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Il Siderurgico
10 Ottobre 2023 - 06:25
La protesta di Aigi
La richiesta è quella di un incontro con il ministro Raffaele Fitto. E, se la convocazione da parte del ministro non arriverà entro venerdì, ci saranno nuove - e più dure - forme di protesta. Ricevuti dal nuovo prefetto di Taranto, Paola Dessì, gli imprenditori dell’indotto siderurgico che si riconoscono nell’associazione Aigi hanno chiesto di poter parlare con uno degli uomini di fiducia della premier Giorgia Meloni - il salentino Fitto, appunto - che nel governo è titolare delle deleghe al Mezzogiorno ed al Pnrr. E che, insieme al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano (anche lui originario del Salento) segue con particolare attenzione la complicatissima partita Ilva, su mandato di Meloni.
L’incontro con il prefetto Dessì è arrivato al termine di una mattinata, quella di ieri, animata dalla mobilitazione di Aigi, associazione indotto Acciaierie d’Italia e General Industries: oltre cinquecento, tra imprenditori e lavoratori, si sono radunati nell’area della portineria C dello stabilimento siderurgico, anche con mezzi pesanti, per poi muoversi sulla statale 7 e dirigersi verso la Prefettura. Tutti indossavano una t-shirt con su scritto “Rispetto per Taranto”: obiettivo del presidio, scandire un chiaro no a qualsiasi ipotesi di nuova amministrazione giudiziaria per il gigante d’acciaio tarantino. Ipotesi balenata da un articolo de Il Giornale e successivamente smentita da Acciaierie d’Italia, la società che come noto gestisce gli impianti ex Ilva. Ma solo pensare ad un commissariamento-bis basta a terrorizzare gli imprenditori.
«Lo Stato, ed il Governo, devono capire che un altro 2015 (anno del commissariamento dell’Ilva, ndr) costato all’indotto di Taranto ben 150 milioni di euro, queste aziende non se lo meritano. Riproporre lo schema di otto anni fa decreterebbe la fine dell’intera economia di Taranto perché l’ennesima amministrazione straordinaria non consentirebbe i tempi tecnici per la ripresa e metterebbe in ginocchio tutte le imprese» ha dichiarato il presidente dell’associazione, Fabio Greco. Un «secondo bidone di Stato» è lo spauracchio, ma Greco ha voluto precisare che quello di Aigi non è stato uno sciopero - la produzione non si è interrotta, «non abbiamo bloccato nulla, lo stabilimento è casa nostra». Anzi, le aziende dell’appalto ex Ilva chiedono che la produzione della fabbrica aumenti, in modo comunque compatibile con l’ambiente. La manifestazione, ed il corteo, hanno avuto conseguenze molto pesanti per il traffico veicolare. E, mentre Fim Fiom e Uilm annunciano per il 20 ottobre otto ore di sciopero (questo sì) in tutti gli stabilimenti del gruppo Acciaierie d’Italia, con manifestazione a Roma, l’ex ministro Carlo Calenda parla di «morte annunciata» per quella che fu l’Ilva.
Dal versante confindustriale, Antonio Gozzi, presidente nazionale di Federacciai, durante la presentazione della Genoa Shipping Week alla Fiera di Genova ha lanciato un monito: «Rischiamo di andare sugli scogli innazitutto per la situazione di grandissima tensione che si è verificata con l’aggressione di Israele da parte di Hamas, che apre un quadro geopolitico molto complicato; ma anche Acciaierie d’Italia rischia effettivamente di essere fra gli scogli. Il socio privato deve decidere cosa vuole fare». «Ripeto che se ArcelorMittal, che è la prima siderurgia del mondo, è disponibile a mettere soldi e management per salvare l’impianto industriale italiano più importante, non c’è soluzione migliore. E però se non lo fa bisogna cambiare registro. E il tempo stringe perché il degrado di una situazione in cui non c’è capitale circolante, se fanno pochi investimenti, non può essere prolungato più di tanto. Mi sembra che sia venuto il momento della verità e delle scelte, speriamo che ci sia una soluzione che consenta all’Italia di continuare a mantenere questo che è un asset strategico per l’industria nazionale della trasformazione del metallo» ha detto Gozzi.
Quale un eventuale piano B? «Non sta a me indicare altre soluzioni, tenendo conto anche che lo Stato è socio dentro Acciaierie d’Italia, quindi direi che Palazzo Chigi e via Veneto si devono fare carico del problema e devono trovare una strada per consolidare l’occupazione, consolidare l’asset strategico, proseguire nel processo di decarbonizzazione perché se l’Ilva non decarbonizza chiude. Non si può sostenere un extracosto a partire dal 2027 di 200 euro alla tonnellata di acciaio che è pari all’acquisto delle quote di CO2 che saranno necessarie per produrre quell’acciaio tenendo conto che dal 2027-28 le quote gratuite non ci saranno più».
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