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Taranto

La trappola dell’Agenzia delle Entrate: paghi nei termini ma vieni dichiarato decaduto

Il caso della "rottamazione-quater": la legge prevede 5 giorni di tolleranza e riconosce valida la data del pagamento. Ma l'ente considera solo l’accredito sul proprio conto. Quando la burocrazia batte il buon senso

Agenzia delle entrate

Agenzia delle entrate

TARANTO - L'eterna lotta tra burocrazia e buon senso. Tra l'esercizio di un diritto e l'applicazione concreta delle norme. Insomma, la classica situazione da "Dura Lex, sed Lex", risalente addirittura ad Ulpiano. Situazioni ben note a chi ha governato e a chi governa il Paese, ma che diventano argomenti buoni da sbandierare nelle campagne elettorali e che invece finiscono nel dimenticatoio un minuto dopo il voto. Lasciando cittadini e imprese a combattere a mani nude contro il "mostro della burocrazia italiana".

E' questo il caso di questi giorni.

Pagare entro i termini e trovarsi comunque decaduti dalla “rottamazione-quater”. È la denuncia che monta in questi mesi da parte di dei contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata dei debiti fiscali prevista dalla Legge 197/2022. La norma stabilisce che ciascuna rata può essere versata entro cinque giorni dalla scadenza e che, nei mesi di giugno e dicembre, la tolleranza si estende fino al 9 del mese. In teoria, dunque, chi paga il 9 giugno o il 9 dicembre è nei termini.

Ma l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, contraddicendo lo spirito della legge, non guarda la data di esecuzione indicata sulla ricevuta F24 o PagoPA, bensì solo l’accredito effettivo delle somme sul proprio conto. Se il pagamento parte con un bonifico ordinario che impiega uno o due giorni per arrivare, il contribuente viene dichiarato decaduto. Il paradosso è evidente: la legge parla di pagamenti tempestivi se “effettuati” entro il termine, ma l’Agenzia interpreta “effettuati” come “già accreditati”.

Neppure il bonifico istantaneo mette al riparo il contribuente. Alcuni istituti bancari – per la verità pochi – hanno stabilito che il bonifico urgente dal sito web deve essere disposto entro determinati orari, con differenza tra la data dell’operazione e quella dell’esecuzione. Anche in questi casi l’Agenzia considera solo il momento dell’accredito effettivo delle somme. È una contraddizione evidente: la norma prevede diverse possibilità di pagamento, tra cui il bonifico bancario, eppure i tempi di “viaggio nell’etere”, di lavorazione e di trasferimento tra istituzioni finanziarie ricadono sul contribuente che ha eseguito o disposto il pagamento entro il termine massimo stabilito. Paradossalmente, i versamenti di somme con mezzi informatici sono un vantaggio economico per l’ufficio ricevente, che riduce l’onere delle casse e del personale impiegato grazie al self-service del contribuente, ma questo vantaggio viene trasformato in una penalizzazione per chi paga.

Una violazione della certezza del diritto

Lo spirito della norma era di agevolare chi voleva sanare i propri debiti tributari senza sanzioni e interessi aggiuntivi. Con questa prassi, invece, l’Agenzia può dichiarare decaduto il contribuente e ricalcolare il debito residuo con aggio e sanzioni, annullando il beneficio concordato. «È un’interpretazione restrittiva – denuncia un tributarista tarantino – che scarica sul contribuente l’onere della velocità bancaria, cosa che non rientra nel loro controllo». Così chi rispetta formalmente la scadenza perde comunque i benefici della rottamazione, a meno che non utilizzi metodi immediati e si accerti dell’accredito reale. Un meccanismo che mina il principio di certezza del diritto e scarica sul contribuente l’onere della velocità bancaria, elemento estraneo alla loro sfera di controllo.

Le conseguenze economiche sono pesanti. Molte PMI hanno predisposto i pagamenti in tempo, convinte che valesse la data di disposizione, e si sono viste recapitare comunicazioni di decadenza. La perdita del beneficio può significare decine di migliaia di euro in più da versare e la distruzione di piani finanziari faticosamente costruiti. L’articolo 6 del D.Lgs. 241/1997, richiamato dagli operatori, stabilisce che “il versamento si considera eseguito nel giorno in cui è disposto presso la banca, l’ufficio postale o il concessionario”. Perché allora l’Agenzia Entrate-Riscossione adotta un criterio opposto?

Dalla decadenza al pignoramento
Se la decadenza può sembrare un tecnicismo, le conseguenze pratiche sono cruenti. Il debito torna immediatamente esecutivo con sanzioni, interessi e aggio. Le somme già versate diventano acconti e non riabilitano il piano originario. E l’Agenzia può avviare pignoramenti presso terzi, compresi conti correnti bancari, crediti commerciali e perfino somme dovute da clienti, creando un effetto domino devastante sul cash flow delle aziende. «È un attacco durissimo – commenta un consulente fiscale di Bari – che mette a rischio la sopravvivenza stessa di molte PMI già provate dai rincari energetici e dalla crisi di liquidità».

Il quadro che emerge è quello di un fisco che, nel nome dell’“interpretazione”, finisce per stravolgere le stesse regole che ha imposto, alimentando sfiducia e contenziosi. Crescono infatti le istanze di autotutela e i ricorsi alle Corti di Giustizia Tributaria contro le comunicazioni di decadenza, con l’obiettivo di far valere la data di esecuzione del pagamento come previsto dalla legge.

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