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rubrica poetica

Controverso

Le poesie scelte sono di Concetta La Placa, Stefano Gianfreda e Patrizia Sparacìa

Poesia del Giorno

La rubrica settimanale "controVerso" è dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è deciso di raccogliere in questa pagina le più belle poesie che di volta in volta vorrete inviare. 

Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato sul quotidiano Buonasera in edizione cartacea, digitale e online nella apposita sezione, dovrà:

  1. Seguire le pagine dei profili social di Buonasera24: su Facebook e Instagram;
  2. Inviare una mail a controverso2019@gmail.com con il proprio nome, cognome, luogo di residenza e dichiarando nel testo della mail la paternità dell'opera. La poesia non dovrà superare i 20 versi.

Ogni settimana tre poesie, tra quelle più significative, saranno scelte, recensite e pubblicate nella rubrica "controVerso" sull'edizione digitale del giovedì e visibili online dalle ore 8:00.

Altre, invece, verranno selezionate e pubblicate esclusivamente online come "Poesia del Giorno" sul sito web di Buonasera24.it e sui canali social. 

Le tre poesie pubblicate giovedì 24 luglio 2025 sono:

  • Quando verrai di Concetta La Placa di Roma;
  • Appartenenza di Stefano Gianfreda di Torricella (TA);
  • La corrente dei sussurri di Patrizia Sparacìa di Dalmine (BG).
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QUANDO VERRAI

Ancora nelle notti
di solitudine,
così come nel firmamento
le stelle più lontane
continuano imperterrite
a brillare.
Io sarò ad attenderti
come sempre,
in tutti questi anni,
diventati ormai secoli.
Sarò qui, in questo cosmo
palpitante di vita e d’amore,
in eterna attesa di te.
Sarà un viaggio lungo
e sofferto
ma io ci sarò.
Quando giungerai a me
sarà di nuovo Primavera
e i ciliegi saranno in fiore
per noi.

di CONCETTA LA PLACA di Roma

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Recensione



C'è una promessa che attraversa il tempo, silenziosa e ostinata, in questa poesia. Una presenza che non si arrende, che resta, anche quando tutto sembra distante, rarefatto, immerso in una solitudine che ha la consistenza delle galassie remote. Il testo si muove come un sussurro nel buio, ma ha la forza di un giuramento: l’attesa non è resa, è scelta. La voce poetica, delicata ma incrollabile, abita un universo sospeso, dove l'amore non conosce scadenze né stagioni, ma si rinnova nella sua fedeltà costante. Il richiamo alla natura – i ciliegi, la primavera – non è solo ornamento, ma annuncio di un rinnovamento profondo, intimo. Il paesaggio si fa complice di un ritorno atteso, quasi sacro. Qui non si racconta solo un'assenza, ma la capacità di trasformarla in spazio abitabile, in respiro. E in quell’attesa che dura “ormai secoli” si rivela la verità più forte del testo: la permanenza dell’amore, anche quando sembra ridotto a un eco. L’attesa, allora, diventa un atto creativo, una forma di resistenza dolce e tenace. E quando finalmente verrà quel giorno, ogni parola sembrerà fiorire di nuovo senso.

   

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APPARTENENZA

Mi rimescolo alla terra
all'essenza dello spazio
al mistero del tuo sospiro.
Rinuncio a comprendere
mi arrendo alle vicinanze
scorro nel flusso emotivo
della tua piena vitale.
Ora non sono un uomo
non sono niente.
Sei tu midollo e natura,
io vi appartengo solamente.

di STEFANO GIANFREDA di Torricella (TA)

Recensione


In questi versi si avverte il desiderio di fusione, di annullamento dell’io per lasciare spazio a qualcosa di più vasto, di più originario. La parola si fa radice, e la coscienza individuale si dissolve in una comunione profonda con l’altro e con l’universo. Non c’è conflitto in questa resa: c’è abbandono consapevole, accettazione del mistero e della forza che l’altro porta con sé. Il linguaggio è essenziale, diretto, eppure carico di tensione. Ogni immagine sembra scavare nell’umano fino a farne emergere l’essenza primitiva, arcaica, legata alla terra, al corpo, alla linfa vitale. Non c’è più distinzione tra soggetto e oggetto, tra chi guarda e chi viene guardato. L’identità, così come siamo abituati a pensarla, qui cede il passo a una forma nuova, più fluida, più radicale: l’appartenenza come stato dell’essere, non come possesso. Il poeta non cerca di capire, ma di essere parte. E proprio in questa rinuncia al controllo affiora una verità nuda e potente: si è vivi solo in relazione, solo quando ci si lascia attraversare. Alla fine, il “non essere niente” non è perdita ma conquista. È l'accesso a una condizione più vera, in cui ogni parola ha il peso di una confessione senza difese. C’è una sacralità umile e profonda in questa resa totale, come un ritorno al respiro primigenio dell’esistenza.

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LA CORRENTE DEI SUSSURRI

Ogni flusso, un messaggero silente,
raccoglie i giuramenti di anime ardenti.

"Ti amerò per sempre,"
l'acqua accoglie e lo porta via con sé,
verso l'oceano sconfinato,
un sigillo mai più spezzato.

E anche se gli anni passeranno veloci,
e i volti cambieranno, le voci,
la corrente dei sussurri non dimentica,
conserva intatta ogni promessa antica.

Perché l'acqua è memoria,
fluida e profonda.
Custodisce i segreti,
i sogni di chi ha amato,
e li porta lontano,
in un tempo sospeso...

di PATRIZIA SPARACÌA di Dalmine (BG)

Recensione

In questa poesia, l’acqua diventa archivio invisibile delle emozioni umane, custode di promesse che il tempo non riesce a cancellare. Ogni flusso, ogni movimento liquido, è un tramite tra ciò che è stato detto e ciò che continua a vivere. Il sentimento non viene gridato, ma sussurrato — ed è proprio in quei sussurri che si annida la verità più profonda. L’amore assume la forma di un giuramento consegnato alla natura, non come un grido disperato ma come un atto fiducioso, affidato alla corrente. Non c’è dramma, non c’è nostalgia: ciò che conta resta, in una forma diversa, forse più pura. La metamorfosi del ricordo trova nell’acqua una madre accogliente e neutra, che non giudica né altera. Il tempo non distrugge, ma trasforma. Anche se i volti mutano, le voci si perdono nel vento, ciò che è stato sentito davvero rimane, trattenuto in quel flusso eterno che non conosce oblio. La poesia ci consegna un’immagine limpida e potente: ciò che è autentico trova il modo di continuare ad esistere. Nell’ultima strofa, la sospensione del tempo si fa rifugio: là dove tutto scorre, qualcosa resta.

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