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Il libro
13 Gennaio 2024 - 07:18
L'ex Ilva
A distanza di oltre vent’anni, torna in libreria “Palazzina Laf” - Mobbing: la violenza del padrone” (Edizioni Archita), il libro nel quale l’ex impiegato dell’Ilva, Claudio Virtù, racconta la sua disavventura nella palazzina di segregazione dove furono emarginati, a non fare nulla, i dipendenti che non accettavano la novazione contrattuale, vale a dire il declassamento a operai, e quelli che, in qualche modo, sindacalizzati o meno, erano ritenuti non in linea con le volontà aziendali.
È lo stesso libro che ha ispirato il soggetto del film di Michele Riondino su quella pagina oscura della storia dello stabilimento siderurgico di Taranto. Una storia che appartiene all’era della famiglia Riva e che si concluse con le condanne di Emilio Riva e di altri dieci imputati. Un processo che mise a fuoco il concetto di mobbing e di bossing, cioè quelle forme di violenza psicologica esercitate dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore.
Quel libro fu pubblicato nel 2001 nella collana “Quaderni del Centro Studi Piero Calamandrei” e in questi giorni viene riproposto in una edizione aggiornata, con i contributi dell’editore Roberto Cofano, dell’avvocato Massimo Saracino, del giornalista Giacomo Rizzo e dell’avvocato Carlo Petrone, alfiere, con gli altri suoi colleghi, della battaglia legale che fece giustizia di quei soprusi. Proprio l’avvocato Petrone, presidente e animatore del Centro Calamandrei, riassume il senso di questa riedizione del volume di Claudio Virtù: «Dopo oltre vent’anni la riedizione del volume ripropone la inquietante storia personale di Claudio Virtù e degli altri compagni di lavoro, denunzia le ampie problematiche riguardanti quelle strategie aziendali e ricorda taluni vuoti emersi all’epoca nella tutela dei lavoratori in una Taranto sempre sonnacchiosa, nella quale non è impossibile individuare ancora oggi responsabilità anche circa il futuro del colosso industriale».
L'avvocato Carlo Petrone
Nella storia personale di Claudio Virtù si ritrovano molti episodi rappresentati nel film: dalla condizione di prostrazione psicologica di chi non riusciva a reggere lo stress di quella umiliante condizione, ai rituali che si compivano, quasi per esorcizzare la nevrosi, in quelle stanze che si aprivano lungo quel disadorno corridoio, come il “pestaggio” collettivo, a fine giornata, delle confezioni d’acqua ormai vuote, «come se fosse la conclusione di una festa di paese». Ma soprattutto, nel libro emergono i profondi disagi esistenziali sofferti da chi ha vissuto quella esperienza che non sembrerebbe appartenere ad un Paese dell’Occidente civilizzato a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo. Drammi personali e familiari di lavoratori che sono riusciti a riscattare la propria dignità solo al termine della vicenda giudiziaria con la conferma delle condanne in Cassazione.
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