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INTIMISTA
05 Novembre 2025 - 06:01
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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Ora che ho visto Samarcanda, non potrò più sognarla.
Tiziano Terzani
Da almeno vent’anni sognavo di visitare Samarcanda, città fiabesca ammirata nelle foto sulle guide turistiche e riviste di viaggio. E ora, finalmente, eccomi qui, in questo viaggio organizzato insieme a una quarantina di persone di varie età, tutte mai sazie di conoscere posti nuovi nel mondo.
Ci accompagna Paolo, profondo conoscitore dell’Uzbekistan, e la guida locale. L’osservo attentamente, colpita dalla sua padronanza della nostra lingua: nativo di Bukhara, illustra con professionalità le meraviglie delle località più significative. È il tipico maschio uzbeco, con pelle ambrata che dà risalto a una dentatura bianchissima e occhi castani incorniciati da ciglia scure, sorprendentemente lunghe in un uomo. Non sorride mai, nemmeno nel raccontare aneddoti e leggende della sua terra; credo sia timido o forse ha un carattere riservato che scoraggia domande personali. Ha una bocca piccola e delicata, quasi femminile, e mi sorprendo a desiderare di baciare le sue labbra sottili. Quasi imbarazzata dai miei stessi pensieri, cerco di concentrarmi sulle sue informazioni dettagliate e non vedo l’ora di arrivare a Samarcanda.
Franco Cardini, nel suo libro Samarcanda, ha parlato di “un sogno color turchese”, della “potenza di una città sognata: ci arrivi e ti stupisci che esista davvero”. Tamerlano impiegò ben trentacinque anni per costruirla, nell’intento un po’ megalomane di farne la città più bella del mondo.
Piazza Registan, con le tre madrase adornate di mosaici azzurri, blu e verdi, è di una bellezza maestosa che toglie il fiato. Sulle maioliche turchesi delle facciate risaltano scritte bianche in arabo che lodano la perizia dei costruttori, come: “L’architetto ha progettato un arco così perfetto che il cielo stesso lo confonde con una nuova luna.”
La nostra guida conduce il gruppo numeroso con grande sicurezza attraverso le madrase, le moschee e i minareti. Fa in modo che arriviamo proprio nell’ora della chiamata alla preghiera del muezzin. Mentre i fedeli, tutti uomini, si siedono per l’orazione delle tredici, ci fa spostare per non creare disturbo. Mi rendo conto che, pur muovendosi in modo lesto, non cammina bene, chissà perché. Lui stesso, senza alcun imbarazzo, ci racconta poi che Tamerlano, o meglio Amir Tamur, era chiamato “Timur Lank”, lo zoppo. Una ferita di guerra aveva causato questa menomazione al conquistatore spietato che era stato, un “flagello della steppa” temuto anche nel mondo europeo.
Mi incuriosisce questa coincidenza della zoppia fra il crudele condottiero mongolo e il mite uomo che ci guida. Li accomuna, come apprendiamo, l’amore per l’arte, la poesia e la letteratura: Tamerlano amava circondarsi di artisti, poeti e architetti che davano lustro alla sua potenza. “Io sono il Signore del mondo”, scrisse Christopher Marlowe nella tragedia Tamberlaine the Great. E ancora: “Il sole è la nostra guardia, la luna è la nostra guida, i cieli sono il nostro tetto e la terra è il nostro letto.”
La visita di Samarcanda prosegue oltre la fiabesca Piazza Registan. Incuranti del caldo, ci inoltriamo fra altri mausolei e madrase. Siamo subito avvolti dall’atmosfera dell’antica Città della Seta, fra bottegucce artigianali e piccoli empori dove si contrattano i prezzi delle merci: è un rito quasi sacro che si protrae nei secoli e intimorisce un po’ noi occidentali.
Il grande mercato è un tripudio di odori e colori. La frutta e gli ortaggi sono impilati magnificamente in piccole piramidi e il profumo di mille spezie esotiche ci rapisce, riportandoci a un tempo tanto lontano di abili mercanti delle etnie più disparate.
Risaliamo sul pullman. La guida ci intrattiene con una leggenda antica. Bibi-Khanun, principessa prediletta fra le nove mogli di Tamerlano, era talmente attraente da far innamorare perdutamente l’architetto persiano che aveva ricevuto dal sovrano l’incarico di costruire una moschea in suo onore. Durante l’assenza di Tamerlano, il costruttore minacciò di interrompere i lavori se non avesse potuto baciare sulla guancia la bella sposa. Il bacio fu così ardente da lasciare un’impronta indelebile sulla sua gota. Timorosa della reazione del marito, la giovane decise di coprirsi il volto con un velo, e volle imporlo anche alle altre donne. Lo stratagemma non funzionò: Tamerlano scoprì l’adulterio e fece uccidere la pur amatissima consorte.
Per la prima volta, forse per una battuta di qualcuno di noi, sento la risata fragorosa della guida. Sono stupefatta. Evidentemente, con il passare dei giorni, l’uomo ha preso confidenza e si è aperto molto. È ancora più bello quando ride, anche perché mostra i suoi denti piccoli e candidi.
La stanchezza per il viaggio e il gran caldo, nonché la sua voce calma, mi fanno sprofondare in un sonno popolato da immagini di tappeti di seta, stoffe artigianali, bazar polverosi con ceramiche di mille colori.
Carovane di cammelli attraversano spazi infiniti, deserti piatti coperti qua e là da cespugli. Sono in viaggio insieme a mercanti che indossano tuniche pesanti di lana e seta. Al primo caravanserraglio sostiamo sotto una tenda per ristorarci con tè verde e una ciotola di plov, cibo locale con riso arrostito, ceci, uvetta, carote gialle e carne di montone.
Sento chiamare il mio nome e mi giro: accanto a me un uzbeco che indossa il doppa, il tipico cappello intessuto di fili lucenti. Riconosco la nostra guida. Mi sorride e mi porge una coppetta di tè molto chiaro. “Bevilo, ti darà sollievo dal caldo.” Sorseggio la bevanda leggera e mi sento rinfrancata. Lui mi prende una mano e vi appoggia le sue labbra morbide e sottili. Sono giovane come lui, lo percepisco. Accarezzo il suo bel naso e i fini capelli neri e ardisco di posare la mia bocca sulla sua. Lui mi tiene il capo, infila le dita fra i miei capelli chiari. Mi sussurra che sono la sua principessa e si avvicina per baciarmi, al di là di ogni tempo e luogo, fra le distese rosse di sabbia e le bianche crepe del terreno, sotto un cielo turchese come le cupole lontane lungo la Via della Seta.

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