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SENTIMENTALE

Il plettro di Natale

di Manuela Muffato da Milano

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


Il plettro di Natale

di Manuela Muffato

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La serranda è abbassata. Mi guardo intorno in cerca di risposte, un po’ frastornata. Entro nel bar accanto per avere informazioni e mi rispondono che il negozio è chiuso da qualche mese. Il proprietario è morto, dicono solamente, senza alcun interesse, senza aggiungere altro. Esco e guardo le lucine di Natale dei negozi che brillano nel buio, ma che non riescono ad attenuare il mio dispiacere.

Un anno fa

È quasi buio e fa freddo. È quell’ora che ti invoglia solo a rimanere in casa, a rimandare qualsiasi cosa a domani. Devo comprare le corde per la chitarra. Mi infilo il cappotto e vinco la pigrizia. Ogni volta faccio fatica a capire se quel negozietto è aperto. È poco illuminato. L’insegna, raffigurante una chiave di violino con la scritta “Solo Musica”, è vecchia, scrostata e desolatamente spenta.
Entro. La luce è fioca e l’aria polverosa e opaca mi avvolge subito. Il tintinnio della campanella posta sopra la vecchia porta a vetri mi accompagna fino al bancone in fondo al negozio. Bisogna attraversare un cunicolo ingombro di chitarre, tastiere, violini, sassofoni, pile di libri di musica e spartiti. Devo stare attenta a non travolgere qualcosa al mio passaggio. Tutto sembra in bilico, pronto a cadere da un momento all’altro. Sembra che basti un solo sospiro per perdere questa scommessa sulla stabilità delle cose.
C’è sempre lui, Saverio, che mi accoglie con un accenno di sorriso: un uomo senza età, dal viso apparentemente sereno, ma si percepisce che non ha più illusioni né ambizioni. È un musicista, un pianista con un passato illustre. Ogni volta mi racconta un pezzo della sua vita, e i bagliori di quegli anni fortunati illuminano ancora i suoi occhi. Ci conosciamo da diverso tempo, da quando ho avuto l’ardire di iniziare a suonare la chitarra e poi il pianoforte.
Trascorriamo qualche ora all’anno parlando di musica, sfogliando libri e spartiti. Vado sempre a trovarlo in questo periodo natalizio, anche per fargli gli auguri: glielo devo e lo faccio con piacere. È lui che mi ha invogliata a continuare, anche quando ero delusa dai miei progressi, perché “i sogni non hanno età”.
Oggi mi racconta di un Capodanno trascorso a Montecarlo, all’inizio della sua carriera, come pianista in un’orchestra in un prestigioso hotel. Mi dice: «Non era il mio sogno, ma in qualche modo dovevo pur campare.»
Abbozza un sorriso e continua:
«Guarda che fisicamente ero diverso. Non che fossi bello, ma compensavo con la simpatia e il buonumore. La mia altezza però mi ha penalizzato, sia nella vita che nello spirito.»
Non so cosa dire. Lo osservo: effettivamente mi arriva alle spalle. Ha i capelli radi e porta un paio di occhiali dalla forma tondeggiante, con la montatura dorata, che rendono il viso ancora più tondo. Indossa dei pantaloni di velluto marrone a costine e un maglione grigio scuro, un po’ infeltrito. Ho l’impressione che non abbia una moglie, o quantomeno una donna che lo accudisca. Quando entra qualche cliente mi fa un cenno con la mano, come a dire “aspetta, continuiamo dopo”. Non sembra neanche molto interessato alla vendita. Non ci mette entusiasmo. Credo sia stanco. Forse il Natale, per qualche motivo, lo intristisce.
«Portavo il frac e questo mi faceva sentire bene, mi regalava un’aria diversa. Quella notte conobbi Edith, la cantante, una donna meravigliosa. Indossava un vestito lungo rosso che evidenziava il suo corpo esile, e i capelli biondi raccolti in uno chignon le conferivano un’aria principesca. Era piccola, più bassa di me, per fortuna! Se chiudo gli occhi sento ancora la sua voce suadente, dondolante… aveva uno swing!»
Sorrido e commento maliziosa:
«Eh sì, mi sa che aveva un certo swing!»
Riesco a farlo ridere. Non l’ho mai visto lasciarsi andare in una risata. Continua:
«Siamo stati insieme tutto il periodo di Capodanno. È un bel ricordo.»
Ci sono tanti silenzi, ma non mi sento più in imbarazzo. Mi permetto di chiedergli di più.
«E poi, cosa è successo?»
«Ci siamo incontrati ancora. Quando potevo andavo a trovarla a Mentone, lei abitava lì con la mamma. Nel frattempo frequentavo anche un corso di francese, anche se lei parlava italiano. Dopo quasi un anno, in un fine settimana di ottobre, mi ha chiesto di stabilirmi da lei. Ho tergiversato per un po’ e le ho chiesto di venire lei a Milano. Io avevo già la mia attività. Mi chiamavano per suonare nei concerti, nei teatri, componevo pezzi che mi ordinavano, avevo anche aperto un’accademia musicale. Non me la sono sentita di lasciare tutto. E lei neanche. Tutto qui.»
Rimane in silenzio spostando, senza motivo, tutto ciò che c’è sul bancone. Avverto che la malinconia sta prendendo il sopravvento, lo sta portando in un’altra dimensione. Ci sorprende il tintinnio della campanella d’ingresso. Entra una signora che chiede informazioni per l’acquisto di una chitarra da regalare a Natale alla ragazzina che tiene per mano. Saverio garbatamente la invita a ripassare la mattina seguente, poiché impegnato con me per la vendita di un pianoforte.
Non oso dire niente. Si sente di nuovo la campanella e noi ripiombiamo nel silenzio. Saverio continua con voce bassa:
«Ci siamo lasciati. Siamo rimasti amici. Lei non si è mai sposata e neanche io. È andata così.»
Non resisto alla tentazione e gli chiedo:
«Vi sentite ancora?»
Mi risponde guardandomi negli occhi:
«Il rimpianto è un’emozione lacerante che ti accompagna tutta la vita. Si assopisce per un po’, poi, quando meno te lo aspetti, riaffiora con prepotenza. Ti poni le stesse domande anche se sai che non potrai mai dare una risposta. È morta tre anni fa. Ogni tanto vado a trovarla nel cimitero di Mentone, lassù dove si vede il mare. Le porto sempre delle rose rosse, come il suo vestito.»
«Mi dispiace» rispondo con un nodo alla gola.
Cerco di non commuovermi, ma sento il cuore gonfio e, per distrarmi, prendo in mano delle riviste di musica.
Mi dice:
«Vieni, ti faccio ascoltare un pezzo. Sei la prima persona, anzi rimarrai l’unica.»
Lo seguo nel retrobottega: un’ampia stanza con una grande porta finestra a vetri con riquadri in stagno, dalla quale si intravede un cortile interno con alberi ormai spogli, adornati da ghirlande natalizie e qualche lucina. Le pareti sono interamente coperte da librerie in legno scuro. In un angolo c’è un piccolo scrittoio e una poltrona verde dal tessuto consumato. In mezzo, un pianoforte a coda.
Saverio incomincia a rovistare ovunque. Ogni tanto lo sento dire, tra sé e sé: «Eppure dovrebbe essere qui.» Non so cosa dire e aspetto. Mi indica la poltrona farfugliando:
«Siediti, ora lo trovo, lo devo trovare.»
«Cosa devi trovare, Saverio?»
«Uno spartito, non lo suono da tanto tempo. Intanto guarda tra quelli che sono sulla scrivania.»
«Cosa devo cercare?»
«Si intitola Edith, naturalmente.»
C’è una pila di quaderni di musica perfettamente scritti a mano e naturalmente a matita, e anche tanti fogli sparsi con annotazioni sui bordi. Le chiavi di violino disegnate sono perfette, le note sembrano danzare nel pentagramma. Sono bellissimi: sembra quasi di sentire la musica. Sfoglio delicatamente ogni spartito cercando di mantenere l’ordine di quell’archivio dimenticato e improvvisamente vedo il titolo. Con voce emozionata esclamo:
«Saverio, l’ho trovato!»
Viene subito verso di me.
«Lo sapevo, è sempre rimasto qui.»
Si siede al pianoforte e io resto in piedi vicino a lui. Rimane qualche istante immobile e poi le mani incominciano ad accarezzare i tasti. La musica mi commuove. La melodia è bellissima, ma quello che mi emoziona è il suo viso, che ha assunto un’aria diversa. Le dita sono leggere e corrono esperte sui tasti, quasi a sfiorarli. Le ultime note si spengono e ritorna il silenzio. Saverio si gira verso di me, porgendomi il foglio.
«È tuo, non lo suonerò mai più.»
Io rimango immobile, non sapendo come dirgli che non lo voglio, che non lo posso accettare. Lui capisce il mio imbarazzo, prende lo spartito, lo infila in una busta e me lo porge. Ci abbracciamo spontaneamente per la prima volta.
«A proposito, di cosa avevi bisogno?»
«Sto cercando un libro di spartiti e testi per chitarra, di vecchie canzoni. Lo voglio regalare a un amico che non ha più voglia di suonare. Eppure, per quanto ne so, deve essere bravo. Penso che sia un privilegio prendere in mano una chitarra e sapere come sfiorare le corde, eseguire una melodia, ricordare una canzone, creare l’atmosfera. Spero un giorno di esserne capace anch’io.»
«Emma, diventerai brava, ne sono sicuro. Al di là del talento e dell’impegno, ci vuole anche cuore.»
Saverio mi porge un libro dal titolo Mille Note. Cantautori italiani e stranieri. Più di mille canzoni con testi e accordi per chitarra. Le pagine sono ingiallite. Non viene riportato neanche l’anno di stampa. Apro a caso: A modo mio di Baglioni. Leggo un verso di questa canzone:
“Ho paura io, e chissà se ci riuscirò a dirti che ti amo, a modo mio…”
Quanti artisti ci hanno regalato pensieri, emozioni e riflessioni. È il regalo perfetto.
Saluto il mio amico ringraziandolo, ma lui mi ferma e mi trattiene per un braccio. Rimango un attimo sorpresa: non si era mai permesso una parola o un gesto in più. Apre un cassetto e appoggia sul bancone una scatola piena di plettri di tutti i colori, dicendo:
«Scegli tre plettri, è il mio regalo di Natale. Anzi, li scelgo io. Questo azzurro, perché rispecchia la tua serenità, questo verde, come i tuoi occhi, e questo blu, punteggiato di brillantini, che ti farà pensare a un cielo stellato. Buon Natale, Emma.»
«Buon Natale, Saverio.»
Sono emozionata. Non mi aspettavo nulla di tutto ciò, nulla di così intimo. Lo ringrazio per questo gesto, al quale non puoi dare un valore. Ci abbracciamo ancora.
Esco dal negozio e respiro una piacevole aria fredda che mi distoglie da questa emozione. Guardo in alto e vedo un cielo blu, punteggiato di tante brillanti note — proprio come il plettro, proprio come lo spartito del mio amico.

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