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REALISTICO
03 Novembre 2025 - 06:01
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
Salvatore stringeva tra le dita ruvide il biglietto consegnatogli quella mattina in Comune. Sul molo, le reti appese al vento sprigionavano il profumo salmastro, mentre il lento sciabordio delle onde faceva scricchiolare la motonave “Speranza”. Verniciata di bianco consunto e incrostata di sale, la nave prometteva un domani diverso: spazi aperti e giorni più luminosi.
La prima a salire fu suor Anna, avvolta nel suo abito di tela grigia. Nel pugno reggeva un rosario di legno chiaro – ciascun grano levigato dalle sue preghiere. Vide Salvatore esitare e gli rivolse un cenno gentile. «Buon viaggio, figlio mio», mormorò, salendo a bordo silenziosa e lasciando nell’aria un sentore d’incenso.
Zia Carmela la seguì con passo misurato. Un tempo sarta nella valle di Ulassai, ora portava uno scampolo di lino finemente ricamato con mirto e olivastri: un ricordo tangibile delle radici. «Per non dimenticare da dove veniamo», spiegò a Salvatore con voce calda.
L’ultimo fu Tonino, ragazzo dagli occhi luminosi e mani tremanti. Reggeva un libro di poesie scritto dalla madre, versi che narravano il pascolo e il vento tra le ginestre. «Porterò la sua voce con me ovunque», disse, cercando di celare l’emozione.
Salvatore salì infine, con un sacchetto di semi di lenticchia infilato nella tasca del giubbotto sdrucito. Sua madre aveva consigliato: «Semina al tuo arrivo e avrai sempre un pezzo di casa.» Un nodo gli serrò la gola al ricordo delle mani callose che lavoravano la terra.
Nei primi giorni, il mare rimase clemente e Salvatore si sentì sospeso tra passato e futuro. Sul ponte, suor Anna raccontava le sue veglie in convento, meditando sui silenzi; zia Carmela mostrava come con ago e filo si potessero tessere storie di bellezza; Tonino declamava i versi, trasformando il legno in cassa armonica.
Una sera, il profumo del pane caldo si mescolò all’aria salmastra. Salvatore ripensò a sua nonna, china sul davanzale a sgranare ceci e lenticchie, le rughe come pagine di storie antiche. Chiuse gli occhi e immaginò il canto delle cicale, forse ormai lontano.
Poi giunse la burrasca: un’onda impetuosa si sollevò oltre la prua, scaraventando schizzi come diamanti liquidi. Il vento fischiava tra le sartie, mentre l’acqua si insinuava sotto i portelloni. In un attimo, la “Speranza” divenne un’altalena di ferro, e alcuni passeggeri si aggrapparono alle ringhiere, terrorizzati.
Suor Anna, con coraggio, raccolse un neonato piangente tra le braccia e pregò a voce alta, mentre la pioggia le bagnava il velo. Zia Carmela aiutò Salvatore a fissare i sacchetti di viveri, avvolgendoli in teli cerati. Tonino, seduto contro la paratia, chiuse il libro ma poi aprì lo sguardo all’orizzonte, sfidando la tempesta.
All’alba, il mare si placò. Un raggio filtrò tra le nuvole e la nave, avvolta di schiuma, sembrava rinata. I superstiti, provati ma sollevati, si riunirono attorno al sacchetto di semi. Salvatore, con mano ferma, sparse i granelli sul legno umido: un rito di speranza e rinascita.
Il sole alto squarciò finalmente il cielo, mentre la “Speranza” puntava verso la Francia. Durante il giorno, Tonino lesse ad alta voce i versi preferiti della madre, accompagnato dal fruscio delle onde. Suor Anna e zia Carmela cenarono insieme, scambiandosi ricordi di borghi lontani.
Dopo sette giorni di navigazione, la motonave attraccò al porto di Marsiglia all’alba. L’aria tiepida portava l’odore del timo selvatico e del pane appena sfornato. Le sagome degli edifici si stagliavano contro un cielo color lavanda e le barche danzavano nella baia.
Scesero a terra, custodi dei loro ricordi. Suor Anna ripose il rosario in tasca, zia Carmela avvolse lo scampolo in un fazzoletto e promise: «Lo mostrerò alla nipotina un giorno.» Tonino chiuse il libro con cura e sussurrò: «Lo rileggerò ogni sera.» Salvatore, chinandosi sul selciato, raccolse un ciottolo come pietra d’origine.
Con passo deciso, Salvatore trovò un barattolo arrugginito vicino a una palizzata di legno. Lo riempì d’acqua e, con gesti rispettosi, sparse gli ultimi semi all’interno. Poi, chinò il capo e posò l’ultimo seme nel vetro: uno, due, tre. Ogni seme era una promessa.
Settimane dopo, in una piccola stanza di pensione, spuntò un germoglio verde. Fragile ma determinato, sfidava il vetro del davanzale. Zia Carmela sorrise con dolcezza, suor Anna lo benedisse con un gesto lieve, e Tonino annotò sul diario:
«Un seme piantato è ponte tra ciò che lasciamo e ciò che saremo. Ora questa vita sboccia in terra straniera, portando con sé la nostra storia.»
Salvatore posò la mano sul vetro, sentendo un fremito caldo. Capì che il vero viaggio non era l’esilio, ma la cura e l’amore seminati ostinatamente, come quei piccoli semi nel cuore di ciascuno.
Nei giorni successivi, Salvatore si spostava per le vie di Marsiglia con passo incerto, guidato dal profumo del pane e dei fiori di lavanda venduti nei mercati. Ogni mattina posava lo sguardo sugli edifici color ocra e sulle barche attraccate, chiedendosi se, in qualche angolo, si potessero trovare altri semi – di speranza, di memoria.
Una mattina incontrò Monsieur Renard, un giardiniere del porto che curava aiuole di fiori selvatici tra i ciottoli. «Cosa pianti, figliol mio?» chiese con un sorriso. Salvatore gli mostrò il barattolo: «Semi della mia terra», rispose. Insieme mescolarono il terriccio francese con un po’ di terra sarda, avviando una piccola aiuola condivisa. Ogni nuovo germoglio, per Salvatore, era un ponte tra due mondi.
A sera, mentre il tramonto tingeva di rosso il mare, Salvatore si sedette sulla banchina con suor Anna, zia Carmela e Tonino. Ognuno aveva piantato il proprio seme in un vaso improvvisato. «Guardate,» disse Salvatore indicando i teneri steli verdi, «le nostre radici crescono insieme, anche qui. Non siamo più soli.»
E in quel momento, il vento portò un lontano ricordo di cicale e di onde; ma anche un nuovo canto, quello delle piante che si adattano a una terra straniera, ostinate a fiorire nel cuore di chi crede nelle proprie radici.

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