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Le “confessioni” di Degas nel romanzo di Anna D’Elia

Da sinistra: Patrizia De Luca, Anna D’Elia, Fabiano Marti, Tiziana Risolo e Giulio De Mitri

Da sinistra: Patrizia De Luca, Anna D’Elia, Fabiano Marti, Tiziana Risolo e Giulio De Mitri

La valenza catartica e rigeneratrice dell’arte, veicolo di conoscenza del sé e di metamorfosi esistenziale, costituisce una fondamentale chiave di lettura adottata dalla storica dell’arte Anna D’Elia nel suo ultimo libro “Degas si confessa. Il segreto di Nanine”. Edito nel 2022 dalla Progedit. Il romanzo è stato presentato dall’autrice la settimana scorsa negli spazi del CRAC Puglia - Centro di Ricerca Arte contemporanea, in un incontro partecipato e denso di emozioni. Nel corso del talk introdotto da Giulio De Mitri - artista e presidente del comitato scientifico del CRAC - sono intervenuti l’assessore comunale alla Cultura, Fabiano Marti, la storica dell’arte, Patrizia De Luca, già docente al Liceo classico “Archita” di Taranto e l’attrice Tiziana Risolo, che ha interpretato alcuni passi del testo di Anna D’Elia in cui, appunto, Degas “si confessa”. Dopo aver asserito la necessità di una cultura non elitaria, scevra dalle logiche sterili e anguste delle lobby chiuse, l’assessore Marti ha sottolineato l’importanza del CRAC, punto di riferimento del mondo culturale tarantino e pugliese per l’operato del suo fondatore: Giulio De Mitri. Attraverso un lungo percorso artistico costellato da successi a livello nazionale e un’eccelsa attività di ricerca e divulgazione condotta CRAC, De Mitri contribuisce infatti ad elevare, con il suo impegno costante e rigoroso, il prestigio culturale della Città dei Due Mari. Come ha spiegato Patrizia De Luca, il romanzo di Anna d’Elia è ambientato nel 1870 inizialmente a Napoli, dove il giovane Degas si reca per andare a trovare il padre che, in punto di morte, gli affida Nanine, una ragazzina di dieci anni, figlia della defunta dama di compagnia di sua madre (che era, nella realtà, una giovane creola morta a 32 anni). Raggiunta l’età di 14 anni, Nanine diverrà la modella di Degas, e verrà sottoposta a innumerevoli torture fisiche e psicologiche da parte del pittore parigino che non mancherà di insultarla per la sua bruttezza, apostrofandola come “scimmia”. Questi maltrattamenti culmineranno, alcuni anni dopo, in un processo intentato dalla ragazza contro Degas al termine del quale l’artista sarà condannato. «La chiave di lettura che Anna D’Elia ha usato nel presentarci Degas – ha sottolineato Patrizia De Luca - è un po’ diversa dalla consueta, perché Degas è generalmente considerato un artista misogino, crudele, impassibile, che guarda con un occhio freddo le sue modelle e con un certo voyeurismo distaccato». «Invece – sostiene De Luca – la nostra autrice cerca di cogliere le ragioni profonde di questo suo comportamento, di questo suo disagio, che probabilmente scaturiscono dalla sua storia, dalla perdita troppo precoce della madre: un vuoto, una mancanza d’amore mai colmata». A proposito dell’ossessione sviluppata da Degas per il perfezionismo, il Degas di Anna D’Elia pronuncia una frase emblematica: “Ho avuto un’unica sposa: la pittura. A lei ho dedicato la vita intera, l’arte è perfetta o è un crimine”. Uno dei punti di riferimento del suo percorso formativo era il pittore Ingres, dal quale aveva mutuato l’importanza di visitare i musei e di copiare incessantemente i classici del passato, in particolare le opere dei maestri del Rinascimento italiano che ammirava durante i suoi viaggi per l’Italia, rifiutando la sterile cultura accademica dell’epoca. Si autodefiniva realista più che impressionista, al massimo naturalista e forte era il suo amore per la purezza del disegno. Come è noto Degas ritraeva soprattutto le ballerine adolescenti dell’Opèra - iniziate alla prostituzione dalle loro madri e vendute ai ricchi frequentatori del teatro parigino - nei loro gesti più prosaici e spontanei. Le ragazzine erano denominate “petit rat”, i “piccoli topolini” perché provenienti dai bassifondi. Secondo Anna D’Elia, questa scelta di Degas non era motivata da una volontà di svilirle, ma costituiva quasi una denuncia per spronarle alla presa di coscienza e alla ribellione. Assiduo frequentatore delle case chiuse, il pittore le sorprendeva, ritraendole senza volto, mentre erano intente in attività quotidiane e le contemplava “spiandole” dal buco della serratura, spesso nell’atto di lavarsi. Intento a catturarne il movimento, le spogliava così di ogni bellezza e potere seduttivo, rifiutando l’idealizzazione del femminile che fino ad allora aveva contraddistinto la pittura tradizionale. Il Degas di Anna D’Elia intende così portare alla luce delle verità scomode e sordide che, come sottolinea Patrizia De Luca, «molti non volevano vedere: un lato d’ombra in quella Belle Époque che invece interessava tantissime donne». La rivoluzione estetica del pittore si esprime in particolar modo nella celebre opera polimaterica “Piccola danzatrice di quattordici anni”, piccola scultura in cera che destò scandalo per il suo crudo realismo, testimoniando lo sguardo antropologico-scientifico dell’autore. Degas la pose in una teca, come se fosse un oggetto anatomico, ispirandosi alla ceroplastica dei musei di medicina e di scienze naturali. Alla fine del romanzo il pittore, mentre plasma con rabbia una ballerina, si rende conto del senso della sua pratica artistica. Anna D’Elia scrive, a proposito della sua scelta di rappresentare donne reiette: “Nei corpi in cui le avevo racchiuse mostravo la presenza del male che sostanzia nella mia natura”. Dunque Degas scopre il suo lato oscuro, l’altra faccia della sua personalità, mentre Nanine compirà un processo di crescita e di evoluzione, rendendosi conto che le sofferenze subite durante l’adolescenza l’hanno forgiata, rendendola più forte e determinata. “La fase finale – afferma Anna d’Elia - è una rinascita, una riscoperta di sé, una riscoperta del valore della pittura (attraverso gli insegnamenti della pittrice Mary Cassat) che non è più l’oggetto decorativo di abbellimento, della celebrazione edonistica, ma è quello che le si rivela: la capacità di metamorfosi”. Un processo catartico si snoda, così, nelle esistenze dei due protagonisti, contrassegnando l’intero romanzo. “Attraverso l’opera – sostiene l’autrice - Degas scopre la parte più intima di se’, la parte che mai avrebbe voluto rivelare: il male. La presenza del male. Una verità amara che tutti devono accettare”. “L’opera – prosegue Anna D’Elia – viene intesa come fonte di disvelamento-rivelazione e nello stesso tempo di riunificazione dell’artista con la parte idealizzata, con quello che si vuole essere e quello che in realtà si è. Così, dopo questo enorme travaglio, Degas finalmente capisce. Capisce anche il senso della sua vita. Il senso della sua ricerca, il senso del suo essere così outsider rispetto agli altri impressionisti. In Degas arte e vita coincidono: l’arte è una scelta totale di vita”.
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