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CONTROVERSO
28 Luglio 2025 - 06:00
"Poesia del Giorno" è un'estensione della rubrica settimanale "controVerso" dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è quindi deciso di pubblicare, in questo appuntamento giornaliero, le più belle poesie che vorrete inviare.
Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato nella apposita sezione sul sito web Buonasera24.it e sui canali social della testata, dovrà:
Ogni giorno alle ore 9.00 una poesia, tra quelle più significative, sarà scelta, pubblicata e recensita, esclusivamente online, in questa rubrica.
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La Poesia del Giorno, di lunedì 28 luglio 2025, è:
SCRIVO
di ALMA SAPORITO di Parma
Scrivo
per onorare la parola
che giunga a te
intatta
pregna
e non sbiadisca
posta al sicuro
dell'inchiostro
e poi in solitudine
ammutolisco
e affondo le mani
nella terra
tra radici
nella sabbia
tra conchiglie
nel sale
del mare.
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Recensione
Ci sono poesie che sembrano fatte per non spiegare nulla, ma per lasciare qualcosa. Scrivo è una di quelle poesie che si posano piano sul lettore, senza chiedere attenzione, ma ottenendola con naturalezza. In pochi versi, l’autrice riesce a restituire un gesto intimo, quasi quotidiano, come se stesse sussurrando tra sé e sé. Eppure, dietro quell’apparente semplicità, c’è una forza silenziosa che colpisce.
Scrivere, qui, non è solo mettere parole su carta. È un atto preciso, quasi sacro: custodire qualcosa, proteggerlo dal tempo e dalla dimenticanza. C’è la volontà che la parola arrivi “intatta”, che non venga sbiadita dal rumore del mondo, come se ciò che si vuole dire fosse fragile e, proprio per questo, prezioso. L’inchiostro non è uno strumento qualunque, ma un rifugio. Le parole, per chi scrive, devono sopravvivere. Devono restare.
Ma subito dopo arriva il silenzio. Alma Saporito si ritrae, tace, si immerge in un dialogo senza suoni con la terra, le radici, la sabbia, il mare. È come se la scrittura fosse solo una parte di qualcosa di più grande, che inizia nel corpo e nella materia. Le mani che affondano sono un gesto che richiama un bisogno profondo: non solo esprimere, ma anche tornare all’origine, stare a contatto con ciò che è vero, vivo, semplice. Scrivere e zittirsi, dire e poi restare in ascolto.
La poesia non fa rumore, eppure lascia una traccia profonda. Non c’è l’urgenza di convincere o spiegare: solo il bisogno autentico di dare un nome a ciò che si sente e, una volta fatto, lasciare che la natura completi il resto. Come se le parole avessero fatto la loro parte, e ora fosse il tempo della terra, del mare, delle cose che esistono anche senza essere dette.
È una poesia che non pretende nulla, ma che si fa spazio. Non per alzare la voce, ma per restare impressa.
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