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CONTROVERSO
27 Agosto 2025 - 06:00
"Poesia del Giorno" è un'estensione della rubrica settimanale "controVerso" dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è quindi deciso di pubblicare, in questo appuntamento giornaliero, le più belle poesie che vorrete inviare.
Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato nella apposita sezione sul sito web Buonasera24.it e sui canali social della testata, dovrà:
Ogni giorno alle ore 9.00 una poesia, tra quelle più significative, sarà scelta, pubblicata e recensita, esclusivamente online, in questa rubrica.
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La Poesia del Giorno, di mercoledì 27 agosto 2025, è:
SONO UN MOSTRO?
di GIANLUCA FRATINI di Santa Maria Capua Vetere (Ce)
Se la distruzione totale di un popolo non mi tiene sveglio la notte,
se l’uccisione di bambini innocenti non mi suscita dolore,
se con l’urlo di una madre non rammento mia madre,
se con lo strillo di una ragazzina non ricordo mia figlia,
sono un mostro?
Se guardando occhi vitrei,
mani mutilate,
labbra sanguinanti,
se guardando corpi maciullati riesco a volgere lo sguardo altrove,
allora sì, sono un mostro?
Se il passare del tempo mi abitua alla distruzione,
alla devastazione,
all’abbattimento,
se il passare del tempo mi abitua all’annientamento,
sono un mostro?
Saranno altri mostri come me a giudicare,
mentre chi morente mi guarda cercando la sua salvezza.
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Recensione
Questa poesia si impone con la forza di una domanda che non concede tregua. Gianluca Fratini sceglie un tono diretto, quasi brutale, per portare il lettore dentro la contraddizione più inquietante: l’abitudine al dolore altrui, la normalizzazione della violenza. Ogni strofa si costruisce come un crescendo di interrogativi che mettono a nudo non soltanto la coscienza del poeta, ma anche quella di chi legge.
La ripetizione insistente di “sono un mostro?” è il perno attorno a cui ruota tutto il testo: un refrain che scava, che obbliga a fermarsi e a confrontarsi con la propria indifferenza. I versi “se l’uccisione di bambini innocenti non mi suscita dolore, / se con l’urlo di una madre non rammento mia madre” colpiscono per la loro crudezza, accostando immagini universali a legami personali che nessuno può ignorare.
Ciò che colpisce maggiormente è il modo in cui l’autore riesce a intrecciare la dimensione collettiva della tragedia con quella privata e intima. Non ci troviamo di fronte a un discorso politico, ma a una riflessione morale che interroga la sensibilità umana e le sue derive. Il lettore è trascinato in un terreno scomodo, dove la colpa non appartiene più soltanto a chi compie atrocità, ma anche a chi resta immobile, incapace di reagire.
Il linguaggio è volutamente scarno, senza ornamenti, come se le parole dovessero arrivare nude e spietate. E proprio questa nudità stilistica amplifica la portata dei quesiti, rendendoli universali. L’immagine conclusiva, “saranno altri mostri come me a giudicare”, lascia un senso di vuoto che non si risolve, ma che resta addosso come un monito. È un testo che non cerca consolazione, ma pone allo scoperto il rischio più grande del nostro tempo: abituarsi al dolore, fino a non sentirlo più.
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