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Taranto

Ex Ilva, dopo il vertice a Palazzo Chigi esplode il fronte delle reazioni

Tra accuse al Governo, fiducia nel piano e allarme per i 6.000 cassintegrati. All’indomani dell’incontro a Roma sul piano di decarbonizzazione, si confrontano posizioni opposte

L'ex Ilva

L'ex Ilva ora Acciaierie d'Italia

TARANTO - All’indomani dell’incontro di martedì 11 novembre a Palazzo Chigi tra Governo e sindacati sul piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva, da Roma e da Taranto arriva una raffica di prese di posizione che mette in fila timori, accuse, appelli e aperture di credito. Sul tavolo restano le cifre dei 6.000 lavoratori in cassa integrazione e la prospettiva di una riconversione che, per ora, non scioglie tutte le incognite industriali e occupazionali.

Dal fronte politico, il vicepresidente del M5S Mario Turco, senatore tarantino, attacca duramente il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, indicandolo come il principale responsabile del fallimento del dossier. Secondo Turco, in questi tre anni sarebbero stati spesi oltre 2 miliardi di euro di risorse pubbliche senza alcun vero rilancio del sito e con 6.000 addetti in cassa integrazione a Taranto e un territorio rimasto senza una strategia alternativa. Nel suo j’accuse il parlamentare ricorda i piani industriali del Gruppo Ferretti per la cantieristica da diporto e di Renexia per le turbine eoliche, progetti definiti concreti e immediatamente cantierabili, finanziati durante il governo Conte II e poi, a suo dire, lasciati cadere o spostati altrove. Turco quantifica in 750 milioni di euro gli investimenti persi e in 1.600 i posti di lavoro diretti sfumati, senza considerare l’indotto, e accusa l’esecutivo di aver cancellato ogni alternativa per Taranto. «In qualunque altro Paese un ministro che ha prodotto simili disastri non sarebbe più al suo posto», sostiene il vicepresidente M5S, che definisce Urso il simbolo di «una politica industriale senza visione, senza risultati e senza responsabilità».

Su un versante opposto si colloca la posizione di Federmanager, che guarda al documento presentato a Palazzo Chigi con un atteggiamento di prudente fiducia. La federazione dei dirigenti e delle alte professionalità dell’industria, presente ai tavoli con il vicepresidente nazionale Gherardo Zei e il coordinatore della Commissione nazionale Siderurgia Paolo Bonci, parla di una strategia che punta a completare in 4 anni la decarbonizzazione del polo siderurgico di Taranto, garantendo al tempo stesso continuità produttiva, tutela occupazionale e investimenti per l’impianto DRI, il forno a riduzione diretta del minerale di ferro. Zei giudica «condivisibile» la direzione del piano, sottolineando lo sforzo del Governo e dei commissari per ridurre in tempi più rapidi l’impatto ambientale sull’area e offrire una prospettiva di rilancio al comparto siderurgico. Bonci chiede però di poter disporre, prima dei prossimi incontri, di un aggiornamento completo sui negoziati, così da verificare l’efficacia reale delle ipotesi in campo. Federmanager lega il proprio giudizio positivo alla fiducia nelle competenze dei commissari straordinari, alla consapevolezza delle difficoltà accumulate dalle gestioni precedenti, al sequestro dell’Afo1 e al complesso dialogo con gli enti locali. La federazione valuta favorevolmente le prospettive di reindustrializzazione di Taranto e degli altri siti italiani, con possibili sbocchi nei settori dell’energia, della logistica e delle tecnologie verdi, anche attraverso partenariati pubblico-privati. Il presidente Valter Quercioli ricorda poi che la dirigenza di Acciaierie d’Italia ha già contribuito con un taglio del 20% del trattamento economico complessivo e una riduzione degli organici, accompagnata da un ricambio generazionale, per sostenere un percorso di risanamento. Da qui l’invito a mantenere «uno sguardo strategico e non localistico», salvaguardando le competenze di Taranto e valutando anche il possibile ruolo di un soggetto pubblico nella governance.

Sul territorio, la lettura è segnata soprattutto dall’impatto sociale dei numeri annunciati. Confartigianato Taranto parla apertamente di «città sospesa» di fronte ai 6.000 cassaintegrati, un dato che per l’associazione conferma la gravità della crisi. Nel comunicato, Fabio Paolillo, leader dell’organizzazione degli artigiani sostiene che, qualunque sarà l’esito della decarbonizzazione e del futuro dell’acciaieria, lo stabilimento non potrà più garantire l’attuale livello di occupazione. Confartigianato denuncia una comunità che resta in attesa, quasi paralizzata, e invita a «prepararsi al peggio», individuato nelle migliaia di esuberi che la vicenda lascerà dietro di sé. Pur riconoscendo gli sforzi del Governo per trovare investitori internazionali, l’associazione prevede un esito «al ribasso» per il territorio e definisce irrealistica l’idea di conciliare pienamente decarbonizzazione e piena occupazione. La nuova acciaieria, sostiene Confartigianato, sarà comunque ridimensionata e il sacrificio occupazionale «molto grande». Da qui l’appello a costruire subito percorsi di ricollocamento per migliaia di lavoratori, molti dei quali da anni in cassa integrazione e con competenze in parte logorate dall’inattività. L’associazione sollecita l’utilizzo immediato di tutti gli strumenti regionali, nazionali e comunitari per l’occupazione, chiedendo di evitare sprechi in corsi di formazione considerati inutili e di puntare invece su percorsi direttamente dentro opifici, officine e imprese artigiane, dove le piccole aziende lamentano una cronica difficoltà a reperire manodopera qualificata.

Toni altrettanto critici arrivano da Confapi Taranto, per voce del presidente Fabio Greco, che chiede al Governo di chiarire una volta per tutte il proprio disegno sull’ex Ilva. «Sono due anni che aspettiamo, non è più possibile vivere in una condizione di incertezza assoluta», afferma il rappresentante delle piccole e medie industrie, che giudica il piano discusso con i sindacati incapace di risolvere i nodi strutturali. Greco ricorda che si parla di 6.000 lavoratori in Cigs e di altri 4.000 addetti dell’indotto, ma denuncia la mancanza di attenzione per il rischio di desertificazione del tessuto produttivo, con aziende che potrebbero ritrovarsi senza prospettive nonostante gli investimenti annunciati per il rilancio. Per il presidente di Confapi non basta l’afflusso di fondi se manca una progettualità industriale chiara e una visione che tenga conto del ruolo di Taranto nella filiera nazionale. Greco pone anche il tema della strategicità del sito, interrogandosi su come possa reggere l’idea di un “rearm europe” senza la produzione di acciaio dell’ex Ilva. Nel suo ragionamento richiama l’articolo 43 della Costituzione, che consente la nazionalizzazione in presenza di servizi pubblici essenziali, fonti di energia o monopoli di «preminente interesse generale», e si chiede se la siderurgia italiana rientri o meno in questa definizione. Il presidente cita anche l’articolo 4, ricordando che «la Repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro», e invita il Governo a spiegare con chiarezza cosa intenda fare nello stabilimento, tra ipotesi di intervento pubblico e ruolo dei soggetti privati.

Dal versante politico della sinistra radicale, il Partito della Rifondazione Comunista giudica la scelta del ministro Urso come l’atto che «affossa la transizione ecologica e decreta un disastro sociale». Rifondazione riprende la denuncia dei sindacati sul collocamento in cassa integrazione di migliaia di lavoratrici e lavoratori in assenza di un piano credibile di rilancio e decarbonizzazione, e considera la sospensione della continuità produttiva un passo che rischia di far perdere definitivamente la corsa alla riconversione verde del siderurgico.

Nel comunicato si parla di assenza di una strategia industriale pubblica e sostenibile per l’intero gruppo siderurgico in amministrazione straordinaria e si accusa il Governo Meloni di aver scaricato sul lavoro dipendente il fallimento della gestione privata, arrivando a prevedere la cassa integrazione per 6.000 lavoratori dell’intero perimetro e la possibile chiusura di alcuni reparti. Per Rifondazione la sola via d’uscita è la nazionalizzazione integrale dell’ex Ilva, ritenuta l’unico strumento in grado di garantire un piano di riconversione ecologica, sicurezza, tutela ambientale e occupazione stabile. Continuare a puntare sui privati, come avvenuto con la gestione Arcelor Mittal, viene definito un percorso che porta verso un «disastro economico, ambientale e sociale». Il partito annuncia la propria presenza «al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori in ogni mobilitazione» e rilancia la richiesta di un intervento pubblico pieno sul sito di Taranto.

Nel giro di poche ore, il confronto sul futuro di Acciaierie d’Italia si è dunque polarizzato tra chi considera fallimentare l’azione dell’esecutivo, chi invita a non trasformare il caso ex Ilva in una battaglia ideologica e sceglie di dare fiducia al piano di decarbonizzazione, e chi chiede di concentrarsi subito sugli strumenti per il ricollocamento e sulla difesa del tessuto produttivo locale. Sullo sfondo resta Taranto, città che associazioni d’impresa e forze politiche non vogliono vedere trasformata in una “città di cassintegrati”, ma in un polo capace di ripartire con una nuova stagione industriale ed economica.

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