Cerca
18 Marzo 2018 - 06:40
È stato lui a volere la seconda commissione d’inchiesta sul caso Moro. Troppe verità negate per quasi quarant’anni sull’episodio più drammatico della storia della Repubblica Italiana. Gero Grassi, pugliese di Terlizzi, è stato il deputato promotore e relatore della proposta di legge che nel 2013 ha istituito la nuova commissione con l’obiettivo di spazzare bia le ombre, tante, che hanno avvolto quei drammatici 55 giorni che nel 1978 cambiarono per sempre il nostro Paese.
On. Grassi, lei ha scritto un libro sul caso Moro, “La verità negata”. Quale è questa verità negata sull’omicidio del presidente della Dc?
Per capire cosa è successo in via Fani bisogna comprendere il contesto precedente al 16 marzo. Si respirava aria di rapimento. Io parlo in base agli atti emersi dal lavoro della seconda commissione Moro, quella presieduta dall’on. Fioroni. In via Fani c’è stata una concentrazione di presenze: la banda della Magliana, i servizi segreti italiani e stranieri, le Brigate Rosse… E poi il bar Olivetti…
Cosa aveva a che fare quel bar col rapimento Moro?
Il 16 marzo quel bar era aperto e non chiuso come è stato detto per quasi quarant’anni. Quello era un luogo frequentato da Carminati, De Pedis, Badalamenti, Coppola. In quel bar si ritrovavano la ‘ndrangheta, le Br, i Nar.
Terroristi rossi, neri e criminalità organizzata insieme?
Le Br e i Nar facevamo operazioni congiunte, come le rapine nelle armerie. Poi si spartivano il bottino.
Dalla prima commissione d’inchiesta ad oggi in che modo è cambiata la ricostruzione del caso Moro?
Prendiamo la dinamica del rapimento. Le Br non sapevano sparare, almeno non nel modo in cui fu compiuto quel massacro. Disse Franceschini che loro si sparavano sui piedi… Arafat fu molto chiaro nel sottolineare come quella strage fosse stata opera di professionisti. Pensiamoci: vengono ammazzate cinque persone e viene salvato esattamente l’uomo che volevano rapire. Quella è stata opera che ha visto incrociarsi Kgb, servizi francesi e tedeschi, il Mossad e la P2.
Ma tirando in ballo la P2 ad ogni mistero italiano non c’è il rischio di banalizzare la ricerca della verità?
Niente affatto. Alla P2 era legato Marcinkus, il presidente dello Ior. Lui voleva la morte di Moro e ostacolò persino la raccolta fondi promossa da Paolo VI presso suoi amici milanesi ebrei nel tentativo di pagare il riscatto per salvare Moro. Nella P2 c’erano generali, magistrati, politici, imprenditori, tutti acerrimi nemici di Moro. Il 17 gennaio Gelli riunisce un vertice di piduisti a Villa Wanda e dichiara l’intento di in terrompere il circuito politico messo in moto da Moro. C’era convergenza tra gli obiettivi della P2 e delle Brigate Rosse.
A proposito dello Ior, alla banca vaticana apparteneva un complesso edilizio che è entrato nella relazione Fioroni, quello in via Massimi n. 91.
Infatti. Già il 17 marzo la Guardia di Finanza arriva in via Massimi, ma non vi può entrare perché quell’edificio godeva di extraterritorialità.
Cosa c’era in via Massimi, 91?
Ci abitavano due incensurati insospettabili, due ex coniugi, che qualche mese dopo, tra ottobre e novembre 1978, ospitarono Prospero Gallinari su richiesta di Morucci e Faranda. Abitavano al primo piano e in quella abitazione si poteva accedere dal garage. Di quell’appartamento scrisse anche Mino Pecorelli. È fondato ritenere che quella sia stata la vera prigione di Moro e che quelle due persone siano state i suoi carcerieri e che lì ci sia stato lo scambio di auto dopo il sequestro. La storia del covo di via Montalcini è una invenzione di Morucci presa per buona dal giudice Imposimato.
Perché Moro? Qual era il nodo politico alla base della sua uccisione?
Moro stava realizzando la democrazia compiuta, ma questo disegno era malvisto dai soggetti internazionali che quindi ne decretarono la morte. Moro voleva superare Yalta e questo metteva in crisi certi schemi. Per questo fu ucciso. Non dimentichiamo che Henry Kissinger già quattro anni prima aveva intimato a Moro di smetterla di perseguire il suo obiettivo altrimenti l’avrebbe pagata cara.
In Italia a chi sono attribuibili le responsabilità della mancata liberazione di Moro?
Ci sono responsabilità dei singoli. Penso a Cossiga, ad Andreotti, a Pecchioli (deputato del Pci, ndr). Non fecero nulla. Il Parlamento non si riunisce neppure una volta per affrontare il caso Moro in quei 55 giorni.
Siamo ancora lontani dallo scoprire la verità su via Fani?
No, gran parte della verità oggi è nota e lo è grazie al lavoro della commissione Fioroni che ci porta anni luce in avanti rispetto alle precedenti ricostruzioni. Oggi siamo vicini alla verità più di quanto si possa immaginare.
È cambiata anche la lettura del memoriale di Morucci e Faranda?
Quel memoriale non regge alla luce dell’ultima relazione della commissione d’inchiesta, quella depositata alla Camera il 13 dicembre scorso. Il memoriale Morucci-Faranda contiene verità di comodo costruite da brigatisti, magistrati, Cossiga, Pecchioli.
Lei si definisce l’ultimo dei morotei. In che cosa consisteva il moroteismo?
Nella volontà di includere, nella partecipazione. Nel desiderio costituzionale di mettere la persona al centro della politica e della società.
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile
I più letti
Testata: Buonasera
ISSN: 2531-4661 (Sito web)
Registrazione: n.7/2012 Tribunale di Taranto
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Piazza Giovanni XXIII 13 | 74123 | Taranto
Telefono: (+39)0996960416
Email: redazione.taranto@buonasera24.it
Pubblicità : pubblicita@buonasera24.it
Editore: SPARTA Società Cooperativa
Via Parini 51 | 74023 | Grottaglie (TA)
Iva: 03024870739
Presidente CdA Sparta: CLAUDIO SIGNORILE
Direttore responsabile: FRANCESCO ROSSI
Presidente Comitato Editoriale: DIEGO RANA