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REALISTICO
11 Novembre 2025 - 06:01
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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Il cielo da giorni s’ingolfava e s’addensava in nuvoloni e fitte caligini. Quando, quel 4 ottobre, cominciò a diluviare, tutti accolsero la pioggia come una fatalità inevitabile.
Oreste, uscendo dal parcheggio del supermercato di Montalto, vedeva la strada appannarsi istante dopo istante. Si aspettava l’acquazzone, certo, ma non la quantità di auto in circolazione. Dunque, tutti avevano aspettato la pioggia per farsi un giretto in macchina?
«Con quello che costa la benzina!» pensò, perplesso, il vecchio Oreste avviandosi lungo la provinciale.
Proprio allora un SUV bianco lo superò consegnando al parabrezza una badilata d’acqua traumatizzante. Oreste frenò d’istinto e la sua Cinquecento, che già marciava prudentemente in seconda, s’arrestò.
«Ma dove andrà così di fretta con questo maltempo?» si chiese l’anziano guidatore al passaggio del bolide.
«Tanta fretta per nulla» sentenziò poco dopo, scorgendo il SUV fermo e lampeggiante sul ciglio della strada. La pioggia, come d’incanto, si stava esaurendo.
«Gente illogica! Sotto l’acqua faceva il diavolo a quattro, e ora che si può correre sta ferma» osservò Oreste, accelerando a sua volta.
Ed ecco, proprio all’altezza del SUV, avvertì dall’esterno un’improvvisa raspata. Un arbusto sulla parte alta dell’abitacolo? dubitò. Ma alberi lì non ce n’erano. Che avesse preso invece l’auto parcheggiata? Oreste guardò coscienzioso nello specchietto retrovisore. Niente. Il SUV giaceva sul ciglio in catalessi: solo l’intermittenza delle frecce indicava che era in vita.
«Sarà stato un sasso» decretò Oreste, e decelerò perché aveva ripreso a piovigginare. 
Ma sul rettilineo di Santa Liberata uno sfolgorìo di fari nello specchietto retrovisore richiamò la sua attenzione. Era il SUV bianco che, tallonando la Cinquecento, continuava a mitragliare con gli abbaglianti.
«Cosa vorrà? C’è gente che vive per far perdere tempo agli altri» bofonchiò Oreste, a cui l’inseguimento cominciava a togliere il fiato.
C’erano, in fondo al rettilineo, un curvone e uno spiazzo erboso su cui confluivano due strade di campagna. Oreste scelse di fermarsi lì e lasciò la sua vettura in bilico tra il ciglio della strada e lo sterrato leggermente in discesa. Il SUV bianco si affiancò sullo sterrato e un giovane rasato alla moda abbassò il finestrino.
Nonostante le gocce di pioggia, anche Oreste abbassò il finestrino di destra, atteggiando il malumore a curiosità innocente. Il giovane gli fece:
«Maestro! (disse proprio così) Maestro, ma che fa!? Prima fa i danni e poi scappa!?»
«Danni?» rispose Oreste, scuotendo leggermente la testa in segno di incredulità.
«Eh, già!» riprese il giovane. «Vada a vedere che cosa ha combinato alla sua auto!»
«Alla mia auto?» si chiese allarmato Oreste, e a malincuore scese per fare il giro della Cinquecento.
Se non gli venne un colpo! Sulla parte posteriore della carrozzeria, perfetta a memoria d’uomo, due strisciate parallele erano la spia evidente che qualcosa di brutto era avvenuto sul lato destro. La carrozzeria non era ammaccata, ma quei segnacci erano un’accusa al guidatore.
«Ma cosa ho urtato?» chiese Oreste, rivolgendo la domanda più a se stesso che al giovane.
«Guardi qua!» rispose pronto l’altro e, così dicendo, indicò il suo specchietto di sinistra, del tutto piegato. Armeggiò quindi avanti e indietro con la mano per dimostrare che era rotto. E infatti lo specchietto rimase inchiodato, flesso a quarantacinque gradi verso il grigio paesaggio circostante.
«Ma come avrò fatto?» si chiese ad alta voce il vecchio Oreste, che aveva vissuto migliaia di giorni di pioggia nei quali aveva sfiorato migliaia di auto senza il minimo graffio. Non voleva riconoscere di essere stato l’autore di un incidente stradale, seppure di irrisoria importanza. La sua coscienza non l’ammetteva.
«Con queste vecchie Cinquecento non c’è una buona visibilità» ribatté il giovane.
Aveva una spiegazione per tutto, quello lì. Se c’era una cosa che infastidiva il vecchio Oreste era proprio l’aria saccente di chi pretendeva di conoscere le qualità della sua Cinquecento. Ma l’anziano guidatore era troppo avvilito per reagire.
«Ma sposti la macchina dalla curva e salga sulla mia, che ci metteremo d’accordo» disse, conciliante, il giovane. E, detto questo, avviò lentamente il SUV lungo la stradina di campagna che scendeva verso la valle.
Il vecchio Oreste, affranto, spostò la sua Cinquecento e si incamminò, ancora incredulo per quanto gli stava accadendo: proprio a lui, un guidatore provetto! Vide con fastidio che il SUV si era fermato dietro la prima curva della stradina.
«Che sia un malintenzionato che si nasconde?» sospettò d’un tratto.
«Entra, entra, non stare sotto la pioggia» disse il giovane, spalancando la portiera. Oreste notò che il linguaggio era passato dal “lei” al “tu” e, per di più, l’inflessione della parlata gli sembrava ora leggermente diversa. Quell’impressione lo mise in allarme.
Sulle ginocchia, intanto, il giovane aveva già aperto un colorato modulo di constatazione amichevole.
«Allora che facciamo, chiamiamo i vigili?» disse il giovane. «Oppure la polizia stradale, visto che l’incidente è avvenuto sulla provinciale? La cosa potrebbe andare per le lunghe… e io ho fretta di arrivare in autostrada. Magari ti toglieranno anche dei punti alla patente.»
All’idea dei punti tolti alla patente, Oreste passò dalla vigilanza alla depressione.
«Anch’io ho fretta» rispose. «Ho dei surgelati in macchina e non vorrei che andassero a male. Non possiamo metterci d’accordo senza denuncia? Sa, non vorrei pagare ancora di più l’assicurazione col meccanismo del bonus-malus.»
Intanto, tra sé, aveva pensato: “Questo vuole contrattare e buscarsi qualcosa.”
«Va bene» concesse prontamente il giovane. «Ma quanto mi vuoi dare?»
La trattativa era iniziata.
«Non ho idea di quanto possa costare lo specchietto» affermò Oreste. Ed era vero: per tutta la vita si era curato solo della sua Cinquecento.
«La settimana scorsa ho sostituito ad Ancona lo specchietto di destra: trecentocinquanta euro. Non è vero?» alzò la testa come per chiedere conferma a qualcuno.
«È verissimo!» rispose una voce da dietro. Oreste si girò.
Nella penombra del sedile posteriore, semi sdraiato e fino ad allora invisibile, aveva parlato un altro giovane con i capelli rasati.
“Un ricercato in clandestinità?” guizzò nella mente dell’anziano. Oreste si sentì perduto: “Due contro uno… mi potrebbero riempire di botte e derubare, se volessero.”
Ma l’eco della cifra filtrata dalle orecchie era risuonata nella testa così forte da offuscare la paura.
«Cosa? Trecentocinquanta euro per uno specchietto? Riempia pure il modulo e chiami i vigili» disse Oreste, alzando il tono della voce e tornando al “lei” per rimarcare le distanze.
Poi aggiunse, in tono definitivo: «Io trecentocinquanta euro non li ho né li voglio sborsare. Riempia il modulo. Al diavolo i punti della patente e al diavolo i surgelati!»
Ma subito si pentì. “E se ora mettono in moto e mi portano in fondo alla stradina e mi riempiono di botte?” pensava.
«Costano tanto perché sono roba elettronica» disse il giovane guidatore. Il ragazzo non demordeva ma neppure minacciava.
“Forse è più interessato a concludere l’affare che a picchiare” pensò Oreste.
E doveva essere vero, perché il giovane offrì una nuova argomentazione: «Non è detto che io debba comprare uno specchietto nuovo; magari da uno sfasciacarrozze potrei trovarne uno a trecento euro.»
«Te ne do centocinquanta» rilanciò Oreste, avvezzo alla contrattazione mediterranea e memore che essa, tra le regole principali, ha la seguente: offri al massimo la metà del prezzo richiesto.
«Dammene centottanta» disse il giovane sbuffando.
Oreste si prese un attimo di riflessione. “Allora spenderà sì e no novanta euro” pensò, sempre memore delle regole della contrattazione. Dentro il SUV, però, il vecchio si sentiva soffocare, perché si accorgeva che l’incolumità delle sue canizie dipendeva dalle torbide volontà di due giovani rasati di fresco.
«E va bene, te li do» concluse Oreste, per uscire da una situazione che lo vedeva senza dubbio soccombente. «Ma non ho con me i soldi. Bisognerà arrivare a un bancomat. Seguitemi fino a Lucibello, e vi pagherò.»
Tra Montalto, dove si trovava il rettilineo di Santa Liberata, e Villafranca Sannita, ovvero l’ingresso dell’autostrada, Lucibello era l’unico paese dotato di una banca.
Lungo la strada il vecchio Oreste si arrovellava sulla dinamica dell’incidente. “Se andavo dritto, come mai non ho preso lo specchietto con la parte anteriore della Cinquecento?” E trovò l’ipotesi più soddisfacente: probabilmente il SUV si era mosso mentre lui transitava, e questo avrebbe spiegato il segno sulla parte posteriore destra.
All’ipotesi seguì un’altra osservazione: “Allora, la colpa dell’incidente è dell’altro guidatore!” Questa scoperta poteva spiegare perché il giovane non avesse compilato il modulo né voluto chiamare la stradale.
E finalmente nella mente di Oreste si formò il giudizio netto: “Truffatori. Sono solo truffatori.”
L’idea che stesse collaborando a una truffa, e per di più a suo danno, gli strizzava il cuore e gli riempiva di acido la saliva. Oreste sentì dentro di sé svegliarsi una cattiveria insolita: era la rabbia crudele dell’uomo primitivo che si destava.
E poiché era nella situazione di svantaggio di uno contro due, quasi per compensazione sentì la rabbia trasformarsi in ferocia, sempre più crudele a ogni curva della strada.
In tale stato di malessere, solitudine ansiosa e di ittero montante, Lucibello arrivò più in fretta del previsto. Entrando nel centro abitato, arrivò anche l’illuminazione: il bancomat poteva essere l’arma della sua vendetta.
Nella riservatezza dell’androne destinato alla clientela, Oreste prelevò centottanta euro. Col telefonino fotografò i numeri di serie e trattenne per sé quaranta euro. Uscito dal bancomat, consegnò centoquaranta euro al giovane guidatore.
«Ecco, sono tutti quelli che posso prelevare, perché stamattina ho già speso e il bancomat per oggi non me ne dà di più.»
Il giovane soffiò come se gli avessero schiacciato un callo, ma intascò i bigliettoni e mise in moto in fretta. Il vecchio Oreste fece giusto in tempo a fotografare la targa. Poi telefonò al suo amico Travaglini, maresciallo dei Carabinieri.
Quando si dice il caso fortunato! Travaglini era in servizio e ascoltò con interesse il racconto. Poi disse: «Abbiamo una pattuglia nei paraggi, ma devi venire subito a sporgere denuncia.»
«Al diavolo i surgelati e al diavolo la pioggia» pensò il vecchio Oreste, e ripartì per Montalto diretto al comando dei Carabinieri.
La pattuglia di cui parlava Travaglini rinvenne il SUV bianco parcheggiato nella stazione Agip di Sant’Apollinare. I due giovani con la testa rasata erano davanti a un caffè fumante. I pochi avventori notarono con sorpresa che i Carabinieri, comparsi all’improvviso, non solo chiesero i documenti di rito, ma si fecero consegnare il portafoglio e, telefonino alla mano, controllavano le banconote, esclamando ogni tanto: «Ahah!», «Ecco dove sono!»
«Vi dobbiamo accompagnare in centrale» dissero i Carabinieri, trattenendo carte d’identità e portafogli.
Quando i due giovani entrarono nella stazione dei Carabinieri di Montalto, trovarono il vecchio Oreste nella sala d’attesa.
Aveva completato la deposizione da un pezzo, e ora attendeva gli sviluppi della sua denuncia, raccontando qualcosa ai presenti. I due giovani lo guardarono con sorpresa.
Travaglini si affacciò proprio in quel momento sulla porta e, alla presenza di tutto l’uditorio, disse: «Entrate subito. Diritto di precedenza. C’è una denuncia contro di voi.»
«Per cosa?» chiesero i giovani, irritati.
«Per estorsione, sequestro di persona e minacce personali» rispose Travaglini.
«Cosa?» urlarono increduli all’unisono i due giovani.
«Ma cosa ha raccontato, quello lì?» urlò ancora il giovane guidatore.
Oreste si sentì chiamato in causa e in dovere di intervenire, ma decise di stare sulle generali. Fu sintetico, didattico, sibillino come non mai: «Come vi spieghereste i miei soldi nelle vostre tasche, visto che siete stati voi a provocare l’incidente?»
E, buttato questo dubbio a uso e consumo del composito uditorio della stazione dei Carabinieri, uscì all’aperto.
Sentiva, anzi sapeva, di essersi rifatto dei surgelati andati a male.
Fuori pioveva ancora. Il vecchio Oreste almanaccava, sicuro di come sarebbero andate le cose: «Dunque, ci sarà un processo per direttissima. Il giudice li condannerà a restituire i centottanta euro fotografati, cioè quaranta in più di quelli effettivamente consegnati. A questi vanno aggiunti i quaranta euro che ho trattenuto io. Fanno ottanta euro guadagnati.»
Niente male per un povero pensionato, in un giorno di pioggia di ottobre.

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