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Qualità della vita
06 Giugno 2024 - 06:00
Il passeggio in via D'Aquino
È bastata una indagine della Commissione Europea e dell’Istat per riportare tutti alla realtà e ricondurre alla consistenza della panna montata quegli scenari che vedrebbero Taranto fra le città più felici al mondo e addirittura meta più ambita degli inglesi.
L’indagine “Quality of life in European cities”, decisamente più autorevole, ci racconta invece che questa è tutt’altro che un’isola felice. La percezione dei tarantini della qualità della vita in città è talmente pessima da essere relegati all’ultimo posto della graduatoria europea.
Del resto segnali premonitori e oggettivi erano già arrivati in queste settimane: gli ultimi dati sulla raccolta differenziata dei rifiuti (che fanno molto in termini di qualità della vita se pensiamo al peso della Tari e al grado di sporcizia delle strade) e, soprattutto, i risultati umilianti sulla qualità della vita dei giovani e sul bassissimo numero di laureati sono il termometro di un territorio che fa molta fatica ad esprimere quelle che pure sono le sue potenzialità.
Ma se la città la si vive per davvero, non c’è neppure bisogno delle classifiche per comprendere in quali difficoltà Taranto oggi annaspa: la crisi demografica con i ragazzi che vanno via portando con sé le loro preziose risorse intellettuali, i negozi che chiudono (compresi quelli storici e di pregio e si spera che le nuove aperture al Borgo abbiano una significativa stabilità), i locali sfitti, il crollo del mercato immobiliare, il moltiplicarsi di bar automatici e il proliferare di empori di modestissima qualità (con il più profondo rispetto verso chi li gestisce per guadagnarsi da vivere), i tanti palazzi disabitati o semi-disabitati e quelli con le retine sotto i balconi perché non ci sono soldi per i lavori di ristrutturazione, l’avvilente ingabbiamento di edifici come Palazzo degli Uffici e Palazzo Frisini sono alcuni dei sintomi dell’impoverimento generale della città, della sua perdita di prestigio e di decoro, della sua incapacità di progettare concrete prospettive di sviluppo.
Se Taranto si ritrova in questa situazione è per una serie di concause, a cominciare dalla crisi del siderurgico che trascina con sé buona parte dell’economia locale. È anche vero che il livello mediocre del ceto politico e delle amministrazioni che si sono succedute almeno negli ultimi vent’anni – di qualità inversamente proporzionale alle necessità - non ha contribuito a seminare sul serio quella rinascita tanto propagandata. Ma Taranto, ahinoi, evidentemente questo è capace di esprimere in questo momento e senza una reale e radicale inversione di tendenza sarà davvero difficile riuscire a trovare una via d’uscita. Taranto ha bisogno di crescere culturalmente e di diventare una città davvero attrattiva. Non basta avere uno dei più prestigiosi musei italiani, non basta aver riscoperto il Castello e non basta neppure crogiolarsi nel fascino decadente della Città Vecchia: occorre migliorare i servizi, professionalizzare il commercio, pensare ad una dimensione urbana ed urbanistica che renda la città più vivibile e più accessibile, nella quale le piste ciclabili, ad esempio, abbiano una loro funzionalità e non siano solo delle malinconiche strisce di solitudine disegnate su marciapiedi e spartitraffico. Occorre elaborare politiche culturali autentiche che vadano oltre l’intrattenimento fine a sé stesso, utile soprattutto ai beneficiari delle generose contribuzioni pubbliche e ad una ristretta fascia di popolazione sufficientemente benestante da potersi permettere i costi dei biglietti del teatro o dei concerti. Occorre pensare una città per i giovani, che possa finalmente generare fermenti culturali rivitalizzanti, mentre oggi sembra che questa sia una terra adagiata sul reddito sicuro dei pensionati in un deserto di lavoro buono, in grado cioè di produrre redditi adeguati e non mance a fine mese. Occorrono amministrazioni che sappiano dialogare col territorio e non chiudersi con tracotanza nel proprio bunker di sopravvivenza.
Le classifiche, quelle autorevoli, non sbagliano. Ma tocca ai tarantini rimboccarsi le maniche. Atteggiarsi sistematicamente a vittime o sperare che sia sempre qualcun altro a risolverci i problemi è solo un modo per rassegnarsi senza fatica a questo stato di cose.
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