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Il caso
19 Settembre 2024 - 06:00
Un monumento alle vittime dell’inquinamento
Nei prossimi giorni Mario Guadagnolo, già sindaco di Taranto, donerà ufficialmente al Comune il bozzetto del mai realizzato monumento a Paisiello di Nino Franchina.
Quella di Franchina – con la collaborazione dell’architetto Ugo Sissa per il piano di supporto – sarebbe stata probabilmente la prima scultura astratta in Italia (eravamo negli anni ’50) elevata a monumento pubblico. Un’operazione culturale d’avanguardia, insomma. Ma una città retriva e una politica barricata negli steccati ideologici (ne spiega bene le vicende un recente saggio di Aldo Perrone) impedirono che quel fuso in metallo, slanciato verso il cielo, fosse realizzato. Al suo posto fu preferito il busto, dallo stile funereo e decisamente meno ambizioso, scolpito da Pietro Canonica che ora troneggia sulla Discesa Vasto. Un’offesa a Franchina, da una parte; una sconfortante prova di provincialismo culturale, dall’altra.
La maquette – non senza un iniziale e giustificato pregiudizio verso Taranto - fu poi donata dalla vedova Franchina all’allora sindaco Guadagnolo, che l’ha custodita in tutti questi anni e che ora dona alla Biblioteca Acclavio, con la ricostruzione dello spazio ambientale a cura dell’artista Giulio De Mitri.
La storia del monumento mai realizzato è emblematica di come a Taranto troppe volte grettezza e dozzinalità abbiano preso il sopravvento su visioni nuove e futuribili. Anche nel mondo dell’arte, come dimostrano le tante imbarazzanti prove “artistiche” delle quali la città è disseminata a fronte dei maltrattamenti subiti nel corso degli anni dalla Concattedrale di Gio Ponti, dalla Piazza Fontana di Nicola Carrino o del progetto – inesorabilmente cestinato - di Giò Pomodoro per Piazza Castello. Una piazza, quest’ultima, sulla quale anche lo stesso Carrino aveva sviluppato una sua idea. Ci siamo invece ritrovati in questi ultimi anni con progetti di restyling delle due piazze più adatti a contesti decisamente più banali rispetto a luoghi di elevata complessità storica, architettonica e urbanistica: due contesti particolarmente speciali banalizzati in una città che si era proposta addirittura come capitale italiana della cultura.
Ora si vuol proporre un nuovo monumento: quello alle vittime dell’inquinamento. Pur accettando la proposta di dedicare un’opera d’arte a chi purtroppo ha perso la vita per mali correlati alla compromissione dell’ambiente, il timore è che anche questa volta prevalga un’idea didascalica, cimiteriale e grondante di luoghi comuni. Questo almeno appare dai bozzetti diffusi dall’associazione che propone la realizzazione dell’opera. Un monumento dalle dimensioni ciclopiche del quale già si prefigura la collocazione sull’affaccio a mare di via Garibaldi, in Città Vecchia. Senza alcuno studio sull’impatto paesaggistico di un manufatto così imponente, sulla relazione dell’opera con il contesto urbano, senza alcun approfondimento sul significato politico e sociale della collocazione di un simile monumento in un determinato luogo di uno spazio pubblico.
Si ricade nello stesso errore: si banalizza l’arte pubblica a intervento purché sia, senza alcuna preventiva profondità di pensiero, lasciando mano libera a chiunque abbia qualcosa da proporre, soprattutto se, come in questo caso, si toccano temi certamente sensibili.
Si corre quindi il rischio di sprecare l’ennesima occasione. La progettazione di questo monumento potrebbe infatti rappresentare la possibilità di trasformare una tragedia in una svolta culturale, magari grazie ad un concorso internazionale di idee che porti a Taranto le migliori espressioni dell’arte contemporanea. Sarebbe una importante opportunità per sprovincializzare scelte e contenuti. Serve infatti uno sguardo in avanti, non una banale riproposizione figurativa del dramma col suo carico di scontata simbologia. C’è bisogno di uno sforzo concettuale che proietti Taranto – anche attraverso queste opere - verso il futuro, lasciandosi alle spalle l’autocommiserazione che sembra trasudare dagli schizzi resi noti della scultura che si vorrebbe realizzare. Per quanto possa apparire paradossale, il monumento alle vittime dell’inquinamento dovrebbe essere un inno alla vita, non un piagnisteo funereo che ci tiene prigionieri del passato e che, anche psicologicamente, non ci consente di andare oltre. La sfida, invece, è quella di avere il coraggio di andare oltre il provincialismo culturale e oltre una concezione vittimistica di una Taranto che, al contrario, ha bisogno di riscattarsi attraverso una nuova e autodeterminante prospettiva di sé stessa. Certe proposte rischiano purtroppo di apparire come un monumento alla incapacità culturale di uscire da una visione cimiteriale della città e di aprirsi a nuove visioni che pure, a suon di slogan, vengono invocate ma che, alla prova dei fatti, restano utopia.
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