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L'intervista
27 Novembre 2024 - 15:07
Il tenore Gianluca Terranova
Il tenore Gianluca Terranova tornerà a Taranto per inaugurare l’81ª Stagione Concertistica degli Amici della musica Arcangelo Speranza.
Una delle più belle voci della lirica mondiale calcherà il placoscenico del Teatro comunale Fusco a Taranto giovedì, 28 novembre, con il Galà pucciniano “O mio Puccini caro…” nel centenario della morte del celebre compositore toscano.
Ad accompagnare il celebre tenore il soprano giapponese Yasko Sato e il Mº Vincenzo Rana al pianoforte.
In attesa del concerto Gianluca Terranova ha concesso una intervista per i lettori di Taranto Buonasera.
Maestro il suo è un gradito ritorno in terra jonica.
«Si io ho debuttato proprio trent’anni fa nel dicembre del 94 con una Cavalleria Rusticana di giro della Provincia ma che arrivò fino a Lecce e poi feci anche un concerto con l’“Arcangelo Speranza” ove il giovane Paolo Ruta era già segretario artistico. Oggi torno a Taranto ed è una coincidenza che mi fa piacere e che vivo con una certa emozione».
A Verona lei ha avuto un lancio ancora più risonante, si è trovato a lavorare con Leo Nucci. È più un tenore verdiano o pucciniano?
«Verdiano, nel senso che amo un canto tecnicamente corretto per poi lasciarmi andare mentre Puccini è un pericolo perchè ti spinge a lasciarti andare sempre».
C’è un cantante che si può ritenere un suo mo-dello a cui si è ispirato nella sua formazione?
«Io ho sempre cercato di seguire i cantanti del passato come tecnica, come modo di cantare. Oggi invece è in voga una operazione di pulizia dello spartito, di non far troppi acuti, di non far troppe cose che ammicchino al pubblico popolare per far sì che l’opera diventi sempre più qualcosa di nicchia intellettuale, e questa è una cosa a cui io proprio vado contro.
Io mi son tenuto sempre fuori da certe cerchie, da quei direttori d’orchestra che intendono la lirica con un qualcosa di troppo alto e inarrivabile. Invece la lirica è qualcosa che dev’essere vicino alla gente, perché se non ci fossero stati Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi, Del Monaco, Corelli, Di Stefano, la Callas, la Tebaldi, all’opera non ci sarebbe andato nessuno.
La gente non deve essere richiamata solo dalla bella musica, altrimenti se la sentirebbe a casa. Diversa è l’emozione di sentire un cantante che ti fa venire i brividi.
Lo spartito e la tecnica servono si per dare pathos e interpretazione, ma io parlo proprio della tecnica vocale che oggi è cambiata, oggi a volte si urla, si fa una tecnica che non è più quella di una volta. Io sto facendo questa battaglia sui social e sono molto seguito proprio per ridare voce alla scuola italiana.
La scuola italiana è stata completamente soppiantata da quella americana, da quella anglosas-sone, che purtroppo ha dilagato in tutto il mondo, fino alla Cina e Corea. E quindi per me i modelli sono i cantanti del passato, tra cui ricordo il grande Nicola Martinucci, la sua è stata una delle ultime grandi voci del panorama mondiale.
Oggi vediamo voci che fanno Nemorino e poi cantano Otello, altre che fanno Musetta e poi la Butterfly.
Non c’è più quel contatto tra la lirica e la gente. È come se la gente si fosse un po’ disamorata, perché la gente ha bisogno dei gladiatori, dei trascinatori»
Parlando invece di soprani c’è un soprano con il quale le piacerebbe duettare e ancora non l’ha fatto?
«Anna Netrebko mi piace tantissimo. Lei si è esibita sui più prestigiosi palcoscenici europei, americani, ma anche asiatici».
C’è una differenza tra i diversi pubblici su come percepiscono la lirica oppure no?
«Allora il pubblico va diviso: vi è un pubblico popolare, nel senso che non ha preconcetti, cioè un pubblico che non è melomane, non sono intenditori, non sono puristi, cioè non sono persone che vengono lì perché sanno come si fa o perché hanno nelle orecchie i dischi o le voci di altri per paragonarti e trovare difetti.
Ecco, quest’altro è un pubblico di intenditori. Il pubblico popolare a prescindere dal suo ceto sociale, è fatto di persone vergini per l’opera, che se si emoziona applaude, altrimenti no. Queste due categorie ci sono in tutto il mondo, sono tutti uguali, cioè se vai in Cina e canti bene, la gente esplode, se vai a Berlino e canti bene la gente esplode.
Poi ci sono teatri dove ci sono più intenditori e teatri dove ve ne sono di meno. Uno come me ha un contatto diretto con il pubblico popolare perché tiene le note, perché crea degli acuti che possano essere vibrazioni, è un certo tipo di canto che acchiappa il pubblico, anche di non intenditori. Però è successo per esempio con “I puritani” di Bellini cantato con la mia vocalità che è più piena (fatto anche Pavarotti Di Stefano), che quei tre o quattro puristi non abbiano apprezzato. Agli intenditori piacciono voci più leggere, però non bisogna sconfinare nel fanatismo che è sempre sbagliato.
Così la lirica sta diventando una cosa non più popolare, lì dove c’è il pubblico è la massa che decide. Scusi se faccio un discorso sociale, ma una cosa proprio che mi preme, purtroppo in Italia e in molti spazi d’Europa l’opera è pagata tutta dai soldi pubblici, e allora ci si permette di fare un discorso da intenditori, laddove invece ci vuole uno sbigliettamento altrimenti non riempi il teatro, la sera non ci sono i soldi per pagare l’orchestra e i cantanti, allora si va sul discorso più popolare.
Ci vuole una via di mezzo altrimenti i teatri diventano dei posti chiusi, con degli stipendiati, con i soldi pubblici si pagano gli stipendi, e i teatri sono mezzi pieni quando c’è Traviata e mezzi vuoti quando c’è l’opera più di intellettuali. Avanti così però, fra due generazioni, quando questi di Tik tok diventeranno poi governanti, diventeranno poi quarantenni, gente che deciderà dove destinare i soldi pubblici stiamo sicuri che non ci sarà più nessuno che li destinerà all’opera perché se non la vivono questi ragazzi adesso, se non gliela fai vivere oggi, fra venti o trent’anni che governeranno poi il paese l’opera non avrà più finanziamenti».
Taranto Buonasera ringrazia il Mº Terranova per questa intervista in attesa del galá.
Daniele Lo Cascio
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