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Artroscopia menisco: riparare o togliere? La scelta giusta per la salute del ginocchio

La decisione finale spetta sempre all’ortopedico, che valuterà la natura della lesione, l’età e lo stile di vita del paziente

Salute

Dott. Rocco Aicale

Quando si parla di infortunio al ginocchio, la lesione meniscale è una delle diagnosi più frequenti. I menischi sono due strutture fibrocartilaginee a forma di “C” che agiscono come ammortizzatori e stabilizzatori all’interno dell’articolazione del ginocchio, distribuendo il carico e proteggendo la cartilagine.

I menischi sono due veri e propri “cuscinetti” di fibrocartilagine (un tessuto resistente ed elastico) che si trovano all’interno dell’articolazione, interposti tra femore (l’osso della coscia) e tibia (l’osso della gamba). Il menisco mediale (interno) a forma di mezza luna, più ampio del menisco laterale, è strettamente ancorato alla capsula articolare ed al legamento collaterale mediale, il che lo rende meno mobile e, di conseguenza, più esposto a lesioni da rotazione. Il menisco laterale (esterno) ha una forma più circolare, quasi a ferro di cavallo, ma essendo meno legato alle strutture adiacenti, è più mobile e riesce a seguire meglio i movimenti di rotazione e scorrimento del ginocchio, risultando leggermente più protetto.

Senza i menischi, il carico si concentrerebbe in punti ristretti, portando a una rapida usura (artrosi), inoltre, essi contribuiscono alla stabilità del ginocchio, soprattutto durante i movimenti di rotazione, e la diffusione del liquido sinoviale (il lubrificante naturale dell’articolazione), ricco di nutrienti essenziali per la salute della cartilagine.

Un aspetto cruciale per comprendere le opzioni chirurgiche è la vascolarizzazione (cioè, l’afflusso di sangue che porta i fattori necessari per la riparazione) del menisco. Questa struttura è poco irrorata, e il suo apporto di sangue si concentra solo nella porzione più esterna, detta “zona rossa”(periferica) che presenta una buona capacità di guarigione spontanea o tramite sutura. La zona bianca (centrale) è, al contrario, totalmente priva di vasi sanguigni e le lesioni in questa porzione non possono guarire in autonomia o con sutura, per questo è spesso inevitabile ricorrere alla meniscectomia per rimuovere il tessuto danneggiato.

Una lesione meniscale può avvenire a seguito di un trauma (soprattutto negli sportivi) o per usura degenerativa (più comune con l’avanzare dell’età). Una volta diagnosticata tramite Risonanza Magnetica, si pone la domanda: riparazione meniscale (sutura) o meniscectomia (rimozione della parte lesionata)?

Oramai da anni, entrambi gli interventi vengono eseguiti con tecnica artroscopica, minimamente invasiva, che prevede l’introduzione di una telecamera e strumenti chirurgici attraverso due piccole incisioni sul ginocchio. L’obiettivo è risolvere il dolore e la limitazione funzionale, ma la filosofia di fondo è molto diversa.

La riparazione meniscale, o sutura, consiste nel ricucire i margini della lesione per permettere al menisco di guarire e di conservare la sua funzione protettiva. È la tecnica preferibile in assoluto. Tale metodica, seppur più complessa, consente di conservare la funzione di ammortizzatore del menisco e ciò risulta cruciale per la salute a lungo termine del ginocchio, prevenendo l’artrosi del ginocchio e migliorando la stabilità articolare, aspetto particolarmente importante negli atleti.

Il rovescio della medaglia è, però, un recupero più lento, infatti, per consentire la guarigione del tessuto meniscale è necessario un periodo di riposo e carico limitato (spesso con stampelle e tutore) di 4-6 settimane, con un ritorno allo sport più lento (spesso 4-6 mesi) rispetto alla meniscectomia. Inoltre, nonostante i progressi tecnici, la sutura non è sempre garantita; il successo dipende dalla capacità del menisco di guarire, che a sua volta è influenzata dalla zona della lesione e dalle caratteristiche del paziente, ad esempio, le lesioni nella “zona rossa” del menisco (quella più esterna, ben vascolarizzata) hanno maggiori probabilità di successo, mentre quelle nella “zona bianca” (quella più interna e meno vascolarizzata) guariscono con difficoltà.

La meniscectomia artroscopica, invece, consiste nella rimozione della sola porzione di menisco lesionata (selettiva parziale) o, in casi estremi, di una parte più ampia (subtotale). Un tempo era l’approccio standard, oggi è considerata un’opzione di “salvataggio” o l’unica via praticabile in determinate situazioni, come ad esempio, le lesioni nella “zona bianca”, quelle degenerative o non stabili. La meniscectomia selettiva, quindi, a fronte della perdita della funzione originale del menisco e dell’aumento del rischio di degenerazione cartilaginea del ginocchio, consente un ritorno veloce all’attività, spesso si può camminare subito, riprendere la guida in pochi giorni e il lavoro entro 1-2 settimane; ed una scomparsa pressoché immediata del dolore.

La tendenza chirurgica moderna è chiaramente orientata alla conservazione del menisco tramite sutura artroscopica ogni volta che è possibile, specialmente nei pazienti giovani e attivi; e sebbene questo richieda un recupero più lungo e cauto, è un investimento fondamentale per la prevenzione dell’artrosi a lungo termine.

La meniscectomia non è obsoleta, ma è stata declassata a “soluzione d’emergenza” o l’opzione pragmaticamente migliore quando la lesione è nella zona meno vascolarizzata o in contesti di usura avanzata, dove la priorità è un rapido ritorno alla quotidianità, accettando il rischio (più o meno elevato a seconda della quantità di tessuto rimosso) di una futura degenerazione articolare. La decisione finale spetta sempre all’ortopedico, che valuterà la natura della lesione, l’età e lo stile di vita del paziente.

*Specialista in Ortopedia, Traumatologia, Chirurgia del gomito, della spalla e del ginocchio

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