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L'asse Taranto-Roma
23 Settembre 2023 - 06:00
Alfredo Mantovano
La notizia arriva poco prima delle sei di sera, quando sta per finire una giornata difficile sul fronte dell' acciaio; l'ennesima, quella di ieri venerdì 22 settembre.
I segretari generali di Fim, Fiom, Uilm e Ugl, rispettivamente Roberto Benaglia, Michele De Palma, Rocco Palombella e Giovanni Antonio Spera, sono convocati per mercoledì 27 settembre a Palazzo Chigi dal sottosegretario Alfredo Mantovano - il vero numero 2 della premier Giorgia Meloni - “per un incontro con una delegazione governativa sulla situazione delle Acciaierie d’Italia, ex Ilva”. La convocazione precede di un giorno uno sciopero già fissato a Taranto.
«Lavoratori in sciopero, indotto piegato dai mancati pagamenti e ora anche il Presidente di AdI e DRI, Franco Bernabè, che lancia un chiaro segnale al Governo: o si rispettano gli impegni presi oppure l’acciaieria rischia la chiusura definitiva». Il deputato del Pd Ubaldo Pagano fornisce una foto del difficile momento vissuto dal Siderurgico di Taranto. Che poi è un momento che si trascina da anni, ed è qualcosa di più che difficile. «Tutto il sistema produttivo e lavorativo dell’ex Ilva è vicino al collasso» dice ancora Pagano che parla di «migliaia di lavoratori e decine di imprese» che «rischiano la chiusura, con ripercussioni sociali ed economiche inimmaginabili per il territorio». L’esponente pugliese del Partito Democratico attacca il governo. «È passato quasi un anno dall’insediamento di Meloni, Fitto e Urso e la situazione a Taranto è solo peggiorata perché assolutamente nulla è stato fatto per gli stabilimenti siderurgici. Ad oggi nessun piano industriale, nessuna strategia per la tutela occupazionale, nessun investimento da parte di questo Governo. Tutti quanti continuano a chiedersi perché lo Stato non impieghi le risorse che servono per prendere il controllo dell’azienda invece di continuare a regalare soldi a un gestore privato. Il Presidente del Consiglio si farà viva? I parlamentari tarantini della maggioranza hanno il coraggio di dire qualcosa per salvare una situazione ormai disperata?».
La replica, da Fratelli d’Italia, è di Dario Iaia: «Pagano fa finta di non ricordare la portata del disastro provocato dal Governo del Pd e del M5s. Hanno promesso la chiusura dello stabilimento, condotto la fabbrica all’agonia e sono stati i promotori di decine di decreti Salva Ilva, infischiandone completamente dell’ambiente e dei lavoratori. Oggi però, si presentano come i salvatori della patria non avendone i titoli. Fanno finta di avere a cuore le sorti dello stabilimento siderurgico e strumentalizzano quella posizione grave e drammatica che proprio con i loro Governi hanno determinato». «Ricordo allo smemorato Pagano» continua Iaia «che il governo Meloni ha già impegnato per l’ex Ilva oltre 600 milioni di euro che hanno consentito all’azienda di andare avanti in un momento di particolare difficoltà e che anche oggi la questione ex Ilva è sul tavolo del Governo per essere affrontata e risolta, come sa bene il presidente Bernabè, le cui parole ci hanno meravigliato. Bernabè, ricoprendo il ruolo di presidente di Acciaierie d’Italia da diversi anni, conosce molto bene i disastri causati in passato e sa altrettanto bene quale sia l’impegno oggi del Governo Meloni per salvaguardare il lavoro, tutelando al contempo l’ambiente e la salute dei cittadini e dei lavoratori».
Ancora dal Pd, il presidente provinciale Massimo Serio, citando sempre Bernabè, rimarca come «la stessa sopravvivenza dell’ex Ilva è in pericolo, per una questione essenzialmente di risorse esigue, che addirittura non consentono di procedere all’acquisto di materie prime». Quindi mancano, e servono, soldi. «Continuiamo ad avere di fronte uno scenario allarmante: uno stabilimento che va avanti senza certezza alcuna, con l’appalto in estrema sofferenza. Preoccupa sempre più il pesante ritardo nel pagamento delle fatture già scadute alle aziende, soprattutto quelle monocommittenti la cui esistenza è legata a doppio nodo all’attività della fabbrica» evidenzia Serio. «Solo pochi giorni fa» continua «insieme al consigliere regionale Michele Mazzarano, abbiamo raccolto il grido di dolore di una importante realtà imprenditoriale dell’indotto, e abbiamo ancora una volta toccato con mano le difficoltà. Il Governo affronti di petto l’emergenza, intanto predisponendo maggiori investimenti e accelerando sull’ingresso dello Stato come socio maggioritario nella gestione della fabbrica».
Azione, tramite il consigliere e commissario regionale Fabiano Amati, i consiglieri regionali Sergio Clemente e Ruggiero Mennea, capogruppo, si rivolge al ministro Raffaele Fitto. «Le dichiarazioni di Bernabè dicono molto di più di quanto si legga. Dicono che il grande lavoro di Carlo Calenda è stato distrutto e che le fabbriche di Taranto e Genova sono morte. E quando la fabbrica sarà chiusa l’inquinamento s’impadronirà di Taranto per tanti decenni, mieterà nuove vittime e sarà molto peggio di Bagnoli a Napoli. A meno che non intervenga il Governo, e noi confidiamo su Raffaele Fitto, mettendo fine alla finzione che la fabbrica è degli indiani, ossia quelli stessi che invece hanno già scelto la Francia per i loro investimenti e produzione». Per il partito di Calenda, per uscire dalla strettoria l’unica via è «sciogliere il rapporto con il socio ArcelorMittal, finanziare il rilancio produttivo con manager nominati dallo Stato - senza andarci troppo attorno ci sarebbe già lo stesso Bernabè - e poi valutare la cessione a un privato seriamente interessato, così da salvare Taranto dal grande rischio ambientale derivante dalla chiusura e l’Italia dalla clamorosa deriva produttiva nel settore dell’acciaio».
Le segreterie territoriali di Fim, Fiom, Uilm, oltre che di Fisascat, Filcams, Filtcem Cgil, Uiltucs, Filca Cisl, Fillea Cgil, Feneal Uil, Fit Cisl, Filt Cgil, Uil Trasporti, Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uil Temp hanno proclamato lo sciopero per il prossimo giovedì, 28 settembre. In quella data infatti - si legge in una nota congiunta delle diverse organizzazioni sindacali - «Acciaierie d’Italia ha organizzato presso lo stabilimento di Taranto l’evento Steel Commitment 2023, un incontro commerciale con i clienti da tenere all’interno del sito, pubblicizzandolo attraverso importanti testate nazionali, come se la crescita commerciale dipendesse da questi eventi e non da una gestione totalmente diversa dell’azienda». «Il sito - prosegue la nota - è ormai privo dei requisiti minimi per garantire una vita dignitosa ai lavoratori sugli impianti produttivi, dove l’assenza di manutenzioni ordinarie e straordinarie compromette la stessa salvaguardia delle vite umane che ci lavorano. Tutto questo nonostante i copiosi finanziamenti pubblici ricevuti solo qualche mese fa che, a sentire gli annunci, sarebbero serviti ad avviare il rilancio dello stabilimento, il pagamento delle fatture scadute e il completamento delle opere di ambientalizzazione (obiettivi puntualmente falliti)».
Ancora, «gli appalti continuano a vivere uno stato di perenne sofferenza dettato dal ritardo sui pagamenti e sul blocco degli ordini, che si riversa, nella migliore delle ipotesi, sull’utilizzo massiccio di ammortizzatori sociali (in esaurimento) e su preoccupazioni relative al rispetto ogni scadenza paga mensile» mentre «per i lavoratori Ilva in As permane l’incertezza derivante dalla modifica dei patti parasociali avvenuta, senza nessun coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, il 4 marzo 2020 tra governo, Arcelor Mittal e Ilva in As».
Lo sciopero del 28 settembre si articolerà in 24 ore, con presidi davanti a tutte le portinerie di ingresso del sito di Taranto. «La nostra iniziativa vuole essere una giornata di difesa dello stabilimento nei confronti di chi lo sta portando alla repentina e pericolosa chiusura e alla devastazione più totale; la gestione dell’attuale amministratore delegato» si legge nella nota.
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