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La crisi del Siderurgico
10 Gennaio 2024 - 18:26
Monsignor Ciro Miniero
Sono diventate subito un caso le parole di monsignor Ciro Miniero, arcivescovo di Taranto, sull’ex Ilva e sul rapporto con la città. In particolare alcune frasi, «non c’è alternativa a quella fabbrica», «la chiusura sarebbe una catastrofe» ed un passaggio sulla città «formata per questo» hanno fatto il giro del web, con reazioni pesanti, e portato i consiglieri comunali Massimo Battista e Luigi Abbate a chiedere le scuse di Miniero, le cui parole sono state estrapolate da una conversazione a Radio Vaticana.
Il vescovo ha successivamente diffuso una nota per “chiarire la sua posizione e ribadire le priorità della Chiesa”, come spiegato dall’Arcidiocesi. La riportiamo: «Sento la necessità di intervenire a seguito dell’interpretazione di una recente intervista. La mia posizione quale vescovo di Taranto in merito alla vicenda del siderurgico non si discosta dalla via maestra che è stata segnata dalla Laudato si’ di papa Francesco: sviluppo sostenibile e cura del Creato. A volte le parole di una conversazione non rendono con chiarezza i pensieri. Specie quando ho detto che “la comunità è formata per questo” non volevo assolutamente esprimere un fatalismo circa il destino della città e la conseguente impossibilità di un cambiamento. Tutt’altro. Volevo semplicemente dire, e spero che si percepisca la bontà del mio pensiero, che Taranto, la nostra comunità, costituita di fatto intorno alle sorti dello stabilimento siderurgico, ha diritto a ricevere risposte certe».
Continua Miniero: «La situazione in merito allo stabilimento siderurgico ha assunto nel tempo sempre più i tratti della drammaticità. Se da un lato viene ribadita la strategicità dello stesso per il Paese, dall’altro sono solo la città di Taranto e i suoi cittadini a soffrirne l’impatto economico e ambientale. Economico, perché da anni migliaia di lavoratori vivono nell’incertezza per il proprio reddito. I numeri della cassa integrazione sono impressionanti e le aziende dell’indotto non vedono riconosciuti i propri crediti e rischiano la definitiva cessazione dell’attività. Ambientale, perché è di pochi giorni fa l’ennesimo episodio di slopping, ricorrenti sono le denunce delle associazioni ambientaliste in merito allo sforamento dei limiti delle emissioni mentre si sono perse le tracce del Piano per le bonifiche. Rapporti scientifici hanno riconosciuto l’impatto nefasto sulla salute dei tarantini della fabbrica. Numerose a suo tempo furono le perplessità espresse da vari settori cittadini e non solo in merito alla cessione ad ArcelorMittal dello stabilimento, perplessità che purtroppo hanno trovato fondamento nel tempo. Registriamo con preoccupazione l’indisponibilità di AM ad accettare ora l’aumento di capitale del socio pubblico fino al 66%. Avremmo salutato con favore il possibile maggior impegno dello Stato in Acciaierie d’Italia e ci saremmo altresì augurati che questo fosse stato sensibile proprio in virtù di quella strategicità nazionale che richiede la condivisione dei doveri quanto dei diritti. E quel che attendiamo sono risposte chiare e definitive in merito ai diritti dei lavoratori e agli impegni con essi assunti; auspichiamo investimenti certi in merito al processo di ambientalizzazione dell’acciaieria; auspichiamo che riprenda con rinnovata energia il processo di bonifica del territorio. Nel caso dell’accordo tra le parti, difficile ad oggi, dati gli esiti dell’incontro a Palazzo Chigi, auspichiamo che eventuali prossimi futuri partner vengano valutati con attenzione, attenzione che la città tutta, legata com’è al destino del siderurgico, pretende e che attende non senza preoccupazione».
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