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Il Siderurgico

«Vogliamo chiarezza sul futuro»: le voci dello sciopero ad Acciaierie d'Italia

Il racconto della giornata

Lo sciopero all'ex Ilva

Lo sciopero all'ex Ilva

Poco prima delle 7 c’è già il sole. E ci sono già loro. Da prima dell’alba, in realtà. Bandiere e felpe. All’orizzonte il cielo è sereno; ma è un inganno. «Qui c’è gente che vive di sola cassa integrazione. Gente stremata» dice Biagio Prisciano, segretario generale aggiunto della Fim Cisl Taranto Brindisi. Parla quando è appena iniziato lo sciopero di 24 ore dei lavoratori di Acciaierie d’Italia, dell’appalto e di Ilva in as, indetto dalle segreterie territoriali di Fim, Fiom, Uilm, oltre che di Fisascat, Filcams, Filtcem Cgil, Uiltucs, Filca Cisl, Fillea Cgil, Feneal Uil, Fit Cisl, Filt Cgil, Uil Trasporti, Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uil Temp.

I primi vagiti del 28 settembre, ieri: operai in strada sotto lo sguardo attento delle forze dell’ordine. «Bisogna che il governo risponda, così non si può più andare avanti, con slogan e annunci che poi nei fatti non trovano concretezza. Non vogliamo vivere di ammortizzatori sociali» dice ancora Prisciano «l’acciaio green si può fare, lo sappiamo, in tutti gli altri Paesi lo stanno applicando metre in Italia siamo ancora a “stai con l’ambiente, stai con la salute o stai con il lavoro”. Intanto le aziende dell’indotto sono ai limiti del possibile, ed i lavoratori dell’Amministrazione straordinaria sono ancora fuori. Dopo dodici anni questa vertenza deve arrivare ad una soluzione» scandisce il segretario della Fim territoriale.

«Dov’è questa ambientalizzazione?» chiede e si chiede un operaio seduto per terra, insieme ad un altro gruppo di lavoratori in sciopero. «Dove sono andati a finire i soldi che ha messo il governo?»; «siamo stanchi, dodici anni di vertenza e nulla è cambiato, questa è una azienda che si sta chiudendo da sola, con la complicità del governo» un’altra voce che si sovrappone. 

Ma che cosa vogliono, poi, questi lavoratori? «Certezze. Sul piano piano industriale, ambientale e occupazionale» spiega Francesco Brigati, segretario generale Fiom Cgil di Taranto. «Con l’attuale gestione abbiamo maggiori rischi per la salute e per la sicurezza, perché i lavoratori sono in cassa integrazione e non si fanno le manutenzioni. Ci sarà presto un coordinamento nazionale di Fim, Fiom e Uilm con i delegati di tutti gli stabilimenti in cui discuteremo nuove mobilitazioni: non ci fermeremo» aggiunge Brigati. Continua il rappresentante della Fiom: «Se questo è un sito di interesse strategico il Governo lo deve dimostrare con i fatti. La soluzione non è quella di dare ulteriori risorse pubbliche a chi ha già dimostrato di non esser riuscita a mettere in atto il piano ambientale e ha ridotto la produzione ai minimi storici».

«Abbiamo dovuto far sentire il nostro grido di dolore contro chi aveva promesso di investire nell’acciaio italiano e soprattutto pulito, rilanciando un’azienda che le cronache politico-sindacali ci consegnano come un paziente in terapia intensiva. Centinaia di lavoratori, stremati, stanchi, delusi hanno tirato fuori l’ulteriore grido di dolore per chiedere a gran voce risposte, che non arrivano dalla proprietà ma soprattutto dal Governo, su quella che sarà l’ex Ilva di Taranto. La misura è colma» commenta Piero Pallini, coordinatore della Uil di Taranto. «Il governo Meloni vada in discontinuità con le scelte - peggio, le non scelte - dei governi passati» è l’appello amcora di Pallini all’esecutivo «mostri la sua autorevolezza adesso, e ascolti il grido di allarme che giunge dalla fabbrica e quello di un’intera città». E, nel criticare le scelte di ArcelorMittal, chiede allo stesso governo di non continuare i negoziati con la multinazionale - anche se proprio questa sembra la strada intrapresa, con il ministro Raffaele Fitto in particolare ad essere impegnato nella non facile trattativa con il gruppo francoindiano. Intanto, mentre all’interno dello stabilimento si svolgeva Steel Commitment 2023 - Primary, il “roadshow” commerciale di Acciaierie d’Italia giunto al terza incontro alla presenza di 450 partecipanti, di cui 300 clienti, all’esterno c’erano i presìdi dei manifestanti davanti a tutte le portinerie. Fonti aziendali stimano l’adesione allo sciopero tra il 10 ed il 20% in media nei due turni interessati, il primo ed il secondo. Di "altissima partecipazione" riferiscono invece Fim Fiom e Uilm nazionali.

Anche la politica si interroga - e si divide - sul che fare in merito alla grande acciaieria tarantina.  «La sinistra ha sempre sbagliato, sottovalutando o peggio ancora, procrastinando le difficilissime questioni attinenti all’ex Ilva di Taranto» è l’analisi di Dario Iaia, parlamentare di Fratelli d’Italia. «Vorremmo ricordare che Arcelor Mittal come socio privato non è stato individuato dal governo Meloni. Al contrario, questo governo, nella sua interezza, non si nasconde dietro a un dito, ma affronta di petto le questioni. Non dimentichiamo il decreto legge con il quale il governo ha impegnato 680 milioni per l’acciaieria di Taranto o i provvedimenti successivi che hanno consentito all’Italia di risolvere le procedure di infrazione a carico del nostro Paese» continua Iaia. Prosegue il deputato di FdI: «E’ chiaro che i problemi sul tappeto da decenni sono estremamente complessi e l’esecutivo se ne sta occupando sin dal momento del suo insediamento, anche con il D.L. 69/2023. Il governo è consapevole dell’urgenza di addivenire ad una soluzione dell’annosa questione e di come si debba procedere celermente nel percorso di decarbonizzazione e sulla verifica dell’impegno del socio privato al rilancio dell’impianto. Il ministro Fitto è impegnato sulle linee di finanziamento ( Repower Eu ed FSC) necessarie per far sì che la decarbonizzazione diventi una realtà».

La segretaria provinciale del Pd Taranto, Anna Filippetti, si dice «al fianco dei lavoratori e delle organizzazioni che ne rappresentano le istanze, e sostiene le iniziative di mobilitazione.  Molteplici sono  intanto le interrogazioni alla Camera e al Senato presentate dai nostri parlamentari, l’ultima quella di Ubaldo Pagano, al fine di avere risposte in merito alle prospettive per lo stabilimento e per tutti coloro che vi lavorano, quindi anche per le loro famiglie, e per la comunità tutta. Il Governo  non sembra voler  intervenire in maniera efficace, ma solo riponendo nuovamente fiducia in un privato che ha prodotto nuova cassa integrazione, forti ritardi nel pagamento dell’appalto, e incertezze per tutti i lavoratori legati in maniera diretta e non a questa  gestione, per non parlare del progetto di decarbonizzazione, ormai arenatosi».

I consiglieri regionali di Azione della Puglia e Liguria Fabiano Amati, Sergio Clemente, Ruggiero Mennea e Pippo Rossetti, del Consigliere comunale di Genova Cristina Lodi e del segretario regionale della Liguria Roberto Donno, da parte loro, hanno diffuso una nota: «Le fabbriche si salvano, e con loro la prospettiva produttiva e competitiva del Paese, se si capisce subito chi mette i soldi e quindi gestisce. In poche parole, se si torna all’accordo blindato stabilito da Carlo Calenda. Non si può pensare che lo Stato metta i soldi e Mittal gestisca quei soldi non per rilanciare la produzione ma per pagare i debiti. Non era questo l’accordo iniziale, contemplando nelle cause del successivo disastro anche la decisione di eliminare la protezione legale, fatta passare in malafede come scriminante quando in realtà si trattava di puntualizzare quanto nell’ordinamento è già previsto sul profilo della colpevolezza. Lasciare tutto com’è, senza sciogliere gli equivoci sui finanziamenti e sulla gestione, magari versando altri 680 milioni prelevati dalle tasche dei cittadini per pagare i debiti ancora una volta accumulati, significa accertare la morte dell’ex Ilva, lasciando sul terreno - in particolare a Taranto - una bomba ecologica difficile da spegnere. Passare la nottata non è una politica, meno che mai una politica industriale. Siamo solidali con le iniziative di attenzione al problema portate avanti da Fim, Fiom e Uilm, e siamo solidali con tutti i lavoratori in stato di agitazione».

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