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La storia
19 Ottobre 2025 - 09:59
Italia Almirante Manzini - foto da Il Manifesto
Bellissima, nel suo silenzio. Diva. Divina. Irraggiungibile. Dimenticata nella terra natale e celebrata dall'altra parte d'Italia. A Pordenone, alle Giornate del Cinema Muto, ha brillato la stella di Italia Almirante Manzini, protagonista del primo kolossal italiano, Cabiria del 1914. Attrice tarantina che, a Taranto, in pochi sembrano ricordare. Nata in Puglia il 3 giugno del 1890, morì in Brasile, a San Paolo, nel settembre del 1941.
"Ammiratissima già negli anni Dieci del Novecento, Italia Almirante Manzini è oggi un nome piuttosto dimenticato. Perciò è meritoria l’iniziativa delle Giornate del Cinema Muto di dedicare a questa attrice una retrospettiva, che avrà un seguito anche nel programma dell’anno prossimo. La carriera cinematografica di Almirante Manzini comincia appunto negli anni Dieci raggiungendo l’apice del successo con il ruolo di Sofonisba in Cabiria, il kolossal italiano che conquistò le platee di tutto il mondo. Per lei, prima del cinema c’era stato il teatro, una formidabile scuola di approfondimento e di concentrazione per lo studio dei personaggi. Attrice prima di essere diva, anche se quanto a fascino e magnetismo non fu certo seconda a nessuna delle sue colleghe dell’epoca. Alle capacità interpretative sfoggiate abilmente in tutti i differenti ruoli dei suoi film, Italia Almirante Manzini unì l’intelligenza nella scelta dei copioni e dei registi con cui collaborare, che furono i migliori del suo tempo, da Roberto Roberti a Gennaro Righelli, da Augusto Genina a Giovanni Pastrone fino ovviamente al cugino Mario Almirante con il quale girò molti film, compreso Zingari". Così si legge sul sito delle Giornate.
Italia Almirante Manzini - foto da IMDb
Scrive su Il Manifesto Sergio Germani: "Italia, il cui nome non irrilevante è reso quasi enfatico dal doppio cognome, nasce cugina della famiglia di capocomici Almirante, da cui approderanno al cinema un grande attore (Luigi), un ottimo caratterista (Ernesto), un oscuro generico (Giacomo), e un regista (Mario) che a mio avviso diventa più interessante nel sonoro (comprese le sue direzioni di doppiaggio). Del quartetto, Mario si è reso generoso regista al servizio di Italia in una decina di film che costituiscono la fase più tarda dell’attrice, dopo le collaborazioni con Pastrone, Genina, Righelli e altri. Se con Pastrone si prefigurava una presenza tra il fatale e l’esotico, tra d’Annunzio e Salgari, tutta l’opera successiva è maggiormente calata in coniugazioni di intrecci del teatro borghese, e proprio qui si coglie nelle regie di Genina una forza nettamente superiore a Righelli o a Mario Almirante. Genina ironizza nelle sue memorie sul fatto che dopo l’interpretazione in Cabiria l’attrice «diventò dannunziana e si mise ad affliggere gli invitati recitando gli interminabili carmi del poeta».
Diventandone regista, egli renderà vera e sensibile la sua tendenza agli eccessi coniugata con la natura di tenera donna carnale: di Femmina rimane un frammento brevissimo che fa intravedere il capolavoro, il progettato L’orizzontale si stempera purtroppo in L’innamorata di Righelli, I due crocifissi è perduto. Resta di integro La maschera e il volto, versione del grottesco di Luigi Chiarelli, che eccede i successivi film della coppia Italia/Mario ispirati a canovacci di teatro borghese, in particolare La statua di carne da Teobaldo Ciconi e L’ombra da Dario Niccodemi".
Italia Almirante Manzini
Su Repubblica racconta Antonella W. Gaeta: "Ci accompagnano a misurare la grandezza della tarantina Italia Gabriele Perrone, Paolo Tosini e Marco Grifo, i tre curatori del programma pordenionano, riportandoci le parole che il critico Epifanio Soto scrive nel numero 5 della rivista Cine-Mundial del maggio 1922: “Ho già preso la decisione di rifuggire da tutto ciò che è italiano nella cinematografia, quando non è garantito dai nomi di Maria Jacobini e Italia Almirante Manzini”. Artista stimatissima, ai tempi molto ricercata, baciata da ampio successo cinematografico, apprezzata per la naturalezza del recitare, per la versatilità, in un’intervista rilasciata nel numero a lei dedicato nella serie Grandi artisti del cinema, edito da Gloriosa nel ’24, è lei stessa che afferma: “Come si ride e come si piange nella vita, così si può ridere e piangere sul palcoscenico”. Il suo mestiere è solido, esercitato sulle tavole del palcoscenico, “e proprio per questo – scrivono ancora i curatori – è capace di mischiare elementi e stili sia cinematografici che teatrali. Quello che colpisce infatti – continuano - è che se gli elementi da diva rimangono forti (il magnetismo, l’incredibile presenza scenica), è vero altrettanto che le sue capacità interpretative non vengono meno in nessun ruolo, che si tratti di film in costume, o drammi borghesi”.
"Un importante picco di fama coincide naturalmente con l’uscita di Cabiria, che come detto risale al 1914, mentre intorno al 1917 sposa Amerigo Manzini, scrittore, giornalista e commediografo", ricorda Gaeta. "Italia Almirante rimane attiva lungo due decadi, gli anni Dieci e gli anni Venti, e nel 1927 lascia il cinema per ritornare al primo amore, il teatro. Si concede solo una volta ancora alla settima arte, nell’Ultimo dei Bergerac di Gennaro Righelli, nel 1934, ma l’avvento del sonoro ha cambiato tutto, soprattutto la recitazione. Si trasferisce in Brasile, dove il 15 agosto del 1941 muore nell’Hospital Samaritano di San Paolo per un carcinoma al seno. Per lungo tempo, però, sulla sua morte continua a circolare una leggenda che, a distanza di migliaia di chilometri e con un Oceano di mezzo, sembra riportarla a casa, in Puglia. Si racconta, infatti, che a ucciderla sia stato il morso di un ragno velenoso".
L'ultimo mistero della Diva dimenticata.
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