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Taranto
22 Novembre 2025 - 12:42
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Professore di Metallurgia al Politecnico di Milano, consulente dell'allora commissario Enrico Bondi, autorità riconosciuta per quanto riguarda la siderurgia e tra i maggiori esperti della complessa vicenda Ilva: quando parla Carlo Mapelli bisogna sempre prestare attenzione a ciò che dice. E il messaggio della sua recente intervista a Repubblica sulla questione Taranto appare inequivocabile.
«Salvare l’Ilva di Taranto è un’operazione ai limiti dell’impossibile. Chi arrivasse oggi per far ripartire la produzione si troverebbe di fronte a spese enormi, superiori perfino a quel che ci vorrebbe per creare uno stabilimento siderurgico da zero, dal cosiddetto greenfield» è il lead del colloquio con Francesco Manacorda.
Questo «perché quel sito - è la lucida analisi di Mapelli - non ha più impianti attivi che siano in grado di produrre la ricchezza necessaria per sostituire gli stessi impianti. E le spese, con le bonifiche, l’abbattimento di capannoni e impianti non più utilizzati, potrebbero essere affrontate solo con una disponibilità finanziaria illimitata o quasi. E poi la crisi dell’Ilva parte anche da un cambiamento strutturale avvenuto dopo il 2008. Quel modello di impianto siderurgico che in teoria poteva arrivare a 9 milioni di tonnellate l’anno era nato per un’economia in via di sviluppo, che doveva costruire strade, case, ponti… All’epoca fu un modello utile ed efficiente per l’Italia, ma negli anni l’Ilva non ha avuto la capacità di “verticalizzare”, offrendo i prodotti richiesti dal mercato».
Lo scenario appare compromesso: «Bisognerebbe prima di tutto accettare una diminuzione della capacità produttiva di Taranto, che ridurrebbe anche le spese di ristrutturazione. Ma bisognerebbe accettare anche una dolorosa riduzione occupazionale: sarebbe un’Ilva con non più di 3.000 persone a Taranto e magari altre 1.000 o 1.200 tra i Genova e Novi Ligure. Bisogna guardare in faccia la realtà: oggi la transizione sarebbe molto più dolorosa di quanto sarebbe stata con il piano scritto da Bondi e me nel 2014».
E lo Stato, la nazionalizzazione auspicata dai sindacati? «C’è un altro problema che è quello dei creditori dell’Ilva. Se entrasse un soggetto privato potrebbe decidere di limitare il pagamento dei debiti, ma se entra lo Stato non può non rimborsare tutti perché sennò mette a repentaglio la sua credibilità come debitore affidabile. Ma in questo caso servirebbero altre cifre enormi, probabilmente sopra il miliardo di euro. Insomma, anche la nazionalizzazione non è un percorso facile».
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