cause che hanno favorito questa conduzione politica isterica e in questo spazio si è abilmente inserito Massimiliano Stellato che ha giganteggiato rispetto alla debolezza di quello che era e avrebbe dovuto essere l’azionista di maggioranza della coalizione.
Martedì, comunque, si è verificato qualcosa di più dirompente: si è ufficialmente consumato lo strappo tra Melucci e Michele Emiliano.
Il presidente della Regione è stato finora il nume tutelare di Melucci: ha agito come stanza di compensazione quando è stato necessario sistemare certi equilibri, ha mediato quando sono sorte le prime acredini con altri partner della coalizione, lo ha sorretto e corretto davanti a scelte che non sempre sono sembrate ispirate da particolare acume politico. È stato il suo garante, insomma. Melucci ha ora perso il suo “protettore”, a meno di ricuciture che al momento appaiono piuttosto improbabili, anche se in politica mai dire mai. Sarà in grado Melucci di perseverare nelle sue acrobazie, questa volta “senza rete”? Le premesse e il film di questo anno e mezzo non lascerebbero propendere per una risposta positiva. A meno che il sindaco non abbia la certezza di poter contare su altri numi tutelari. Renzi? Fitto? A prescindere dalla risposta, che allo stato, nonostante gli indizi, non può che essere condita da una buona dose di dietrologia, resta il dato inoppugnabile: quei 16 voti che non arrivano neppure al diciassettesimo utile per certificare l’esistenza di una maggioranza. Certo, qualche stampella qua e là si può sempre raccattare, non è certo una novità, anche se bisogna mettere in conto che in questi casi il prezzo politico delle operazioni aumenta all’aumentare del valore determinante di ogni pedina raccattata e non è detto che Melucci, da solo, abbia tutta questa capacità di “spesa”. Ma una città in profonda crisi, eppure con ingenti investimenti da poter realizzare, può essere governata in modo così rabberciato e raccogliticcio? L’autorevolezza politica di questa amministrazione si è ridotta ormai ai minimi termini, soprattutto ora che è stata mollata dai partiti più autorevoli che possono contare su riferimenti regionali e nazionali. A meno che non emergano coperture di una certa levatura, è difficile pronosticare vita lunga in queste condizioni, anche se Melucci ha dalla sua la volontà di gran parte dei consiglieri di non lasciare lo scranno proprio ora che stanno per scattare i generosi aumenti delle indennità mensili.
Certo, ha destato perplessità anche la divaricazione registrata nel centrodestra. Visioni diverse tra chi è uscito dall’aula (Fratelli d'Italia e Svolta Liberale) e chi ha preferito restare (Forza Italia e Lega) e votare “no” all’approvazione del bilancio. Ognuna delle due parti, nelle proprie argomentazioni, afferma di aver voluto – restando in aula o abbandonandola – smascherare le difficoltà della maggioranza. Sarebbe stato meglio uscire tutti o restare tutti dentro e votare contro? In assenza di controprove si resta nel limbo delle ipotesi. E in questo limbo, tra i sussurri di corridoio, si è fatta largo la tentazione di cedere a qualche suggestivo teorema. In un quadro complessivo così mortificante, ci vuole chiarezza anche nelle opposizioni. Senza ambiguità. Il livello di sfiducia nella politica è così alto che non si avverte alcun bisogno di aggiungere altra carne sul fuoco di questo disastro etico e politico.
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