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Il dibattito
22 Settembre 2024 - 10:00
Un bozzetto del monumento alle vittime dell’inquinamento
Come non dare ragione al nostro direttore Enzo Ferrari quando esprime tutte le sue perplessità sulla proposta di costruire un monumento alle vittime dell’inquinamento nella nostra città e di piazzarlo sul water front dei giardini del Vasto di fronte a Mar Piccolo.
Ferrari è stato chiaro nello scrivere il suo editoriale. Non mette in discussione la necessità di celebrare e di tenere viva la memoria del sacrificio di quelle vittime ma ne discute il metodo di proposta, la logica che sottende l’obiettivo, l’eventuale stile artistico. E si che di arte Enzo Ferrari se ne intende. I nostri lettori ricorderanno la bellissima pubblicazione nella quale fissa in un clik i suoni, le melodie e le atmosfere delle canzoni di Franco Battiato creando a sua volta nuove e suggestive opere d’arte fotografica. E allora possiamo credergli sulla parola. Ferrari sostiene che la logica che deve presiedere al monumento non può e non deve essere la querimonia delle vittime e la logica cimiteriale del lamento, la memoria di un passato certamente tragico ma ormai appunto passato, ma deve rappresentare uno sguardo al futuro e la speranza che quello che è accaduto non accada mai più. Insomma un monumento che sia un inno alla vita non alla morte, un oltre rispetto al greve e al “cimiteriale”, ispirato alla logica dinamica e vitale dei colori della speranza. E per far questo non si può ovviamente ricorrere all’espressionismo figurativo infantile e scolastico ormai sorpassato e sepolto dal tempo ma seguire nuove frontiere artistiche, nuovi stili, nuovi meccanismi espressivi che nella scultura, nella poesia, nella pittura da oltre un secolo hanno messo il figurativo in soffitta. E soprattutto attenti ai regali. Timeo Danaos et dona ferentes. Dio ci scampi e liberi dai monumenti regalo di cittadini-artisti di cui purtroppo Taranto pullula.
Un monumento così importante teso a fissare nella memoria di chi verrà un momento storico drammatico per la nostra città non può essere il frutto della creazione di un quidam de populo ma il frutto della intuizione, della fantasia, della genialità di un grande artista che superi i limiti della provincia, ed io aggiungo della nazione, e goda di fama internazionale. E a questo risultato si può giungere solo attraverso un concorso di idee tra i più grandi artisti del nostro tempo a livello internazionale. Se non siamo a questi livelli si corre il rischio che un obiettivo serio diventi la solita bagatella provinciale. E Taranto non merita una cosa di questo genere. Tante, troppe volte ai tarantini è stato “dato in regalo” il monumento di uno scalpellino che crede di essere Michelangelo. Fontane in gesso fatte con gli stampi che troneggiano nelle piazze più importanti della città, sirene di gesso che campeggiano sulle nostre scogliere e sugli spartitraffico delle periferie, statue in bronzo di discutibilissimo gusto estetico che suscitano gli sberleffi e i lazzi di chi di arte se ne intende. No. Taranto merita di essere impreziosita da testimonianze di artisti internazionali che espongono a Parigi, a Londra, a New York. Io quando ho avuto la ventura di fare il sindaco di questa città ho provato a fare di Taranto una città d’arte investendo su artisti di livello internazionale come Giò Pomodoro, Nicola Carrino, Remo Brindisi, Igor Mitoray. No. Taranto, che nella sua storia più recente grazie ad Antonio Rizzo ha avuto a che fare con il top della cultura italiana ed europea da Palazzeschi, a Ungaretti a Quasimodo, a Brignetti, a Pasolini, a Carlo Bo non merita di tornare indietro a tragici deja vu come quello della vicenda che destinò al cestino il monumento a Paisiello di Nino Franchina, uno dei più grandi scultori dell’avanguardia artistica del ‘900 italiano il cui bozzetto il 30 settembre prossimo nel corso di un’apposita cerimonia consegnerò nelle mani del sindaco di Taranto. Allora, ai primi anni ’50, la giuria composta dal fior fiore della critica e dell’arte italiana del ‘900, aveva scelto il bozzetto di Nino Franchina.
Con un colpo di mano da parte di un sindaco legato alla disciplina di partito che parlava ancora di Zdanov e del realismo sovietico secondo il quale l’arte astratta era un privilegio della borghesia e inadatta al popolo, il bozzetto di Franchina fu cestinato. Al suo posto fu realizzato l’attuale busto funereo che fa bella o, meglio, brutta mostra di sé sulla discesa Vasto realizzato da Pietro Canonica esperto scultore di busti funerari buoni per i cimiteri di paese. Quella fu una battaglia persa dalla città poiché fra Taranto e la cultura italiana si creò uno iato, una crepa, una ferita che ancora oggi rappresenta un vulnus. Diventato sindaco e con l’idea fissa di fare di Taranto una città d’arte decisi di andare a far visita insieme al mio vicesindaco Angelo Giudetti a Gina Severini, figlia del grande pittore Gino Severini e moglie di Nino Franchina ormai defunto. Volevo chiederle se era disposta a far realizzare a Taranto il mancato monumento a Paisiello concepito del marito e sanare la ferita storica della città nei confronti del marito. Solo la cortesia di una vecchia e nobile signora le impedì di metterci malamente alla porta. Ci ricevette ma ci disse papale papale che dopo il trattamento subito dal marito negli anni ’50 Taranto non l’avrebbe mai più voluta neanche sentire nominare. Solo dopo le mie cortesi insistenze e vedendomi interessato al bozzetto esposto nello studio del marito me ne fece dono e mi congedò con un sorriso accompagnato da una frase che mi raggelò e che le mie orecchie non avrebbero mai voluto sentire “Caro professore Taranto non merita nulla dopo quello che ha fatto a mio marito. Ma siccome vedo che lei è affascinato dal bozzetto ed è sinceramente interessato a sanare quel vulnus voglio fargliene dono ma sappia che ne faccio dono al professor Guadagnolo non al sindaco di Taranto”. Accettai il dono ma accusai il colpo. Quella frase, infatti, mi onorava come uomo e come intellettuale ma mi umiliava profondamente come sindaco.
Anche io come Enzo Ferrari non voglio che la storia si ripeta e desidero che la nostra città non passi alla storia come una città di ignoranti nella quale un consigliere comunale a proposito del progetto per il recupero e la riqualificazione di Piazza Castello affidato dalla mia Amministrazione a Giò Pomodoro ebbe a dire in pieno Consiglio comunale “Ma ci è stu Pumodoro ca l’amm’a dà tutte ste solde, cu tante giometre ca tinime a Tarde”.
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