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Il caso
27 Aprile 2024 - 06:15
Pietro Pandiani - tratto da https://www.storiaememoriadibologna.it/archivio/persone/pandiani-pietro-dettoa-capitan-pietro
Il tono è pacato, la voce ferma. Le parole, chiare. «E’ stato un atto mirato, voluto. Un gesto grave, realizzato da chi dovrebbe soltanto conoscere la Storia». Tommaso Pandiani, 70 anni, è nipote di Pietro Pandiani. Al “capitano Pietro” è intitolato il cippo situato nell’omonima piazzetta sul Lungomare. Lì sorge il monumento imbrattato con la croce celtica che ha sporcato la celebrazione dello scorso 25 Aprile, 79esimo anniversario della Liberazione dagli orrori del Nazifascismo: «si tratta di manifestazioni di intolleranza inaccettabili e che forse risentono di un clima esasperato», per usare le parole del presidente provinciale dell’ANPI, l’associazione partigiani, il professor Riccardo Pagano.
Per Tommaso Pandiani è fondamentale non bollare come “ragazzata” quello che è avvenuto. «Un ragazzino magari avrebbe magari abbozzato più banalmente una svastica. Coprire invece la parola ‘partigiano’ con quella croce celtica, simbolo di cui i fascisti si sono impropriamente impossessati, dà il segno di un gesto più “pensato”. Anche se, ripeto, chi lo ha fatto non ha cultura. Non sa. Non conosce gli avvenimenti, ignora che se oggi noi siamo liberi è perchè c’è gente che è morta, per darci questa libertà» spiega il nipote del più famoso partigiano tarantino.
Tommaso Pandiani
Di certo, chi ha usato quella vernice nera come è nera la morte non sa chi era Pietro Pandiani. «Era un militare di carriera, un uomo che aveva frequentato l’Accademia. Che aveva fatto il suo lavoro, per il suo Paese» scandisce Tommaso Pandiani. «Un uomo che ha visto da vicino il fascismo – ed ha scelto di allontanarsene». Ha combattuto, Pietro Pandiani, anche nelle infernali battaglie in Africa, nell’immane tragedia del secondo conflitto mondiale. Le ferite riportate lo costrinsero al ritorno in Italia, dove incontrerà un medico, Oscar Scaglietti, che curerà anche il fratello, ferito pure lui in guerra. «Si sono “trovati”» sorride Tommaso. Pietro Pandiani entrerà in contatto con il gruppo partigiano Giustizia e Libertà, fino a diventare a ventinove anni comandante della brigata azionista Montagna. La chiameranno “la Brigata dei Cento Ragazzi”. Il 21 aprile 1945 saranno lui ed i suoi giovani uomini ad entrare a Bologna; gli sarà poi conferita una Medaglia d’Argento al valor militare.
Un testimonianza di chi sia stato Pietro Pandiani «la dà anche Enzo Biagi» ricorda con legittimo orgoglio il nipote Tommaso, che oggi vive a Grottaglie ed è un grande appassionato di Storia, come del resto ci si aspetta da chi ha avuto anche un bisnonno garibaldino. Scriverà Biagi: “Tra quelli che hanno segnato la mia vita, tra i più indelebili, c’è il capitano Pietro; per noi giovani uomini di Giustizia e Libertà è stato non solo uno straordinario comandante, ma anche un esempio di rigore, di pulizia, di modestia. Voleva proteggerci, e non solo dai pericoli della guerra, ma anche dagli equivoci della politica, dalle furbizie delle piccole strategie, dai compromessi disinvolti. Ha vissuto con rara coerenza quando tutti, o quasi, hanno avuto l’occasione di ottenere qualche beneficio, lui non ha chiesto nulla. Non è stato un reduce ‘di professione’. Non ha fatto carriera. Non ha cercato né gli hanno dato un buon posto. Lo ha conservato, però, nel cuore dei suoi vecchi ragazzi, e il tempo, e i fatti che ci assalgono, rendono più acuto il rimpianto”. “Sapeva far la guerra e non la temeva, insegnò ai suoi ragazzi come si adoperavano il mitra e il mortaio, come si va all’attacco e come si fa a non aver paura, perché paura non si doveva averne mai. In tanti dobbiamo a lui la vita”: un uomo schivo, il tarantino Pandiani, “alto e robusto, che parlava poco e adagio con accento meridionale” è il ricordo che ci ha lasciato il celebre giornalista, come sottolineato su Patria Indipendente anche da Mario Gianfrate dell’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea.
Lo stesso Gianfrate scriverà che nella formazione di Pandiani militarono anche “il fratello Bernardo, professore di liceo, nome di battaglia Nando, vice comandante della brigata e che sarà decorato con la Medaglia d’Argento al valor militare, e la sorella Laura, appena ventenne. Posizionata in una zona strategica, perché al centro della linea di ritirata dell’esercito tedesco incalzato dalle forze alleate, la Brigata è sistematicamente impegnata in aspri scontri con le truppe nazi-fasciste. Nell’ottobre 1944, Capitan Pietro guida la sua brigata nelle battaglie che, con l’apporto delle formazioni partigiane “Matteotti Montagna” capeggiata da Antonio Giuriolo, Toni, caduto in combattimento il 12 dicembre del ’44, dopo aver conquistato la piazzaforte nazifascista di Corona - Medaglia d’Oro al valor militare - e della 7a Brigata “Modena” della Divisione “Armando”, portano brillantemente alla liberazione dell’Alta Valle di Reno, dopo cruenti scontri attorno a Gaggio Montano e a Monte Belvedere dove la resistenza delle truppe tedesche e repubblichine è sopraffatta”.
A Pandiani è dedicato anche il libro “Il Capitano Pietro” di Mario Guadagnolo.
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