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LA RECENSIONE
26 Febbraio 2024 - 16:45
“’A rote gire”: foto di scena
Attenzione alle "senànghe”, le maledizioni: possono andare a segno, con conseguenze dolorose, specie se da un cuore ferito. Tanto è servito da spunto alla brillante penna di Nicola Causi, per la sua commedia dialettale “’A rote gire”, rappresentata dalla sua compagnia, "Viandanti sognatori" che ha dato il “la” giovedì scorso al Fusco alla quarta edizione del Festival del teatro dialettale “Alfredo Majorano”. Il lavoro teatrale si presenta in forma, potremmo dire, “double face”: nella prima parte nei dialoghi è preponderante l’uso della lingua italiana, mentre nella seconda la fa da padrona il dialetto.
La trama
La trama della commedia prende le mosse dalle vicende di vita quotidiana della famiglia Salinari che deve le sue fortune ai sacrifici del capostipite, Riccardo (Nicola Causi), che da umile raccoglitore di ferri vecchi, ha dato vita a un’affermata azienda, alla cui guida è ora il figlio, Pierluigi (Antonio Solito), pieno di alterigia, soprattutto verso coloro in difficoltà. Il tutto si svolge fra i capricci della sorella, la svampita Nicoletta (Loris Pellecchia), eternamente innamorata dell’attempato “puffo” Adalgiso (Michele Ladiana), la sofisticata consorte Ginevra (Palma Renò), sempre preoccupata a valorizzare il lussuoso appartamento, le “incursioni” dell’architetto Silvano Laudisa (Maurizio Ambriola), con le sue eccentriche trovate anche se piuttosto iettatorie (i tendaggi viola con le strisce nere) e l’attenta e sapiente guida della casa della fisicamente esuberante governante Brigida Baldacci (Raffaella Di Pilato).
Foto di scena
Nel più o meno tranquillo tran tran irrompe l’operaio Saverio Boccasile (Giovanbattista Tito), licenziato perché sorpreso a dormire durante il lavoro, che implora Pierluigi di riconsiderare la decisione, i cui esiti sono disastrosi per la grave malattia del figlioletto. Ma non c’è verso e a nulla serve il tentativo del padre di farlo recedere dalla decisione. Il primo atto si chiude perciò con “’a senànghe”: “Attento, la ruota gira e potresti trovarti tu, al mio posto!”.
E così accade nel secondo tempo. Nella casa non c’è più traccia del lusso preesistente, la raffinata consorte Ginevra si è trasformata in una “vajassa” incapace di una parola in italiano e peraltro (proprio lei, allergica alla maternità) con un figlio in grembo e l’altro già grandicello, Riccardino (non in scena).
L’elegante e attenta governante Brigida è ora una donna sciatta. Sempre piagnucolona è invece la sorella Nicoletta, mollata dal fidanzato. Per papà Riccardo, invece, è il ritorno alle origini di “ferrovecchiaro”, perennemente alla ricerca di un bicchiere di vino. E dell’azienda paterna? Nessuna traccia. Anzi, Pierluigi, incredulo di quanto gli sta capitando, si ritrova disoccupato nonché spiantato capofamiglia. E Saverio? Invece ora è titolare di una grande azienda il quale propone generosamente a Pierluigi un posto di aiuto-custode, per sdebitarsi di un bel gesto di solidarietà del figlioletto Riccardino. Il tutto, a patto di non addormentarsi mai sul posto di lavoro, pena il licenziamento. E mentre nella mente di Pierluigi tutto si fa più confuso, ecco il ritorno alla realtà. Il finale? Lo risparmiamo, anche per coloro che vi assisteranno per la prima volta, ci auguriamo al più presto.
Applausi per tutta la compagnia, con una citazione per Palma Renò (Ginevra) credibile nei due ruoli di donna raffinata e di popolana sguaiata e per Nicola Causi, nei panni di Riccardo Salinari, misurato come imprenditore in disarmo e spassoso come “ferrovecchiaro”.
Bravo anche Maurizio Ambriola, mai sopra le righe (e sarebbe stato facile) nell’interpretazione dell’eccentrico, diciamo così, architetto.
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