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06 Marzo 2024 - 08:15
Il porto di Taranto
La Cina, alla fine, non è poi così vicina. Nel giro di poche settimane infatti sono tramontati due possibili investimenti di Pechino nel porto di Taranto. L’ultimo in ordine di tempo, ed il più fragoroso, quello del Gruppo Ferretti. Sì, perchè Ferretti è sicuramente una eccellenza del made in Italy, ma controllata dal colosso pubblico cinese Weichai e - come rilevato da Gabriele Carrer su formiche.net - ha deciso di ritirarsi dal progetto in quello che è «uno snodo cruciale per le attività della Marina Militare e della Nato». Nella stessa analisi su Formiche, Carrer evidenzia come «a settembre dell’anno scorso l’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio ha rigettato la richiesta per la concessione della piattaforma logistica presentata da “Progetto Internazionale 39”, il cui 34% è detenuto da Sergio Gao Shuai, un delegato del governo cinese in Italia».
Eccolo, il secondo investimento a cui si faceva riferimento. La piattaforma logistica potrebbe invece parlare danese: «l’Autorità di sistema portuale ha pubblicato l’avvisto di istanza di concessione ricevuta da Vestas Blades Italia, già mossasi per il compendio un anno fa da un punto di vista di autorizzazioni Zes» ha scritto ShippingItaly. «La domanda è per l’intero compendio, che la società vorrebbe in concessione per 9 anni, per attività ricadenti, quanto a codice Ateco, nella dicitura fabbricazione di motori, generatori e trasformatori elettrici e attività di supporto ai trasporti. In particolare si legge nell’avviso dell’Adsp che all’interno della Piattaforma Logistica saranno svolte principalmente attività di stoccaggio e trasporto dei prodotti finiti, semilavorati e materie prime relativamente al ciclo produttivo delle ‘pale eoliche’. In uno dei capannoni ivi presenti (magazzino a temperatura ambiente) sono previste attività a completamento del processo produttivo realizzato nel capannone ubicato nella zona Pmi di Taranto. Secondo il documento la domanda di concessione ha ad oggetto l’occupazione ed uso dell’intero compendio ‘Piattaforma logistica’ e prevede anche alcuni interventi di adeguamento/modifica dei manufatti e degli impianti ivi insistenti per rendere gli stessi idonei e funzionali alle esigenze operative».
Tornando all’addio di Ferretti, il caso è anche - forse, soprattutto - politico, con uno scambio di accuse incrociate tra i vari rappresentanti dei partiti. «La rinuncia all’investimento sull’ex yard Belleli comunicata dal Gruppo Ferretti rappresenta la classica punta dell’iceberg di un problema dai risvolti più ampi e complessi» l’osservazione di Confindustria Taranto che ha invocato «l’apertura di un tavolo urgente con i ministeri competenti per approcciare il problema su un piano complessivo, che affronti i diversi aspetti della questione». Taranto, in quanto area Sin, è infatti sottoposta a vincoli e tempi burocratici non compatibili con le tempistiche dello sviluppo, pur rispettoso e volto alla tutela dell’ambiente, il ragionamento degli industriali tarantini. Da qui la richiesta rivolta direttamente al governo, ed in particolare al Ministro Pichetto Fratin, di istituire un tavolo urgente sulla questione dei vincoli che si frappongono agli investimenti in itinere o potenziali che riguardano l’area jonica.
«Abbiamo già richiesto di recente a sua eccellenza il Prefetto di Taranto - dichiara il presidente di Confindustria Taranto Salvatore Toma - un tavolo sui temi dello sviluppo. Ora, a pochi giorni dall’insediamento del Commissario straordinario per le bonifiche Uricchio e ancor di più alla luce della vicenda Ferretti, chiediamo l’apertura di un confronto urgente che ci veda allo stesso tavolo col ministero dell’ambiente e gli altri ministeri competenti per valutare ogni azione propedeutica alla risoluzione di problemi che altrimenti porteranno alla paralisi del territorio». «Abbiamo una terra dalle peculiarità ideali rispetto ai potenziali investitori e dall’altro lato, un’area sottoposta a vincoli talvolta talmente stringenti da risultare paralizzanti e purtroppo, come abbiamo visto, fortemente penalizzanti in rapporto alle ricadute economiche ed occupazionali che vorremmo, sia per il rilancio della zona portuale sia per altre aree sottoposte a vincolo» l’amara constatazione di Pasquale Di Napoli, presidente della sezione metalmeccanica e navalmeccanica di Confindustria.
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