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Il caso
09 Gennaio 2024 - 06:00
Il corpo di Moro nella Renault 4 in via Caetani
Un caffé e una telefonata. Un caffé molto amaro deve essere stato quello sorseggiato da Claudio Signorile e Francesco Cossiga quella tragica mattina del 9 maggio 1978. E la telefonata, anzi i due messaggi per interfono ricevuti dall’allora ministro degli Interni, devono aver reso quel caffè ancora più indigesto. La notizia del ritrovamento del corpo della «nota personalità», era giunta dunque a Cossiga più di tre ore prima della comunicazione che le Brigate Rosse fecero alla famiglia Moro attraverso una drammatica telefonata al professor Francesco Tritto, che del presidente della Democrazia Cristiana era uno dei più stretti collaboratori.
È questo uno dei tanti misteri del “caso Moro”, che Report ha riproposto mettendo insieme il puzzle di anomalie, coincidenze, dettagli trascurati, informazioni insabbiate, verità sepolte che hanno avvolto il rapimento e l’uccisione dello statista che voleva avvicinare il Pci di Berlinguer all’area di governo.
Ed è stato proprio Claudio Signorile, a quei tempi vice segretario nazionale del Psi, a ricordare a Report quell’incontro nello studio di Cossiga. Unico testimone di quella informazione giunta al ministro molto prima del rinvenimento ufficiale del corpo di Moro. Signorile - che queste cose le ha sempre raccontate e sono agli atti - era lì proprio perché convocato da Cossiga, «per un caffé». Signorile pensa che quell’incontro debba servire a suggellare in qualche modo l’apertura alla linea della trattativa da parte della Dc. Quella mattina infatti era prevista la direzione nazionale e Fanfani avrebbe dovuto aprire la «nuova fase» per tentare la liberazione di Moro. L’epilogo di quell’incontro al Viminale, invece, fu di tutt’alttro tenore.
«La sensazione - ha detto Signorile a Report - è che il tavolo sul quale giocavamo le nostre carte avesse cambiato padrone. Le Brigate Rosse non c’erano più».
Ecco allora emergere un diverso identikit delle Br: non più solo un gruppo di terroristi rossi, ma uno strumento nelle mani di altri soggetti, con una struttura decisionale - questa è la tesi dell’ex vicesegretario socialista - «teleguidata dall’esterno» e con il suo capo Moretti che «non aveva autonomia nelle decisioni».
Sullo sfondo, il ruolo attivo dei servizi segreti americani e la presenza, che Signorile ha definito «quasi ossessiva» dei servizi inglesi. Non una vera e propria sostituzione delle Br, ma un accompagnamento del loro operato a quell’esito mortale.
«Il professionista - ha spiegato Signorile - non ti sostituisce: si mette alle tue spalle, ti guida la mano, ti fa sparare e poi se ne va...».
Così diventa una «sceneggiata» anche quella telefonata di Morucci a Tritto. Organizzata da chi? «Da chi l’aveva ammazzato».
Claudio Signorile
Nella inchiesta di Report, ogni tassello, seppur già noto, sembra essere andato al suo posto. Anche se forse non si arriverà mai ad una verità dettagliata su quel che accadde in quei cinquantaquattro giorni di prigionia di Aldo Moro e sulle responsabilità materiali, il quadro è ormai abbastanza chiaro. Moro fu ucciso da una convergenza di interessi contrari ad una operazione politica (l’ingresso del Partito Comunista Italiano nell’area di governo) che avrebbe sconvolto gli equilibri disegnati dagli accordi di Yalta.
E questo coacervo di interessi probabilmente lo si può sintetizzare nell’affollato condominio di via Massimi, 91: probabilmente il vero nascondiglio nel quale Moro fu tenuto prigioniero. Lì dentro c’era di tutto: dai servizi, all’immancabile Marcinkus, fino all’ambasciatore dell’Iran nella cui abitazione era stata ricavata una camera nascosta, plausibilmente il luogo della prigionia. Solo uno spaccato delle tante contaminazioni, dalla Cia al Mossad ai servizi italiani e al Kgb, fino alla ‘ndrangheta, a Gelli e alla P2 e a figure della destra estrema, che a vario titolo, con le Br, ebbero ruolo e complicità in quei tenebrosi giorni della Repubblica.
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